Filosofia e Religioni

Fare cultura al tempo di Francesco

Parla Antonio Spadaro, nominato sottosegretario della Cultura in Vaticano

  • 6 ottobre 2023, 08:24
  • 6 ottobre 2023, 11:19
Antonio Spadaro
Di: Paolo Rodari

Antonio Spadaro, teologo gesuita, giornalista e scrittore, il 14 settembre 2023 ha lasciato ufficialmente la direzione de La Civiltà Cattolica dopo dodici anni. È stato nominato da Papa Francesco sotto-segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione.

Spadaro, partiamo da qui, da questo nuovo inizio. Di cosa si occuperà nel Dicastero per la cultura

“Attendo di iniziare il mio lavoro. Prenderò l’incarico il primo di gennaio (2024, ndr). Entro certamente in una squadra molto affiatata, di persone che sono aperte alle sfide. Questa è una cosa che mi sembra molto importante: le sfide della cultura contemporanea, che vanno dai nuovi linguaggi in un ordine mondiale in cambiamento, al mondo della cultura digitale. Si tratterà quindi di capire dall’interno questo mondo in evoluzione per portarvi il messaggio del Vangelo e far sì che il Vangelo diventi parola attuale”.

Cosa vuole dire fare cultura nel tempo di Francesco?

“Fare cultura è accompagnamento ed anche discernimento. Il Signore è attivo, è presente nelle culture. Non bisogna cercarlo semplicemente dove noi crediamo che lui sia, ma dove realmente è. Quindi direi un’attenzione anche ai processi, come dice spesso Francesco, cioè al tempo e non allo spazio, guardare all’oggi con gli occhi del futuro e quindi in una dimensione profetica. Guardare non tanto partendo dall’oggi per immaginare cosa sarà domani ma, al contrario, essere aperti alle sfide del futuro e da lì immaginare l’oggi della Chiesa”.

C’è chi sostiene che Francesco sia sì un Papa popolare che, tuttavia, provenendo da un Paese lontano, abbia poco da dire alla cultura soprattutto europea. Perché vi è questa convinzione? E cosa pensa lei in merito?

“Non ha radici solide questa convinzione perché è vero che il Papa si è formato teologicamente in Argentina, ma le sue radici sono europee. Ha studiato fra l’altro con professori che si sono formati in Francia ed in Germania. Se leggiamo i primissimi scritti di Bergoglio vediamo come questa cultura teologica e filosofica emerge. Lo abbiamo ascoltato a Marsiglia: per Francesco la sfida è quella di una teologia radicata nella vita, non da laboratorio, sono parole sue. Quindi ci vuole un pensiero anche teologico aderente al reale, in grado di unire le generazioni, legando memoria e futuro e in grado anche di promuovere in maniera originale il cammino ecumenico. Questo si può fare attingendo alle fonti culturali. Quindi questa dimensione della cultura fondamentale per pensare la teologia è presente nel discorso di Francesco, che è aperto a tutte le culture, non solo a quella occidentale ma – lo abbiamo scoperto e lo sappiamo bene – molto anche a quella orientale”.

Nell’intervista che il Papa le concesse nel 2013 su Civiltà Cattolica parlò della necessità che la Chiesa curi anzitutto le ferite, che sia casa di tutti partendo sempre dalla persona. È questo il cuore del suo pontificato, l’offerta di una Chiesa per tutti?

“Il Papa lo ha ripetuto in questi tempi, anche nei viaggi in Mongolia, Lisbona e Marsiglia: tutti, tutti, tutti. Con tutti significa una Chiesa aperta soprattutto a coloro che sono per strada, feriti, la Chiesa samaritana se vogliamo. Questo è stato il suo primo discorso in Brasile nel 2013. E questo continua ad essere il motivo di fondo del suo pontificato”.

Il cardinale Martini aprì la cattedra dei non credenti. Ravasi il Cortile dei gentili. Quale modalità di rapporto è chiesta oggi alla Chiesa rispetto a chi non crede, tenendo anche conto che classificare la fede delle persone non è facile (molti credono nell’esistenza di Dio, ma non partecipano alla vita della Chiesa, altri sono di fatto agnostici…)?

“Quelle sono state iniziative profetiche. Sono immagini spaziali, molto importanti. Oggi forse siamo chiamati a fare ancora un passo avanti. Francesco parla di non occupare spazi ma accompagnare processi. E l’idea migliore non è quella di eventi che possiamo costruire dentro le nostre mura ma l’idea di andare nei luoghi dove il dibattito c’è ed è reale ed è vivo, partecipare al dibattito culturale del mondo d’oggi”.

Lei è stato dodici anni alla guida di una rivista, Civiltà Cattolica, unica nel panorama editoriale italiano. Fondata nel 1850 per iniziativa di padre Carlo Maria Curci, è vero che nacque con un intento di difesa della stessa civiltà cattolica da nemici esterni? Se sì, quanto è cambiata in tutti questi anni?

“Civiltà Cattolica la si può paragonare ad un organismo biologico che quindi cambia, si modifica, si sviluppa nel tempo. È la rivista culturale più antica d’Italia che è rimasta in vita proprio perché non è coerente con sé stessa, ma si è trasformata nel tempo. In questi miei anni di direzione la rivista ha assunto e fatto suo lo stile originario del 1850, uno stile militante in cui addirittura nel linguaggio assumeva gli stili propri delle riviste anarchiche o socialiste. Quindi una rivista capace di dialogare col mondo odierno”.

Intervista ad Antonio Spadaro

Paolo Rodari 04.10.2023, 09:01

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