La recente vittoria al Campiello di un cosiddetto “giovanissimo”, Bernardo Zannoni, mi ha indotto a rileggere Il diavolo in corpo di Raymond Radiguet, che scrisse quel capolavoro, tradotto in oltre trenta lingue, a diciott’anni. Pubblicato in Francia nel 1923, l’anno stesso della sua morte, il romanzo non cerca lo scandalo, come è stata prassi nel conformismo “cannibale” degli anni Novanta – per restare al vizietto italico del “giovanilismo” – ma lo accoglie come ineluttabilità, anticipando in un certo senso quel lungo fiume “della dissacrazione” che da Miller a Burroughs è giunto poi fino a Pasolini e Busi.
In cosa esteriormente consista lo “scandalo-Radiguet” è presto detto: Il diavolo in corpo narra dell’infatuazione tra un adolescente particolarmente arguto e una giovane sposa, Marthe, di cui diverrà poi amante, il cui marito Jacques viene tradito proprio mentre sta servendo la patria in guerra. Un duplice abominio – il concubinaggio con un minorenne e il cinismo di chi approfitta della “eroica” assenza del marito impegnato al fronte – che pare abbia persino qualche corrispondenza nella vita dello stesso Radiguet. Abomini a cui si può aggiungere, per completare il quadro, il tragico e altrettanto “scandaloso” epilogo: Marthe rimane incinta del ragazzo e decide di dare al nascituro il suo stesso nome, spirando poi durante il parto.
Ci sono tutti gli ingredienti per gridare alla provocazione e all’immoralità. Ma il vero “scandalo-Radiguet” non sta appunto nella esteriorità di questa trama d’adulterio e d’inganno. A tale mero livello saremmo alle forme di un “cannibalismo” ante-litteram di nessun significato letterario né euristico. Il vero “scandalo-Radiguet” – che a suo modo, tempo prima, fu lo “scandalo-Flaubert” – è nel rappresentare l’immoralizzabilità della passione, la sua radicale incompatibilità con i princìpi della decenza e della corretta adesione alle regole di una società perbene. E qui emerge il genio di Radiguet, per molti versi assai più istintivo che ponderato: averci messi di fronte al fatto che la passione pura, il puro desiderio, l’amore incondizionato, sono di per sé istanze scandalose. E che laddove si persegue e difende il proprio sentimento, nessuna regola è più ammessa, tantomeno quelle del conformismo borghese.
Amare nel senso pieno del termine, secondo Radiguet, non solo comprende un affidamento totale alla corporalità e quindi al sesso, ma la rottura “scandalosa” di qualsiasi patto sociale precedente: amare significa amare a prescindere dall’età, dalle convenzioni, dai ruoli sociali, dalla morale e dalla convenienza: è un salto nel buio che pretende per sé solo l’accecante luce della passione.
In questo senso lo “scandalo-Radiguet” non è tanto sociale – anche se storicamente lo è stato – ma, come è dovere della letteratura, filosofico. Con Radiguet e il suo Il diavolo in corpo l’amore e la passione si liberano della loro fasulla immacolatezza e l’amore puro pretende per sé una dimensione d’assoluto che non può scendere a patti con nessuna convenzione esteriore o sociale. Anzi, l’amore puro rivela finalmente di saper essere cinico e cattivo, crudele e impietoso. E che se decide di proteggere se stesso dal mondo non esita a fare del mondo il proprio nemico.
E questo è appunto scandaloso e imperdonabile: questa interiorità della passione, che lungi dal presentarsi come coronamento di un sentimento armonico rispetto al mondo, si offre al nostro sguardo come antagonistico, come nemico, come avversario.
La radice dello scandalo – anche etimologicamente parlando – è d’altra parte sempre in questo scandagliare laddove lo sguardo non vuole scandagliare. E se è vero che ogni autentica passione se ne infischia del mondo e delle sue regole, allora è ineluttabile che a fronte di una passione dominata dal diavolo e dal corpo noi si debba ammettere che altro non può essere se non scandalosa.
Con Radiguet si esce dunque dal luogo comune dell’amore positivo per accedere a quella terra equivoca dell’amore negativo che pure non ne è la contraddizione ma l’espressione, seppur scandalosa, più autentica. E questo è appunto il segno della sua genialità: aver offerto le nostre coscienze alla natura terribilis della passione.