Cinema

Le traduzioni barbariche

Come adattamenti e traduzioni hanno da sempre trasformato i titoli originali dei film in improbabili quanto fantasiose rielaborazioni. Una mania che continua a resistere

  • 9 agosto, 09:09
  • 9 agosto, 09:20
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Di: Nicola Lucchi

Sono lontani i tempi in cui l’italianizzazione forzata dei termini stranieri dava vita ad acrobatiche traduzioni e visionarie invenzioni linguistiche. Poco o nulla da ridire per un “menù” che diventa “lista”, ma che pensare di un “cocktail” che si trasforma in “bevanda arlecchina” o di un “bob” tramutato in “guidoslitta”? Un esercizio di fantasia al quale si dedicarono professori e linguisti di epoca fascista per ripulire l’italiano da barbari esotismi attraverso altrettanto barbare traduzioni e che, oggi quasi scomparso, sembra sopravvive a suo modo nel cinema. Paradossale che in una realtà sempre più pervasa da anglicismi esistano ancora titoli di film maldestramente tradotti o impavidamente reinterpretati. Ho scritto “film”? Chiedo scusa, intendevo dire “pellicole”.

A onore del vero, serve ammettere che in un paese in cui l’inglese era sconosciuto ai più, le traduzioni erano un tempo più che necessarie e che, queste traduzioni, potevano incorrere in complicazioni o ambiguità qualora fossero state letterali. Tradurre Citizen Kane (1941) in “Cittadino Kane” sarebbe suonato antipatico per chiunque, poiché chiunque, negli anni Quaranta, avrebbe letto e pronunciato quel “Kane” come “Cane”. Il risultato è piuttosto intuitivo ed è per questo che gli astuti addetti alle vendite, ponendo l’attenzione sull’aspetto giornalistico della storia, lo distribuirono come Quarto potere. Settantacinque anni più tardi, una giovane polinesiana sarebbe incorsa in un problema analogo quando la Disney si trovò a raccontare la sua vicenda nelle sale italiane. Non appena i distributori si accorsero che il nome di tale giovane coincideva con quello della più nota pornostar della penisola optarono dunque per tramutare il titolo originale di Moana (2016) in quello altrettanto accattivante, ma meno lubrico, di Oceania.

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Se la riscrittura di un titolo poteva talvolta evitare disguidi linguistici, nella maggior parte dei casi era del tutto gratuita, quando non, addirittura, potenzialmente dannosa. Tra le vittime designate spicca in questo senso il maestro Alfred Hitchcock, che senza troppo curarsene vide i propri titoli stravolti. Vertigo (1958), letteralmente “vertigine”, uscì nelle sale come La donna che visse due volte. La scelta, nei fatti poco astuta perché in grado di svelare uno snodo cruciale della trama prima ancora di pagare il biglietto, fu giustificata dal fatto che Otto Preminger era già uscito nelle sale con un film dal titolo Vertigine (1944). L’aspetto tragicomico è che il titolo originale della pellicola di Preminger era Laura. Che dire allora di North by Northwest (1959), importato come Intrigo internazionale, o della commedia dal raffinato umorismo nero The Trouble with Harry (1955), per la quale si pensò di offrire un’altra piccola anticipazione della trama ribattezzandola La congiura degli innocenti.

Non si creda però che rinominare un film fosse una pratica legata a epoche remote. Gli anni Settanta, come gli Ottanta e i Novanta, hanno dato infatti grandi soddisfazioni in termini di riadattamenti. L’horror a basso costo ormai diventato un cult The Texas Chain Saw Massacre (1974) fu brillantemente re-intitolato Non aprite quella porta ma, solo due anni prima, Jeremiah Johnson (1972) di Sydney Pollack era approdato a qualcosa di ancora più sofisticato, trovando il titolo iconico di Corvo rosso non avrai il mio scalpo! Con L’attimo fuggente (1989) si pensò di mettere enfasi su un concetto fedele ai contenuti della pellicola, quel “carpe diem” di epoca latina che invita a cogliere l’attimo, infischiandosene del titolo originale di Dead Poets Society. In questa crescente ondata di licenze poetiche, Home Alone (1990) fu rinominato Mamma, ho perso l’aereo, The Shawshank Redemption (1994) rielaborato in Le ali della libertà e The Funeral (1996) di Abel Ferrara fece il suo ingresso in sala col titolo meno nefasto di Fratelli.

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Una lista interminabile che si penserebbe scemare con l’avvento del nuovo millennio e il progressivo diffondersi dell’inglese grazie al web, la scuola e i videogiochi, ma che sfociando negli anni 2000 si arricchì delle trasposizioni più fantasiose. Difficile immaginare che dietro Onora il padre e la madre (2007) di Sidney Lumet si celi un titolo come Before the Devil Knows You’re Dead, altrettanto complesso giungere a Il petroliere (2007) attraverso un titolo come There Will Be Blood. Sul podio dei film che dimostrano la maggiore inventiva resta però il bellissimo Se mi lasci ti cancello (2004) che, nella sua lingua madre, suonava Eternal Sunshine of the Spotless Mind.

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Qualche volta è vero, i nomi di certe pellicole risulterebbero poco comprensibili o eccessivamente macchinosi se tradotti alla lettera, ma per ogni The Banshees of Inisherin (2022) reso più comprensibile con Gli spiriti dell’isola esistono almeno dieci A Man Called Otto (2022) che si trasformano incomprensibilmente in Non così vicino. Certi che per fare di meglio basterebbe mantenere i nomi originali, ci si consola nella consapevolezza che la tradizione di adattare i titoli sia ormai una disciplina nazionale e che, per le uscite più recenti, ci si possa impegnare a essere un tantino più precisi. O forse no, considerato che La memoria dell’assassino (2023) diretto da Michael Keaton non è che la trasposizione di Knox Goes Away, Cattiverie a domicilio di Thea Sharrock quella di Wicked Little Letters e La ragazza della palude (2022) di Olivia Newman sarebbe in realtà Where the Crawdads Sing.

Nessuna lingua, naturalmente, è mai stata risparmiata da queste spericolate rielaborazioni. Un esempio su tutti? Le Magnifique (1973) di Philippe de Broca.

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Intervista ad Alfred Hitchcock

Archivi RSI, 1972 09.08.2024, 08:00

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