Dare una definizione esatta e circoscritta della filosofia di Miguel de Unamuno è un’impresa non meno avventurosa che avventata. Sono infatti moltissimi i cardini intorno ai quali ruota la sua opera, sia come scrittore che come filosofo. E cercare di obbligarli a una sintesi non farebbe in alcun modo giustizia della complessità del suo pensiero. Tuttavia un termine può essere richiamato come paradigmatico del suo lavoro intellettuale: libertà.
Si potrà dire, certo, che qualunque filosofia è sempre stata un richiamo alla libertà, un bisogno per l’uomo di rivendicare la sua libertà costitutiva. Ma quello che caratterizza nell’intimo il concetto di libertà in Unamuno è non solo averlo posto al centro della sua filosofia, ma in quel centro fondativo della stessa che è il confine tra vita e verità.
Unamuno lo dice in modo molto esplicito quando rimarca: «Bisogna cercare la verità nella vita, e cercare la verità nella vita vuol dire sforzarsi di elevare e nobilitare, nel culto della verità, la nostra vita spirituale, vuol dire non convertire la verità che è e deve essere una cosa viva in un dogma, che è una cosa morta».
Vita e verità trovano dunque in Unamuno il loro punto di convergenza: vita intesa come esistenza concreta, terrena, fisica, umana, verità come filosofia di tale vita.
Come va dunque definito il concetto di libertà in questo quadro? Essenzialmente come una libertà che induca l’uomo a smarcarsi da una serie di immobilismi che, se sono prossimi a quella che gli amanti della metafisica chiamano verità, sono tuttavia assai distanti da quella che Unamuno intende come cointeressenza tra vita e verità.
Libertà dovrebbe infatti essere in primo luogo libertà da ogni dogmatismo, fissismo, totalitarismo, immobilismo, astrattismo. Poiché cosa ce ne facciamo di una verità, di qualsiasi verità, se non riesce a calarsi nel vissuto e nell’intimo della vita? Unamuno lo precisa con una riflessione a suo modo definitiva: «Occorre considerare che vi sono verità vive e verità morte, o per meglio dire, posto che la verità non può morire né esser morta, c’è chi riceve alcune verità come cosa morta, puramente teorica, che non vivifica per nulla lo spirito».
Allora ecco che da questi princìpi si dipanano alcune riflessioni e atteggiamenti esistenziali che in qualche modo racchiudono la pluralità dello sguardo di Unamuno sulle cose e sulla realtà. Annota il filosofo spagnolo: «Erodoto narra che alcuni egiziani, vituperati quali traditori della patria per essere passati al soldo di un altro popolo, risposero a quelli che li ingiuravano mostrando loro le parti genitali dicendo: “Dove si recano questi, ivi si reca anche la patria”. Poiché il supremo prodotto storico non è la patria ma l’uomo: l’uomo, ecco il gran fatto della storia. E la gloria dell’uomo è l’ideale patriottico, l’ideale della grande patria umana».
In questo concetto di patriottismo è l’essenza del pensiero di Unamuno come libertà da qualsiasi confine che non sia quello tra l’umano e il non umano. La patria dell’uomo dev’essere l’uomo stesso, e il territorio dove l’uomo si riconosce nella sua natura più intima ed essenziale deve essere lo stesso uomo.
Si tratta di una posizione particolarmente feconda per capire la configurazione del nostro tempo, a partire dall’avvento della Modernità e dell’economia capitalista. Almeno due considerazioni ci raccontano a questo proposito quanto l’umano in sé debba rimanere per Unamuno barra di riferimento in qualsiasi circostanza storica ci troviamo a vivere: “Come non sappiamo considerare il vero valore dell’aria o della salute se non quando stiamo per affogare o ci troviamo ammalati, così nel valutare una persona dimentichiamo spesso il suolo fermo del nostro essere, quello che tutti abbiamo in comune, l’umanità, la vera umanità, la qualità di essere uomini e ancor prima quella di essere animali e cose. Fra il nulla e l’uomo più umile la diversità è infinita, fra questo e il genio molto minore di quel che una naturalissima illusione ci fa credere”.
Questa considerazione ci porta a riconoscere nell’umanità in quanto tale un universo di riferimento assolutamente imprescindibile, oltre il quale si stagliano le questioni più rilevanti implicate in chiave politica e sociale dall’avvento dell’economia capitalista. In un certo senso Unamuno condanna tutto ciò che il capitalismo ha prodotto in termini di disumanizzazione, quindi riporta il concetto di libertà e quello di dignità al centro di tutta la sua opera.
In forma di conclusione possiamo proporre queste sue considerazioni: “Tutto si riduce oggi, in ultima analisi, ad acquistare valore di scambio nel mercato per poter salire ancor più su. È questa la base del mandarinismo scientifico e letterario, la causa di quella che fu chiamata un giorno la malattia del secolo. E tutto ciò non è altro che conseguenza del processo economico capitalista attuale, in cui la vita degli uni è mero mezzo per la conservazione e lo sfruttamento della vita degli altri”.
Don Chisciotte della Mancia – Miguel de Cervantes
Laser 14.08.2012, 02:00
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