Filosofia e Religioni

Nietzsche e l'anticristo

Alla ricerca del Cristo perduto

  • 03.07.2023, 09:14
  • 14.09.2023, 09:02
Nietzsche
Di: Marco Alloni     

Per quanto breve, il saggio L’Anticristo di Friedrich Nietzsche è uno sterminato universo di illuminazioni. Naturalmente si tratta di illuminazioni di controcanto, che in chiave filo-cristiana si potrebbero definire eretiche. Ma di quale salutare ereticità, a ben vedere, se pensiamo che tutto il pensiero di Nietzsche contro il cristianesimo è in realtà un appello a venerare la vita, la realtà, gli istinti, i princìpi attivi di quella che potrebbe essere riconosciuta come la Natura più intima e autentica dell’umano.

Perché Nietzsche non attacca in verità il cristianesimo in virtù di quanto racchiude di autenticamente cristiano, bensì per tutto ciò che, a partire dai primi evangelisti per arrivare al controverso Paolo, di autenticamente cristiano non conserva più nulla. Un attacco dunque contro quella che potremmo chiamare la “storicizzazione clericale” del cristianesimo, contro ogni forma di buona memoria di Cristo in nome della sua contraffazione nel segno dell’ansia di potere e della presunzione di verità dei prelati.

Significa questo che Nietzsche “assolse” Gesù Cristo dall’aver promosso l’idea, a suo dire fasulla, di immortalità a discapito dell’hic et nunc della realtà in quanto tale, con tutto il suo patrimonio di discriminazioni naturali contro l’inganno cristiano del diritto a essere tutti uguali? Certamente no. Se non altro perché nel quadro e nel senso del principio della “volontà di potenza” – che meglio si ritrova nel pragmatismo e nel realismo buddhisti che nel trascendentalismo cristiano – l’idea di superamento appare ai suoi occhi fasulla in nuce, giacché “promette senza mantenere” una realtà (eterna) che non ha infine nulla di più reale di un astratto desiderata.

Eppure Nietzsche una qualche “riabilitazione” del Cristo, a tutto svantaggio del cristianesimo, la propone eccome: poiché nella figura del Redentore egli riconosce una vita che si agglomera al suo messaggio e che in tale coincidenza ritrova, per così dire, la sopravvivenza dell’autentico contro ciò che di inautentico (in termini di “vendicatività”, di “fariseismo”, di “inganno” e soprattutto di ressentiment e di discriminazione) fu nel cristianesimo dei suoi seguaci.

Scrive senza mezzi termini, per ribadire tale millenario equivoco che vincola abusivamente la figura di Cristo a quella del cristiano: “In fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce”. E aggiunge: “Il Vangelo morì sulla croce. Ciò che da quel momento è chiamato ‘Vangelo’ era già l’antitesi di ciò che lui aveva vissuto”. Due frasi che, dopo secoli (millenni, in verità) di subordinazione allo “spirito di vendetta” con cui la Chiesa ha siglato la sua vocazione al privilegio (ricordiamo, tra gli altri, il dogma della infallibilità pontificia), ci riconducono a quella che sempre più, nel processo di desacralizzazione attraversato dal cristianesimo, è diventata vulgata comune: Chiesa e Cristo sono entità fondamentalmente incompatibili. Almeno nella misura in cui la prima ha scelto per sé, ponendosi a presidio morale dell’aldilà, il potere dei primi invece dell’assenza di potere degli ultimi.

E su questo Nietzsche è perentorio: “Il bisogno di Paolo era la potenza; con Paolo, il sacerdote volle ancora una volta pervenire alla potenza (...) e alla tirannide dei sacerdoti”.

Per cui ecco che il Cristo di Nietzsche è stato tradito e manipolato in senso eminentemente anticristiano. E ciò che Paolo sostanzialmente ha commesso di imperdonabile è stato “di condurre a termine, con il cinismo logico di un rabbino, un processo di decadenza il quale era già cominciato con la morte del redentore”.

Da lì in poi, senza battute d’arresto per tutta la Storia della cristianità, “questa è stata la più funesta specie di delirio di grandezza che sia mai esistita fino a oggi sulla terra: piccoli aborti di baciapile e di mentitori cominciarono ad arrogarsi l’idea di ‘Dio’, di ‘verità’, di ‘luce’, di ‘spirito’, di ‘amore’, di ‘sapienza’, di ‘vita’ (...) e rivoltarono i valori in direzione di se stessi, come se soltanto il ‘cristiano’ fosse il senso, il sale, la misura e anche il giudizio finale di tutto il resto”.

In questo senso si può dire che Nietzsche sia paradossalmente il solo “cristiano” oltre a Cristo in grado di riconoscergli la propria natura di messaggero. Gli altri, i seguaci, i “mentitori” istituzionali, corrompendone il messaggio, ne hanno stravolto alle fondamenta la possibilità di proporsi come exemplum. Un exemplum che per mille ragioni – a partire da quell’equalitarismo che pur mal s’attaglia all’animus aristocratico di Nietzsche – il filosofo tedesco non aveva ragione di dover venerare né di assecondare; ma che se non altro lo avrebbero potuto collocare su un piano di concorrenzialità filosofica degna delle profondità di un vero ri-pensatore.

Senonché l’anticristianesimo del cristianesimo vanificò a tal punto la portata rivoluzionaria del Cristo da farne l’emblema della sua impossibilità storica di essere ricordato per ciò che incontrovertibilmente fu: un maestro depauperato del proprio vigore spirituale proprio dai suoi medesimi discepoli.

Correlati

Ti potrebbe interessare