La figura dell’ucraino Vasilij Grossman non è notissima al grande pubblico. Ma si tratta di uno degli interpreti maggiori della Seconda Guerra Mondiale e del dramma dell’Olocausto, nonché di uno degli autori più emblematici dell’ultimo secolo. Il suo libro più rappresentativo è sicuramente Vita e destino, un romanzo dalle cadenze di memoriale e dalla potenza evocativa senza pari.
Costruito secondo modalità narrative “classiche”, ma con intrecci e rimandi temporali tipici della prosa novecentesca, Vita e destino costituisce una delle forme più riuscite di quella che potremmo chiamare intimismo collettivo. Se i manuali sulla Storia ci informano infatti degli eventi maggiori per grandi categorie storiche o politologiche, quel capolavoro ce ne illustra il carattere più immediato e umano e la loro caratura di fenomeni, in un certo senso, sentimentalmente irripetibili.

Per questo il titolo del libro – forse a suo modo altisonante, ma perfetto nella propria ambizione di raccontare l’Uomo dalla prospettiva dell’Uomo, non dell’onniscienza della Storia – accosta due termini apparentemente sinonimici: vita e destino. Perché la Storia che in esso è raccontata, a partire dalla terribile battaglia di Stalingrado, è senza dubbio espressa dalla potenza irrevocabile del destino, dalla fatalità delle cose e del male – ma anche dalla fatalità del bene e della speranza – che ne determinano la forma. Mentre l’essenza dell’umana esistenza, il peso insostenibile dell’immediatezza quotidiana, non possono trovare migliore sintesi che nella parola vita.
Vita e destino, dunque: una diade che in qualche modo riassume il rapporto eterno che l’essere umano intrattiene con il proprio tempo: da una parte essendone la risultante e non di rado la vittima (destino) ma dall’altra essendone l’artefice e il protagonista creativo (vita). A riprova che persino nelle condizioni storiche più dolorose – pensiamo alle tragedie che accompagnano la Seconda Guerra Mondiale, pensiamo allo stalinismo, pensiamo alla persecuzione ebraica da parte dei nazisti di Hitler – l’umano afflato alla resistenza, l’irriducibile passione degli uomini di fronteggiare il destino con la vita, di affrontare il destino opponendogli le risorse della vita, non vengono mai meno. Come se appunto, in questa guerra all’ultimo sangue (letteralmente e metaforicamente) tra Vita e Destino, il corpo e l’anima sapessero sempre individuare espedienti e risorse per consegnare la vittoria alla prima.
Significa questo che Vita e destino è un libro sulla speranza? O addirittura sull’illusione di mutare il corso della Storia? Niente affatto. Il romanzo di Grossman è al contrario di un realismo sconcertante, quello stesso realismo che ha tessuto le opere del premio Nobel ungherese Imre Kertesz (in particolare il romanzo Essere senza destino) e l’indimenticabile Se questo è un uomo di Primo Levi: entrambi autori che si sono misurati con l’orrore dell’Olocausto coartando il pensiero e il sentimento della Storia fino a piegarsi alle ragioni della speranza, dell’amore, della resistenza, della fiducia nella vita e persino della felicità.
Grossman compie però un’operazione che è a suo modo molto meno testimoniale in senso stretto che educativa in senso ampio. Mostrandoci, con precisione da amanuense, i dettagli più intimi della vita sotto Stalin, nonché sotto il giogo degli attacchi nazisti all’Unione Sovietica, ci esorta in realtà a ricordare sempre e comunque che la vita dilaga nelle sue passioni, nei suoi desideri e appunto nel suo vitalismo e nella sua vitalità, a prescindere da qualsiasi destino avverso le si stia scagliando addosso.
Alcune pagine del romanzo ricordano, per esempio, nella figura della combattiva Evegenija Nicolaevna, le infinite difficoltà di districarsi tra le strettoie della burocrazia stalinista e dei suoi scherani. Ma nello stesso tempo raccontano di una forza di sopravvivenza ai dettami di regime che ha quasi dell’innaturale. Così vale per le deportazioni ebraiche verso i cosiddetti “campi di lavoro” (in verità veri e propri “campi di sterminio”). Grossman non ne dipinge gli orrori dall’alto di una presunta onniscienza ma dal basso della capacità delle vittime di affrontarli. E senza mai dimenticare che la realtà – questo prodigioso incontro/scontro tra vita e destino – è fatta in primo luogo di coraggio, ci insegna che fuori dalla Storia del potere esiste – e sempre esisterà – una Storia dell’Amore in grado di trionfare.