Il ragazzo di campagna arrivato a Los Angeles senza un soldo nel 1923 è un insuperabile esempio di sogno americano del secolo scorso. I suoi cartoni animati sono stati amati e odiati, osservati da centinaia di angolazioni diverse, come accade solo all’arte di portata storica
Il nome, Walt Disney, è il brand. Omaggiato e attaccato in ogni modo, negli ultimi cento anni. Ancora di più nell’ultima decade, epoca in cui la crescita aziendale Disney è diventata smisurata, seguendo un modello di business imperialista – definizione che, in questo caso, davvero non teme smentite.
Ma anche prima, se ricordiamo le dichiarazioni d’amore di Sergej Ėjzenštejn e Walter Benjamin, opposte agli strali di Theodor Adorno e Georges Sadul, mito della critica cinematografica francese del secolo scorso (sì, il secolo in cui il cinema era importante, tanto che perfino la critica lo era) che dei film di Disney ha sempre pensato tutto il male possibile. Anche i miti della critica possono avere problemi di miopia, del resto.
Cento di questi Disney
Laser 16.10.2023, 09:00
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Al di là delle contraddizioni, impossibili da evitare per un nome/marchio di queste dimensioni economiche (ricordiamo che nel 2021 la Walt Disney Company ha raggiunto i 350 miliardi di dollari di capitalizzazione) e artistiche insieme, quello che rimane riguardando a questo primo secolo di vita Disney è l’impatto sull’umanità: Walt Disney è stato uno dei pochi artisti nella storia davvero capaci di fare evolvere l’arte, l’industria culturale, ma soprattutto il nostro modo di guardare il mondo. Le conseguenze dei suoi cartoni animati non sono misurabili, se non con gli occhi degli storici che verranno nel futuro.
Disney è stato uomo del Nuovo Mondo nell’epoca in cui l’America poteva ancora a buon diritto rivendicare questa definizione. Nativo del Midwest agricolo, era diventato adulto a diciotto anni durate la – e in conseguenza della – prima guerra mondiale, poi aveva abbracciato con entusiasmo l’ideologia imprenditoriale dell’America degli anni Venti, aveva amato le nuove tecnologie, anticipato il gusto popolare. E a proposito di arti popolari, forse senza di lui non sarebbe esistita Hollywood, diventata capitale mondiale del cinema e dell’intrattenimento anche grazie alla sua creatività: i 22 Oscar ricevuti in vita, record assoluto, rappresentano in questo senso appena un piccolo ringraziamento.
Secondo Mariuccia Ciotta, autrice del fondamentale Walt Disney. Prima stella a sinistra (La nave di Teseo), Disney è stato esempio, sogno incarnato per tutti i geni visionari (o aspiranti tali, inevitabilmente compresi i ciarlatani, aggiungiamo noi) che nei decenni successivi hanno provato a volare pensando a qualcosa di meraviglioso. I cartoni animati Disney di Walt Disney erano creatività pura, mettevano insieme funny animals americani e icone della grande arte europea: come nota Ciotta “Disney non solo ha “rapito” icone, statue e musica, come il Peter Pan disegnato da Arthur Rackham, la scultura di Uta di Naumburg, trasformata nella Regina di Biancaneve, e la sinfonia della Pastorale con i suoi cavalli alati, fauni e cupidi. Non solo ha vestito di azzurro l’Alice disegnata dall’inglese John Tiennel, animato il Pinocchio di Collodi e gli asini e le volpi con la bombetta di Grandville. Ma ha infranto la gerarchia dell’arte con la sua vocazione all’innesto e alle figure metamorfiche.”
A metà ottobre cadono i cento anni dalla fondazione dello studio di animazione dei fratelli Disney, a Los Angeles, nel 1923. Walt Disney ci era arrivato appena ventunenne e pieno di speranze: non aveva torto, visto che la nascente Hollywood poteva contare già su 58 studi e più di 250 compagnie di produzione. Tuttavia, il giovane Walt non era nessuno, e non avrebbe potuto neppure mantenersi, non fosse stato per l’ospitalità dello zio Robert e per la pensione da veterano di guerra (ventisettenne!) del fratello Roy, 65 dollari offerti dallo stato che mantenevano entrambi i Disney. Tutti i suoi averi erano contenuti in una valigia che aveva portato con sé da Kansas City, nel Missouri, stato in cui era cresciuto, prima in una fattoria, poi nella grande città. I fratelli Disney erano figli di una famiglia della classe media impoverita, che ai tempi non significava non potersi permettere Netflix, ma essere costretti, tutti quanti, a lavorare per sostenere l’attività di distribuzione di giornali che il padre di Walt e Roy aveva avviato.
