Filosofia e mistica

Edith Stein, i dubbi sugli ultimi mesi di una grande del ’900

Da uno studio emerge che potrebbe essere rimasta in vita ad Auschwitz fino al 1943 - Torna l’ipotesi di un incontro con Etty Hillesum

  • Ieri, 14:00
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Di: Roberto Italo Zanini, giornalista, ha lavorato alla redazione cultura di Avvenire

Si è sempre raccontato che quando i militari tedeschi giunsero al Carmelo di Echt in Olanda per prelevarla, suor Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), si sia rivolta alla sorella Rosa con una frase emblematica: «Vieni, andiamo per il nostro popolo». La vicenda, diventata famosa perché citata da Giovanni Paolo II nel discorso per la beatificazione di Edith Stein, è raccontata da Marieke Delsing, una suora terziaria che viveva a Echt, ma non ha mai trovato riscontro in altre fonti e la stessa Delsing non l’ha confermata in un’altra occasione. Si può però considerare in linea col pensiero della Stein, filosofa e antropologa ebrea, allieva di Edmund Husserl, passata al cattolicesimo, poi divenuta carmelitana scalza; in sintonia col profondo interesse per la verità sull’uomo, che era nella sua ricerca, e nel suo senso di Dio e di appartenenza al popolo ebraico.

Lo testimoniano tanti suoi scritti, come una lettera all’amica suora Orsolina Petra Brüning nel 1938, che fa riferimento alla figura biblica di Ester, scelta per salvare gli ebrei dalla volontà di eccidio che si stava affermando sotto il regno di Serse: «Non posso fare a meno di pensare alla regina Ester, strappata al suo popolo con l’esplicito scopo di presentarsi al re per il suo popolo. Io sono una piccola Ester, molto povera e indifesa, ma il Re che mi ha scelta è infinitamente grande e misericordioso». Sulla figura di Ester tornerà in un’opera teatrale del 1941, attualizzata in un preciso parallelo col nazismo. Inoltre a chi in quei mesi la invitava a nascondersi per non rischiare la deportazione, rispondeva di aver messo la sua vita «nelle mani di Gesù».

Lo studioso francescano padre Herman-Leo Van Breda parla in proposito di fanatismo. Si era recato almeno due volte al carmelo di Echt per cercare di convincere Edith a trasferirsi nel carmelo di Le Pâquier in Svizzera per seguire da vicino il riordino dell’Archivio Husserl (che il frate aveva fondato a Lovanio) insieme a Eugene Fink e Ludwig Landgrebe, già trasferitisi con le famiglie. In seguito Van Breda raconterà dei lunghi colloqui su Husserl avuti con Stein, criticandone però la fermezza con cui opponeva obiezioni alla proposta di fuggire in Svizzera: «Altrimenti arrestano la madre abbadessa». Affermazione, quest’ultima, avvalorata dal fatto che tre anni prima si era voluta trasferire in Olanda per non mettere a rischio la vita delle consorelle del carmelo di Colonia, dove era entrata nel 1933. Ma van Breda non cambierà opinione e nel 1967, in occasione di un intervento commemorativo, ricorderà il disappunto per non essere riuscito a comporre la squadra che aveva in mente per il lavoro a Lovanio e attribuirà a Edith Stein, appunto, una certa dose di «fanatismo e cocciutaggine».

Resta il fatto che il tentativo di ottenere i visti per la Svizzera si fece. Si rivelò però complicato, tanto che la risposta, negativa, delle autorità arrivò quando le Stein erano già state uccise ad Auschwitz: sempre che la loro data di morte, 9 agosto 1942, non venga messa in discussione. Una nuova ricerca, infatti, fa sorgere seri dubbi sul dato anagrafico, senza però fornire un’alternativa certa. Stiamo parlando di uno studio di Rainer Schmidt dell’Edith Stein Jahrbuch appena pubblicato in un numero monografico della rivista “Humanitas” di Morcelliana, curata dal filosofo Francesco Alfieri, che raccoglie 35 contributi di altrettanti esperti internazionali per inquadrare la figura della pensatrice e santa carmelitana nei suoi multiformi aspetti, alla luce della recente proposta di attribuirle il titolo di Dottore della Chiesa. Senza considerare l’attualità del pensiero di questa donna nata a Breslavia nel 1891: poche persone, come lei, hanno vissuto e sono state capaci di interpretare da protagoniste gli snodi cruciali del Novecento, nei quali questo primo scorcio di nuovo millennio sembra rimasto profondamente invischiato. «La Stein – spiega Alfieri - eccelle nella capacità di creare ponti fra tradizione filosofiche e teologiche diverse», convinta dell’impossibilità di comprendere l’uomo e la storia «senza considerare le questioni su Dio», come scrive in una lettera all’amico filosofo Roman Ingarden già nel 1917.

