È stata presentata martedì a Milano la versione italiana del libro The Blues Brothers – la storia di un’amicizia epica e il dietro le quinte di un cult (Sagoma editore) a firma del premio Pulitzer Daniel De Visé. Un’opera meticolosa e documentata, che racconta le origini del leggendario duo composto da John Belushi e Dan Aykroyd. Se n’è parlato ad Alphaville con Carlo Amatetti, editore di Sagoma, e il critico cinematografico Antonello Catacchio.
Giacca e cravatta nera, camicia bianca, occhiali da sole e cappello in testa. Uno stile che, nel tempo, avrebbe ispirato svariati tentativi di emulazione. Alzi la mano chi non ha pensato immediatamente ai Blues Brothers, protagonisti del film-culto del 1980 diretto da John Landis. Le sgangherate vicende di Jake e Elwood, fratelli «in missione per conto di Dio» ma non solo: una pellicola che può contare sulle interpretazioni straordinarie di Aretha Franklin, Ray Charles, James Brown, John Lee Hooker, autentici giganti del blues e del soul.
La fratellanza dei due protagonisti non è solo elemento della trama. Perché alla base c’era l’amicizia profonda che legava i due attori, John Belushi e Dan Aykroyd. Un rapporto nato ai tempi del Saturday Night Live, a sua volta programma di culto della tivù statunitense. Lo stesso show da cui era partita la band dei Blues Brothers, che debuttò in uno sketch per la puntata del 22 aprile 1978. Da lì si arrivò poi al film.
Ma, dicevamo, di Belushi e Aykroyd, «due caratteri completamente opposti e proprio per questo facevano perfettamente pendant l’uno con l’altro» così li descrive l’editore Carlo Amatetti. Scatenato Belushi, più tranquillo Aykroyd. Belushi in quel momento era all’apice della carriera, era il personaggio del momento, ma aveva grossi problemi di dipendenza, in particolare dalla cocaina, gli stessi problemi che lo resero ingestibile durante la lavorazione del film, facendone lievitare i costi.
Aspetti autodistruttivi da sommare a quelli distruttivi, le cento e più auto ridotte in rottami durante le riprese. Automobili che venivano prontamente riparate grazie a un’officina organizzata ad hoc.
C’è però anche un’ampia parte costruttiva da raccontare riguardo a The Blues Brothers, da ricollegare ai grandi artisti citati in apertura. Che in quel momento tanto grandi non erano più, fatta eccezione per Ray Charles. All’epoca «si esibivano in locali di second’ordine» racconta Amatetti. Belushi, innamorato del blues e di questi musicisti, insistette affinché venissero inseriti nel film «contro la volontà della produzione, perché anche i produttori stessi dicevano “Ma cosa facciamo vedere ‘sta gente qua che ormai non se la fila nessuno”. Invece dalla loro apparizione su quella pellicola esploderanno le loro carriere, facendo riemergere dal nulla un genere musicale che era stato veramente dimenticato». «Erano ormai caduti in disgrazia, quindi bastava telefonargli, dirgli “Vuoi lavorare?” E subito sono corsi tutti» aggiunge Antonello Catacchio. Il critico evidenzia come il film negli USA non andò tanto bene, boicottato come fu dalla più grande catena di esercenti statunitensi: «Non voleva proiettarlo nelle zone prevalentemente abitate dai bianchi per due motivi: non voleva che i neri andassero a vederlo e riteneva che nel film ci fossero troppi neri per poter piacere al pubblico bianco».
La questione razziale è presente nel film, che usa la chiave della musica per descriverla. Di recente si è parlato di appropriazione culturale poiché sono due bianchi a rivitalizzare la musica afroamericana. Come fa notare Amatetti, però, furono proprio gli stessi artisti afroamericani a comprendere la sincerità dell’approccio e ad accettare volentieri l’invito, beneficiandone in termini di rilancio della carriera.
Per Catacchio, The Blues Brothers «era veramente una ventata nuova che veniva portata nel cinema, nella cultura e nel costume americano». La musica country dei bianchi reazionari e tradizionalisti è contrapposta alla «musica dei neri che era molto più dirompente e prepotente» in quello che era «uno scontro epocale, in qualche maniera raccontato da una parte che sbeffeggiava un po’ quell’altra».
Blues Brothers, dietro le quinte
Alphaville 24.02.2025, 12:35
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