Nonostante un’adolescenza faticosa, e a dispetto del fatto che Elias Disney fosse un genitore irascibile ed esigente anche per gli standard del primo Novecento, il giovane Walt aveva continuato a vedere la famiglia come nucleo fondamentale della società, e unica fonte di felicità duratura per l’uomo: un tratto che sarebbe stato facile ritrovare in seguito nei suoi film.
A dire il vero la famiglia aveva anche incoraggiato il suo talento per il disegno, permettendogli di seguire alcune lezioni d’arte che lui mise subito a frutto: all’età di diciotto anni, si guadagnava da vivere come vignettista per i giornali locali, pur volendo già fondare una sua attività, mettersi in proprio e non dipendere da nessuno. Infatti a vent’anni aveva la sua prima azienda di animazione, la Laugh-O-Gram Corporation. E a ventuno, aveva fatto bancarotta.
Non che fosse scarso, o poco informato su quel che accadeva intorno a lui: aveva ad esempio copiato l’idea di Max Fleischer – il grande animatore che poi sarebbe diventato arcinoto per i cartoni di Betty Boop, Popeye e Superman – di combinare immagini di attori in carne e ossa con cartoni animati, e con quella tecnica aveva realizzato un primo corto di quella che poi sarebbe diventata la serie Alice’s wonderland. La Laugh-O-Gram Corporation aveva prodotto anche filmati pubblicitari, ma presto il giovane Walt si era trovato costretto a usare la sua cinepresa per eseguire lavori da giornalista freelance, o per filmare matrimoni e – riportano i suoi biografi – perfino funerali. Alla fine, era stata proprio la cinepresa a essere sacrificata: venduta, allo scopo di comprare il biglietto per Hollywood.
Walt Disney 100 | Nella fabbrica musicale di un sogno
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Walt era arrivato alla stazione di Los Angeles senza un centesimo e aveva con sé solo la pellicola di quel primo corto con protagonista la sua Alice, che cercò di vendere a ogni distributore, senza successo. Fu la newyorchese Margaret Winkler, ex-segretaria di Harry Warner (sì, uno dei due fratelli) divenuta prima donna produttrice e distributrice nel mondo dell’animazione, ad accettare la sua offerta, e a chiedere a Walt di produrre altri dodici cartoni della serie. Lui accettò di buon grado, ma sapeva che non ce l’avfebbe mai fatta da solo, così chiese l’aiuto della persona più fidata che poteva trovare a Los Angeles: suo fratello Roy. Nacque il Disney Brothers Studio, che aveva perfino un’impiegata: la signorina Kathleen G. Dollard, sedicenne (!) assunta per inchiostrare, dipingere i rodovetri e occuparsi di ogni cosa di cui non si occupassero direttamente i due titolari. Walt scrisse in quei giorni ai genitori che lui e Roy avevano “creato il primo studio di cartoni animati a Hollywood”, e che quello avvrebbe reso “il nome Disney famoso in tutto il mondo”. Cent’anni dopo, possiamo dire che sia andata esattamente come Walt aveva sperato.
I film di Walt Disney hanno contribuito a costruire l’estetica del Novecento, hanno influenzato la vita e la cultura di più generazioni, sono stati considerati – a seconda di chi li analizzava – espressione di una visione del mondo estremamente conservatrice (la famiglia tradizionale, i ruoli distinti tra i sessi…), oppure al contrario basi della controcultura giovanile degli anni Sessanta (le immagini psichedeliche, le rappresentazioni dell’uso di sostanze…). I cartoni di Walt Disney contengono, in effetti, tutta la complessità del mondo dello scorso secolo. Soprattutto, però, sono riusciti a fare entrare gli spettatori in un mondo magico che rifiuta l’immobilità e vive di mutazione continua, ipnotica, musicale, come i protagonisti dei suoi meravigliosi cortometraggi Silly Symphonies. Qualcuno oggi dice che i suoi film d’epoca sono invecchiati male, che non sono al passo con i cambiamenti sociali e culturali della modernità. Ma la realtà è che c’è qualcosa di molto più profondo, che non può invecchiare, un elemento che trascende tempi e luoghi: i cartoni Disney sono arte del mutamento. E non è forse il cambiamento continuo, l’essenza stessa dell’esistenza?
Speciale Walt Disney
Cultura 17.10.2023, 10:19