Antonio Prete ha insegnato Letterature comparate all’Università di Siena, specialista di Leopardi, sul poeta recanatese ha pubblicato Il pensiero poetante uscito un paio di anni fa per Mimesis e La poesia del vivente per Bollati Boringhieri nel 2019. E poi, molti altri saggi, tra cui Nostalgia, storia di un sentimento uscito per Raffaello Cortina e Il cielo nascosto, Grammatica dell’interiorità, ancora per Bollati Boringhieri.
Con Antonio Prete vogliamo cercare di capire il rapporto di Leopardi con il Romanticismo. Sebbene, infatti, nell’immaginario collettivo si abbia tendenza ad ascrivere Leopardi i al romanticismo, la sua appartenenza al movimento è quantomeno discutibile.
In Italia, all’epoca di Leopardi, era dominante l’attenzione a una tradizione classica, questa attenzione si esprimeva soprattutto nel movimento del classicismo, che si opponeva alla cultura romantica europea. Leopardi si trova in mezzo a queste due espressioni. Infatti, se in Italia, in particolare a Milano, c’è un gruppo di giovani poeti che si dicono romantici (in polemica con il classicismo di Breme, Borsieri, Berchet), ecco che Leopardi si dichiara distante da questo gruppo. Nel suo Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (che troviamo originariamente nello Zibaldone nel 1817, e ripreso poi in altre raccolte) Leopardi, con molta chiarezza, pone una distinzione fra la sua riflessione sulla natura e quella dei romantici italiani.
Ma Leopardi non polemizza con i romantici europei, polemizza con i romantici italiani. E su un tema molto importante: la natura e come rappresentarla. Leopardi polemizza dunque con i romantici italiani e si trova in accordo con i romantici europei, con Schiller e Goethe. Qual è questa idea? È che la natura non si può rappresentare così direttamente, come dicono i romantici milanesi (i quali sostenevano che la natura è davanti a noi e ci ci parla e occorre solo intenderla e rappresentarla). Leopardi, invece, sostiene che la natura non può essere intesa perché sotterrata dall’incivilimento, incrostata dall’incivilimento.
Si tratta, dunque, di disincrostare la natura e togliere alla natura quello che la civiltà ha aggiunto e ritrovare la natura così come la leggevano e la interpretavano e la cantavano gli antichi. Ecco, gli antichi sono i mediatori che ci permettono di leggere ed ascoltare oggi la natura. Senza questa mediazione la natura ci appare intransitabile, tant’è che Leopardi si chiede come abitare la natura in un mondo snaturato. Esattamente la frase è: come abitare in un mondo snaturato la natura? Questa domanda è assolutamente attuale. Quindi il discorso di Leopardi è critico nei confronti dei romantici milanesi che, secondo lui, trasmutano la natura da fisica, corporale, materiale in metafisica, ragionevole spirituale. Quindi Leopardi rivendica un’idea di poesia in cui ci sia la fisicità, la corporeità, la materialità e questi sono elementi propri dell’antico, ma sono elementi anche che possiamo ritrovare nella cultura romantica.
Leopardi è, dunque, in sintonia con i romantici europei. Quindi possiamo parlare di un rapporto tra Leopardi e Keats, per esempio sul tema del fuggitivo (la bellezza che muore, la bellezza fuggitiva). E questo lo ritroviamo in particolare in A Silvia, che è un canto molto prossimo alla poesia di Keats. E così anche sul tema dell’infinito possiamo trovare delle relazioni tra Leopardi e Novalis o Hölderlin. E qual è la sostanza comune tra il Romanticismo che chiamiamo europeo e l’essere romantico di Leopardi? È l’idea di una natura vivente. Cioè la poesia deve accogliere e rappresentare e cercare di mostrare il vivente della natura, e quindi mettersi in ascolto del vivente, della natura.
Dossier: “Romanticismo” (3./5)
Alphaville 17.01.2024, 12:05
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