Si chiama Ruby Gillman - La ragazza con i tentacoli la risposta della DreamWorks a La sirenetta Disney (quella del 2023). Come il prodotto cinematografico che sfida - o alla cui fama si accoda - uscendo nelle sale negli stessi giorni, anche questo aveva un potenziale simbolico che non ha sfruttato, se non per confermare uno status quo. Il mostruoso femminile, il collegamento con l’ecologia, le sirene e, in questo caso, il kraken. Affrontare tutto questo per riproporre concetti misogini: a quanto pare era possibile. Si dirà che è un cartone per bambini. È vero, e questo rende il ricorso agli stereotipi più grave, perché i piccoli fruitori hanno ancora meno strumenti per scandagliarli e liberarsene a tempo debito.
Il cartone rispolvera il mito del kraken, oltre a quello della sirena (di cui si è parlato abbondantemente in questo articolo). Un piccolo excursus: pare che perfino Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, avesse scritto di questo enorme calamaro. Le storie di avvistamenti di kraken (o di cefalopodi giganti) furono longeve e prese più sul serio di quelle relative alle sirene, e continuarono fino all’Ottocento. A quel punto sembravano così veritiere che il malacologo francese Pierre Denys de Montfort incluse le creature, credendole reali, nel suo trattato enciclopedico sui molluschi. Gli altri scienziati lo presero in giro, e lui pensò bene di passare il resto dell’esistenza a cercare di dimostrare l’esistenza del kraken, cosa che ovviamente ne stroncò la carriera. La storia del kraken ha più a che fare con gli uomini che con le donne, eppure in questo cartone, sulla scia di un #MeToo contemporaneamente disprezzato e sfruttato economicamente da varie narrazioni cinematografiche, si è scelta una protagonista donna. Nessun problema, se non fosse che la narrazione è misogina.
La trama, in breve: Ruby Gillman è un’adolescente come le altre, solo che è blu. Nessuno si accorge della sua somiglianza con un calamaro. Al massimo - viene detto - “sarà canadese”. La storia statunitense-centrica continua mettendo pacificamente in scena i soliti topos che le appartengono: il ballo della scuola, la lotta con la madre per poterci andare, il conflitto con la bella del liceo. La bella del liceo, in questo caso, è una sirena. Ed è proprio su di lei che si scatena tutta la misoginia del cartone. Viene definita «la creatura più assetata di potere e più pericolosa di tutte. Le sirene sono egoiste, vanitose, narcisiste». Le viene messo un telefonino in mano e si propone il parallelismo (mai approfondito a sufficienza) con una qualunque influencer.
La sirena si finge amica di Ruby, ma la morale di tutta la storia sarà: non fidarti della ragazza bella. Si ripropone una divisione nettissima tra quella “diversa da tutte le altre” (è in effetti un calamaro), che vive nella polarizzazione da partita a ping pong tra “sei un mostro” e “sei speciale”, e “le altre”. In particolare se le altre corrispondono a dei canoni estetici non stabiliti da loro, se sono quel che si suol dire “belle”. La morale sembra proprio essere: guardati dalle altre donne.
Il fatto che un altro prodotto per ragazzine decida di portare il messaggio per cui bisogna diffidare delle altre donne, in particolar modo delle cosiddette belle, è dannoso e fuori tempo massimo.
Inutile dire che il lieto fine è il coronamento del sogno d’amore eterosessuale con un lui che non ha fatto niente per tutto il film se non andare in skateboard.
“Se puoi immaginarlo puoi farlo”, diceva Walt Disney. E se non puoi immaginarlo? Se l’immaginario è intasato di competizione femminile spacciata per l’ennesimo film “con protagonista donna” (e dunque, secondo qualcuno, femminista)?
È in questo solco di senso e di possibilità che speriamo si aprano nuove narrazioni, con più - invece che meno - cura se rivolte ai piccoli e alle piccole.