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Tre film imperfetti da recuperare

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Cinema: Leone d'oro a Lanthimos

Telegiornale 09.09.2023, 20:00

Di: Chiara Fanetti 

Il bilancio dei primi sette giorni della Mostra del cinema 2023 si potrebbe riassumere con la valutazione “discreto”. Diversi film biografici e ritorni molto attesi alla regia ma poca sperimentazione, poca audacia. Storie e spunti interessanti ma esiti senza mordente, tanti buoni film ma niente di indimenticabile, salvo qualche rara eccezione (Poor Things di Yorgos Lanthimos, con Emma Stone, grande favorito del concorso). Tra i risultati imperfetti che sono stati mostrati in corsa per il Leone d’Oro ci sono comunque dei film che vale la pena andare a vedere una volta usciti in sala.

Priscilla di Sofia Coppola

È stato pubblicato nel 1985 il libro di memorie Elvis and me, il racconto di 13 anni di relazione tra il Re del rock e Priscilla Presley che sta alla base del film di Sofia Coppola. Priscilla mostra con onestà ma anche con tatto il rapporto sentimentale intenso, totalizzante e morboso che la rock star aveva instaurato con la moglie. La regista ci fa scoprire la gabbia dorata in cui Elvis l’aveva rinchiusa, ancora giovanissima, plasmandone l’immagine in uno strano legame amoroso dove la sensualità era concessa ma non il sesso. Sofia Coppola non si fa spaventare dalla ripetitività e anzi, ci conduce continuamente nelle poche stanza di Graceland alle quali Priscilla può accedere, mentre attende il marito impegnato in tour o sui set di Hollywood.

Il film purtroppo si perde nella parte finale e non sviluppa sufficientemente il graduale mutamento della protagonista ma offre uno sguardo inedito su Priscilla Presley (impersonata da una convincente Cailee Spaeny) e sugli aspetti disfunzionali che possono assumere le relazioni. Un altro merito del lavoro di Sofia Coppola è quello di aver fatto emergere la figura di Elvis (Jacob Elordi, star di Euphoria, ha superato una prova non facile, offrendo un’interpretazione migliore di quella di Austin Butler nel film di Buz Luhrmann) non come re del rock ma come uomo e marito, spogliato dalle sue canzoni, dai suoi costumi e dalle luci del palcoscenico, il tutto senza mai distogliere l’attenzione da lei, Priscilla.

The Killer di David Fincher

A quasi trent’anni di distanza dal cult-movie Se7en, Fincher torna a lavorare con lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker per portarci di nuovo nella testa di un assassino, questa volta a pagamento. Freddo, metodico, cinico e calcolatore, l’anonimo protagonista di The Killer rappresenta molto bene lo stile cinematografico del regista: un marchingegno preciso, dove ogni componente funziona perfettamente. Ad impersonare una tale “macchina” c’è Michael Fassbender, attore che ha già dato prova - ad esempio in Prometheus - di saper governare con grazia e controllo ogni gesto e movimento, rendendo le operazioni più banali e quotidiane una piccola stupefacente meraviglia da osservare.

In questo flusso perfetto di incastri, arriva inevitabilmente l’errore e l’equilibrio del nostro hitman inizia ad entrare in crisi, scombinando i suoi piani e il suo modus operandi. David Fincher non è un regista che può davvero “sbagliare” un film: tecnicamente è ineccepibile e si muove con una squadra che non permette leggerezze o distrazioni, eppure, in un film senza macchia, che tratta un tema coinvolgente come la vendetta, i problemi sono proprio la mancanza di variazioni, i colpi di scena attutiti da troppo rigore e l’assenza di un degno antagonista. The Killer è un buon film, che si guarda e riguarda con piacere, ma una storia meno superficiale forse lo avrebbe reso un titolo da ricordare anche dopo trent’anni.

Adagio di Stefano Sollima

Si chiude con Adagio la trilogia sulla criminalità romana di Stefano Sollima, un mondo che il regista ha saputo indagare già con la serie di successo Romanzo Criminale, incentrata sulla banda della Magliana. Qui ritroviamo alcune “leggende” della malavita capitolina invecchiate e consumate dal tempo e da una vita di eccessi, che ha distrutto loro e tutto ciò che amavano. Ambientato durante una manciata di nottate afose, dove l’orizzonte è minacciato da un gigantesco incendio e la città continua a subire blackout dell’elettricità, Adagio è anche un film sui padri, sui loro errori e le loro assenze, sui loro rimpianti e sul disperato tentativo di rimediare a qualcosa che è ormai irrecuperabile.

Malgrado qualche passaggio incerto e alcune interpretazioni un po’ acerbe, il film di Sollima è robusto, il lavoro di uno dei migliori registi italiani in circolazione, sicuramente il più competente nel girare sequenze di azione. Adagio mostra una Roma lontana dall’idea di città eterna e dai cliché troppo spesso rafforzati dal cinema americano. Qui tutto è decadente, anche i due protagonisti, Daytona e Romeo, lontani dal “fascino del criminale” avuto in gioventù, figure sole, sull’orlo del precipizio mentale e fisico, forse in cerca di redenzione, magistralmente interpretate da un incredibile Toni Servillo e un irriconoscibile Pierfrancesco Favino.

Oltre il cinema: manifestazioni

Iniziata all’ombra dello sciopero di sceneggiatori ed attori USA, la Mostra ha accolto in questi giorni un flashmob in sostegno alle donne iraniane e ai cineasti e agli artisti arrestati ed imprigionati in questi mesi. Le manifestazioni però non si sono fermate qui.

proteste contro Allen - Keystone.jpg

Lunedì sera, 4 settembre, la sfilata sul tappeto rosso è stata interrotta da un significativo momento di protesta iniziato quando il regista Woody Allen ha raggiunto il Palazzo del Cinema per assistere all’anteprima del suo film Coupe de Chance. Il gesto è stato organizzato da diverse attiviste provenienti da tutto il Veneto, in solidarietà verso le vittime di abusi e in reazione alla presenza alla Mostra di tre registi che sono stati negli anni accusati di molestie sessuali e di stupro: Woody Allen, Luc Besson e Roman Polanski.

La scelta della Mostra di selezionare i loro film è stata oggetto di dibattito sin dalla comunicazione della selezione ufficiale. Decisione che il direttore artistico, Alberto Barbera, ha sempre sostenuto ricordando che il suo compito e quello della Biennale non è giudicare persone ma valutare film, sottolineando che Besson e Allen sono stati scagionati dalle accuse mentre Polanski - riconosciuto colpevole nel 1977 per l’accusa di “rapporto sessuale extra-matrimoniale con persona minorenne” - ha ammesso le sue responsabilità ed è stato perdonato dalla vittima.

Per chi ha manifestato, la scelta della Biennale invece alimenta la cultura dello stupro e scredita le vittime di violenza di genere.

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