Lo studio di Schmidt fa leva sulla confusione organizzativa che regnava ad Auschwitz in quei mesi col crescente numero di arrivi, l’inadeguatezza delle strutture, la cinica richiesta di velocizzare le soppressioni e l’imperversare di un’epidemia di febbre petecchiale che mieteva vittime indistintamente fra personale e internati. Soprattutto si appoggia su una serie di incongruenze nella registrazione degli arrivi e dei decessi, prima e dopo la riorganizzazione degli archivi effettuata nel 1950 in Olanda relativamente alle persone deportate dal suo territorio, incrociando i dati provenienti dai campi di concentramento.

In sostanza, alla mancanza di notizie certe sulla sorte delle gran parte dei deportati del convoglio in cui erano le sorelle Stein, si aggiungono incongruenze documentali ed errori di trascrizione che potrebbero persino far slittare di un anno il decesso di Edith e che certamente mettono in discussione la data del 9 agosto 1942. Tanto che Alfieri giunge a considerare come plausibile una osservazione di Etty Hillesum, che nel diario dice di aver incontrato due sorelle suore di una ricca famiglia ebrea di Breslavia «con stelle sulle tonache». Il curatore dell’edizione integrale di questo ormai celebre documento (Diario 1941-1943) identifica con sicurezza queste due religiose con Edith e Rosa Stein. In realtà i dubbi restano. La data dell’appunto è 20 settembre 1942 e fa riferimento al campo di raccolta olandese di Westerbork dove Hillesum resta confinata fino a quando viene trasferita ad Aushwitz nel settembre del ‘43. A Westerbork sono certamente presenti anche le Stein, ma a quanto è dato sapere, solo fra il 4 e il 7 agosto 1942.

Da Westerbok Edith Stein scrive alle consorelle di Echt due lettere fra il 4 e il 6 agosto 1942. Dice che sono insieme ad altri cattolici di origine ebraica, specialmente religiosi, dei quali fa alcuni nomi, che sono state accolte cordialmente, che «si vuole fare il possibile per liberarci o per lo meno farci rimanere qui». Quindi, dopo aver chiesto l’invio di alcuni effetti personali e aver annotato che «siamo molto calme e serene», aggiunge: «Speriamo che abbiate trovato l’indirizzo del Console e che vi siate messe in contatto con lui... scriveremo di nuovo presto». Effettivamente scriverà un’altra lettera, l’ultima (arrivata a destinazione), il 6 agosto, quando è ormai certa che saranno deportate. Chiede provviste, lo spazzolino da denti e il rosario per la sorella, il breviario per lei, aggiungendo fra parentesi: «Finora sono riuscita a pregare molto bene». Due missive dai toni sereni, vista la situazione, che oltre a mostrare speranza nell’intervento del console per il trasferimento in Svizzera, testimoniano la scelta esistenziale di mettere la propria vita nelle mani di Gesù.

E se un collegamento si può fare con Etty Hillesum è proprio in questa certezza che non esista possibilità di bene se non porsi in Dio. Nel diario, Etty scrive: «Se affermi di credere devi abbandonarti completamente, avere fiducia, non preoccuparti per l’indomani». E se Edith afferma di riuscire a pregare «molto bene» nonostante le terribili evidenze, Etty nella stessa situazione, sottolinea: «Si dovrebbe pregare giorno e notte per queste migliaia. Senza preghiere non si dovrebbe stare un solo minuto». Nell’una e nell’altra pulsava il tormento per le sorti dell’essere umano, prima ancora che per quelle del popolo ebraico. E l’urgenza di dover essere partecipi, pur inghiottite nella voragine del male, dell’opera redentrice di Dio, senza tirarsi indietro, persino consolandolo misticamente nel suo dolore e amando l’uomo contro ogni evidenza. «Tu non ci puoi aiutare – scriveva Etty – ma siamo noi che dobbiamo aiutare te». Ed Edith, certa della presenza di Dio nel cuore di ognuno, avrà accolto l’invito di Teresa d’Avila alle sue figlie: «State molto con Lui. Gradisce molto che gli teniate compagnia».

17:09

Passione e morte di Edith Stein

RSI Cultura 24.04.1987, 15:46

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