Letteratura

Il centenario di Goliarda Sapienza

Il suo “cantiere letterario” riserva ancora molte sorprese a chi ha la gioia – e il coraggio – di tuffarsi nel magma libertario di quest’autrice. Sempre più centrale nella letteratura italiana del Novecento.

  • 10 maggio, 08:12
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Di: Lou Lepori

Una “monaca marxista spretata”, così si definiva Goliarda Sapienza (10 maggio 1924 – 30 agosto 1996) ) come racconta Angelo Pellegrino, suo compagno ventennale e curatore dell’opera complessiva. Oggi L’arte della gioia è un libro di culto, adulato dalle giovani generazioni, ma il ponderoso romanzo che Sapienza mise dieci anni a completare – vasto affresco su più generazioni, incentrato sulla figura spregiudicata di Modesta – è stato riscoperto con quarant’anni di ritardo, nel 2005, grazie a un’editrice e a una traduttrice francesi. D’allora in poi la sua fama non ha smesso di crescere: a Catania, Parigi, Rennes oggi si organizzano convegni, si pubblicano biografie e monografie, è venuto insomma il tempo della rivalsa per un’opera fuori dagli schemi. Come Elsa Morante (criticata dall’intellighenzia degli anni Settanta), Sapienza dà nuova linfa al romanzo storico, ma in una prospettiva tutt’altro che conservatrice. Con una cultura straordinaria che guarda sia al mondo dell’anarco-socialismo materno (e alle opere di Alexandra Kollantaï) sia al monito gramsciano per una lettura nazional-popolare; con addentellati nella cultura francese (Diderot, Laclos) e britannica (Sterne).

Seguirla nelle cinquecento pagine del romanzo significa dribblare tutte le frontiere; il romanzo diventa teatro, trattato, diario; le buone regole della morale etero-maschilista saltano come birilli; ogni virtuosa saggezza – anche quella dell’età – lascia il posto a spavalda agency femminile, con una fiducia incrollabile nella letteratura: “chi nasce col talento del raccontare è anche uno che guarisce” dice uno dei personaggi. Una sovversione al contempo sottile e quasi spaccona, ma contraria a tutte le ideologie: “non diventarmi fanatico della gioia” avverte la protagonista, rivolta al nipote Carletto a fine libro. Ora che abbiamo a disposizione la ristampa di molti suoi romanzi (tra cui lo strepitoso Io, Jean Gabin in cui l’autrice racconta l’infanzia siciliana e s’immedesima nel torbido eroe cinematografico) sappiamo che quello di Goliarda Sapienza era un mondo creativo denso, barocco, indomito, antesignano dell’autofiction contemporanea, non a caso raccolto sotto il titolo complessivo di Autobiografia delle contraddizioni.

E possiamo leggere i testi che vanno dall’esordio presso Garzanti del 1967 (Lettera aperta) ai taccuini scelti e editi da Pellegrino (500 delle 8000 pagine originarie, la Scrittura dell’anima nuda). Per usare l’espressione della romanziera militante Monique Wittig, quello di Sapienza era un vero “cantiere letterario”, che riserva e riserverà ancora molte sorprese a chi ha la gioia – e il coraggio – di tuffarsi nel magma libertario di quest’autrice. Sempre più centrale nella letteratura italiana del Novecento.

Rete Due dedica un approfondimento a Goliarda Sapienza, a cura di Lou Lepori, con Angelo Pellegrino, Nathalie Castagné (traduttrice dell’opera omnia), Gloria Scarfone, Manuela Spinelli (sul successo postumo e le nuove ricerche in corso) e Maria Morelli (che ne ha studiato la componente femminista)

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