Il novantanove per cento del mare è nero. Niente luce, buio pesto, niente suoni, freddo. Cose, esseri che ci nuotano attorno, dominio totale dell’elemento, orientamento fragilissimo. Lì, là sotto, una piccola casa editrice indipendente italiana, hoppípolla, ha dato appuntamento a Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraf, chiedendogli di annegarci. Il risultato è Racconti oceanici, una raccolta di sei racconti, tre di Poe e tre di Lovecraft, naufraghi da qualche parte, nel mare. O meglio nell’oceano, che del mare è la versione selvatica, poco addomesticabile, non sempre navigabile, in larghissima parte sconosciuta. Una selezione attenta, misurata ed efficace, con cui i due americani maledetti, come abili kraken abitanti del nero umano, riescono a far sprofondare il lettore tirandolo per i piedi.
La prima cosa bella di Racconti oceanici è l’edizione, blu notte e argento, leggermente fuori formato, larga e spaziosa, morbida nella forma e robusta nelle pagine arricchite dalle illustrazioni di Sara Pelagalli, ottima traduttrice di ansie altrui. A ben vedere e ben leggere, anzi, l’edizione è l’unica cosa bella di Racconti oceanici; poi inizia l’incubo. Quello sceneggiato dal nostro inconscio e perfettamente trascritto da Poe e Lovecraft, autori dannati a cavallo di due secoli che - grazie a loro - possono tranquillamente dirsi bui. Due autori neri proprio come l’oceano e come l’oceano profondi e ignoti. Se il mare copre il 70% del nostro pianeta, Poe e Lovecraft riescono a rendere invivibile pure il restante 30%, quello in cui stiamo noi. Quello che siamo noi, e che loro sanno scandagliare con ferocia puntuta, scontando nulla e anzi, affondando le unghie dove fa più male per poi lasciar depositare la salsedine.
Racconti oceanici, Hoppípolla Edizioni (2021).
«Era come se il mare li avesse trascinati nelle sue profondità e nell’oscurità li avesse macerati finché, persuaso che non fossero più di alcuna utilità, li avesse rigettati a riva in uno stato agghiacciante». Howard Phillips Lovecraft, L’oceano di notte
Racconti oceanici inizia con un’immersione, chiaramente senza lasciare il tempo di prendere fiato. Una discesa nel Maelström (A Descent Into the Maelström, 1841), di Poe, è un racconto che del mare ha tutto: marinai, barche, sapere, ma soprattutto mistero, forza e ineluttabilità. È il mare nella sua forma e anima di gigantesco essere vivente, è l’immenso ideale in cui sparire, vortice spietato che tutto inghiotte e sfracella, per il gusto di farlo. E L’orrore di Martin’s Beach (The horror at Martin’s Beach, 1922), di Lovecraft, è il suo contraltare d’un secolo dopo, in cui di nuovo a dominare le pagine e i brutti sogni è la natura distruttiva, inarrestabile e sorda, che fa di nuovo quel che le pare, a prescindere dalla nostra presenza. Più o meno come noi con lei.
Racconti oceanici poi avanza, si infila, si bagna di quel nero che è mare ma pure inchiostro. Lo fa ne Il faro (The Light-House, 1849), l’incompiuto di Poe, il suo tribolo senza fine, e lo fa in L’oceano di notte (The night ocean, 1936), rimbalzando verso l’altro finale, quello di Lovecraft. E di Lovecraft è pure Il tempio (The Temple, 1920), per molti il remake d’un secolo dopo di Manoscritto trovato in una bottiglia (MS. Found in a Bottle, 1833), il primo racconto breve con cui Poe, vincendo un premio letterario, sembrava aver conquistato l’attenzione. Peccato fosse un’attenzione furiosa; il maledetto di Boston fu detestato, odiato, disprezzato. Lui, che metteva mani e penna nel dolore, nello sfacelo e nel fallimento, che non aveva temi di cui parlare perché preferiva restare nel (dis)umano. Il suo tema eravamo noi, possibilmente nel nostro versante in ombra. Pescando continuamente nel peggio, in un indicibile che tale - per i coevi - doveva rimanere, Poe non concedeva respiro o speranza. E a rimanere senza voce, coperto di improperi, fu lui. A sollevargli la testa dal fango, nel ‘900, fu proprio Howard Phillips Lovecraft, altro maledetto isolato, altro cittadino dell’orrore ben prima che d’America. Per lui Poe fu poeta e maestro, ispirazione e scintilla, e in 138 anni di esistenze distanti ma prossime, e benché sconosciuti a loro stessi, dipinsero insieme un’epoca della letteratura americana simile a un macabro Goya, a un Saturno che divora i suoi figli. Poi il primo morì matto, il secondo solo. Entrambi male.
Edgar Allan Poe, "Un sogno dentro un sogno"
Colpo di poesia 27.05.2022, 22:00
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«Raccontai loro la mia storia, ma non mi credettero. Ora la racconto a voi, e so di non potermi aspettare che ci crediate più degli allegri pescatori di Lofoden». Edgar Allan Poe, Una discesa nel Maelström
Eccolo Racconti oceanici, bello e infallibile. E fa sorridere che a pensarlo e proporlo sia stato un editore, per l’appunto hoppípppolla, il cui nome - come i Sigur Rós insegnano - in islandese significhi qualcosa come “saltare nelle pozzanghere”. Perché qui di divertente c’è poco, se mai ci fosse un bambino facilmente somiglierebbe a quello che ne L’avvocato del Diavolo gioca con le ovaie di sua madre e la pozzanghera tende alla fossa delle Marianne. E altro che Sigur Rós; a volerci saltare dentro, sondata la profondità delle pagine e del loro buio, l’accompagnamento ideale potrebbe essere il Requiem di Ligeti.
Howard Phillips Lovecraft, "Il richiamo di Cthulhu" presentato da Nicola Berva
Speciali 20.08.2015, 22:00
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