In un bellissimo libro-intervista pubblicato da Casagrande nel 2000, La memoria della Shoah, Matteo Bellinelli pone a un certo punto allo scrittore israeliano David Grossman una domanda che ha il sapore della preveggenza. Senza sapere che 23 anni dopo l’interrogativo avrebbe assunto i contorni della polemica, chiede: “Nessuno più di un ebreo sembrerebbe indicato per capire un palestinese. La creazione di uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano non sarebbe un atto inevitabile e giusto?”
La risposta di Grossman è riecheggiata da allora su tutti i giornali del mondo, ma dal punto di vista politico è rimasta lettera morta: “Inevitabile e giusto. Penso che i palestinesi abbiano diritto a uno Stato tutto loro. Sono un popolo così tormentato, è davvero giunto il momento che dispongano del loro Stato accanto al nostro, naturalmente con le dovute garanzie di sicurezza per Israele”.
L’allarme sull’attendismo colpevole di chi gioca sul fattore tempo per rendere sempre più complicata la soluzione di “due popoli, due Stati” si tramuta di conseguenza in un monito che sembra prendere di mira gli stessi governanti e terroristi che imperversano sul tavolato mediorientale: “Il mio più grande timore è che il Medio Oriente è pieno di pazzi e fanatici che vorranno usare il tempo che ora stiamo perdendo nel processo di pace per i loro scopi, per i loro interessi”.
Il fatto, ormai acclarato e trasversale, che siano gli scrittori a prendere posizione contro i rispettivi oltranzismi – i quali oltranzismi vorrebbero delle due l’una: o la dissoluzione di Israele o la dissoluzione della Palestina – la dice lunga su quella che in tempi non sospetti qualcuno ha definito l’inutilità della letteratura. Ma ci pone anche di fronte a una responsabilità morale irrinunciabile, che in definitiva coincide con una domanda non meno irrinunciabile: che mondo sarebbe il mondo se non esistesse nemmeno la resistenza, utopistica o marginale, degli intellettuali e degli artisti?
David Grossman è una delle voci che maggiormente incarna questo orizzonte di ribellione allo status quo del solpsismo politico: una delle poche in grado di ricordarci che il principio fondativo della pace non è nella soluzione unilaterale ma nel dovere alla rinuncia, laddove ragioni e torti cessano di essere altere figure dell’intangibilità ma lasciano il campo al buon senso morale dell’empatia, della comprensione e della reciprocità. Ma affinché un simile atteggiamento possa prendere corpo è imprescindibile uscire da se stessi, non essere prevalentemente se stessi ma osare quel salto morale che è il cuore stesso dell’agire letterario: porsi nei panni altrui.
Il pregio dell’intervista di Bellinelli è aver portato Grossman su questo terreno di ontologico parallelismo tra israeliani e palestinesi, di averlo indotto a dichiarare che ogni azione veramente cogente del pensiero e della parola presuppone, per così dire, un moto di identificazione. Allora sì, nel 2000 come oggi, parlare di corrispondenze tra ebrei e palestinesi, tra una tragedia irreparabile come la Shoah e una tragedia come quella imposta al popolo palestinese, non è più bestemmia ma naturale sensibilità del cuore e della mente. Dice Grossman ricordando le iniquità perpetrate tanto da Israele quanto dai paesi arabi nei confronti dei palestinesi: “Pensi: l’uno per cento del bilancio annuo dell’Arabia Saudita basterebbe a risolvere i problemi di tutti i rifugiati della Cisgiordania e di Gaza”.
La denuncia di Grossman riecheggia sull’attualità come un grandioso monito universale. Mentre il governo Netanyahu perpetua il proprio massacro, nel Golfo Persico e nelle petrolmonarchie si spendono miliardi per importare moda, calcio, alberghi di lusso e quant’altro possa soddisfare i capricci di lusso della borghesia satolla. E mentre a Gaza e in Cisgiordania la morte è verbo quotidiano, ovunque qualche risibile percentuale di denaro permetterebbe di risolvere il conflitto mediorientale in un battibaleno, tale capitale è impiegato per sollazzare le masse di beni del tutto superflui.
E precisamente in questo risiede lo scandalo: che, come dice Grossman, secondo quella che viene oggi considerata un’irricevibile bestemmia, “non si rimedia a un’ingiustizia creandone un’altra”.
Come si rimedia allora a questo stato di cose prossimo al disumanismo più estremo? E soprattutto: quanto può la letteratura, il pensiero, per scongiurarne un’ulteriore disumanizzazione? Grossman sembra porre la questione da una prospettiva di tragico disincanto, affermando: “Dentro di noi, in fondo ai nostri cuori e alle nostre menti, non siamo preparati alla pace”.
E dunque cosa? Bisogna rassegnarsi alla guerra? Non esiste altra prospettiva se non la guerra? No, bisogna uscire dalle logiche della guerra e in primo luogo dal principio aberrante secondo il quale a consentire la reciproca convivenza possano provvedere solo forza, potere militare e armi.
David Grossman sulle spalle di due giganti
Diderot 12.04.2019, 17:05
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E qui la conclusione di Grossman è talmente perentoria, nella sua semplicità, da farci trasalire: “Noi che crediamo nel dialogo e nella pace siamo accusati di essere pazzi e illusi. Ma la nostra non è un’illusione, è un sogno; e i sogni sono una delle componenti migliori e più sane dell’essere umano. Certo, a noi qui serve un esercito forte: ma la sicurezza maggiore è anche e soprattutto nella qualità della vita, in un forte e ragionato senso di identificazione con un luogo e un ideale”.
Ecco, ci vorrebbe davvero pochissimo: pochissimi soldi, una qualità di vita sufficiente a palestinesi e israeliani per convivere senza dover cercare di strapparla al destino con la violenza delle armi.
Le disperate speranze che la letteratura ha sempre posto nell’idea che, come dice Grossman, solo “la buona volontà” può risolvere il problema alla radice, resta dunque forse la nostra unica carta da giocare. Poiché se la volontà è sempre e solo cattiva volontà di difendere la propria identità contro chiunque non corrisponda alla nostra idea di Storia e verità, è evidente che l’unico idolo a trionfare sarà sempre e soltanto quello degli interessi. I quali, come ormai abbiamo ben compreso, della pace non hanno mai saputo che farsene.
David Grossman, Amos Oz e la pace
RSI Info 12.04.2019, 18:39