Letteratura

Il panettone non bastò

Trentatré racconti all’insegna della critica al consumismo e ai gesti meramente formali che soffocano lo spirito natalizio

  • Ieri, 08:06
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Buzzati in Via Solferino, sede storica del "Corriere della sera"

Di: Raffaele Pedrazzini 

Il panettone non bastò, spaccato dissonante del Natale secondo Dino Buzzati, raccoglie una varietà di scritti, racconti e fiabe che, al di là dell’occasione festiva, pongono l’accento sull’usura dei riti, sull’ambiguità della tradizione e su un mondo in perenne mutamento. A differenza dei più noti racconti a tema di altri autori, i testi di Buzzati si muovono in un territorio critico, dove la festa appare come un meccanismo inceppato.

La miscellanea, curata da Lorenzo Viganò per le edizioni Oscar Mondadori, offre un ventaglio di prospettive: alcuni racconti si sviluppano come piccole parabole sul vuoto dei gesti convenzionali, altri documentano l’atmosfera delle vie illuminate, dipingendo una Milano che potrebbe essere ovunque, tanto risulta spersonalizzata e dominata dall’urgenza del consumo. È il caso di narrazioni brevi in cui l’autore osserva i passanti, i negozianti affaccendati, l’aria insoddisfatta di chi, pur circondato da addobbi e ghirlande, non riesce a intercettare un autentico sentimento di festa.

24:39

A casa di Dino Buzzati

RSI Cultura 28.03.1968, 15:48

L’autore si comporta come un anatomopatologo del rito, scomponendo il Natale nei suoi minimi costituenti (l’albero, il presepe, la corsa ai regali, le decorazioni, il Gesù bambino) non per incensarli, anzi, ma per mostrarne logore retoriche. La festività, privata delle sue sicurezze, scivola in una serie di interrogativi sul senso della tradizione e sulla capacità di rinnovarla (o preservarla, che sia), tant’è che anche l’appiglio culinario del dolce natalizio si dimostra insufficiente.

Lontano dalle redenzioni dickensiane e abbandonate le atmosfere magiche di maestri del racconto festivo (Hoffmann, per citarne uno), Buzzati non si lascia tentare da soluzioni consolatorie. Anno dopo anno, l’autore registra infatti contraddizioni, incertezze, mode e crisi di senso, offrendo al lettore una sorta di elzeviro (termine a lui tanto caro) della trasformazione collettiva, a specchio delle ansie e delle inquietudini del proprio tempo. Si rileggono così, e tra le righe dei testi della raccolta, la ricostruzione postbellica dell’Italia, l’avanzata del benessere (l’autovettura, la televisione, la vacanza), la comparsa di nuove tensioni politiche, tragedie di vario stampo (Albenga nel 1947, per esempio) e, infine, l’emergere di sensibilità alternative alla fine degli anni Sessanta.

Osservando il Natale, analizzandolo (e quindi prendendolo anche a pretesto), Buzzati avverte che la società ha imboccato una strada nuova, la strada del progresso, e di conseguenza della razionalità, del positivismo, del “pane al pane” e questo, conoscendolo e conoscendo il “suo” mondo, lo inorridisce. E lo preoccupa. Lui che ha sempre reclamato il ruolo fondamentale della fantasia, fors’anche come via di fuga da una realtà grigia e meschina, riconosce un pericolo che fino a qualche tempo prima non poteva neanche immaginare: l’inizio di una fine, di un lento e inesorabile disgregarsi della sfera delle emozioni, l’annullamento dell’altro mondo, di quel mondo parallelo che serve a nutrire e dare senso a quello in cui viviamo.

Lorenzo Viganò, da: “Gli strani Natali di Dino Buzzati”

Il risultato complessivo della raccolta è un mosaico di toni e registri: dalla cronaca di costume (Stupidità dei bambini) al racconto quasi fiabesco (Lo strano Natale di Mister Scrooge), dalla riflessione sulla perdita (Mio fratello aprì un pacchetto) alla caustica critica sul consumismo (Domani una grande occasione; Natale come una volta?). Il panettone non bastò offre un Natale frantumato, incapace di mantenere le promesse dell’immaginario collettivo.

La modernità di questo sguardo, a distanza di ormai qualche decennio, colpisce. Rileggere, in questi giorni, questo volumetto significa avvicinarsi a un autore che, pur lavorando su una delle ricorrenze più canoniche del nostro calendario, non si lascia irretire dal sentimentalismo. Anzi, l’intreccio fra cronaca e letteratura diventa uno strumento per leggere l’inquietudine contemporanea: anziché rinnovarsi in luce e calore, ci si chiede se il Natale non si restringa vieppiù a un’abitudine priva di vera sostanza. Questo senso di spaesamento e dubbio appare quanto mai attuale, come se l’antologia fosse un codice per interpretare anche il nostro, di presente, ricordandoci che il Natale non è necessariamente un assenso comunitario alla gioia e alla (ri)nascita, ma anche una lente sul vuoto, l’incomprensione, il conflitto e il disagio.

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