Letteratura

Qui non c’è niente per te, ricordi? 

Sarah Rose Etter approfondisce il buco nero dell’ansia nell’universo dello smartworking che si mangia la dimensione sociale del lavoro

  • 3 ore fa
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Di: Nadeesha Uyangoda 

Vi parlo questo mese non ha esattamente un titolo accattivante: si chiama, Qui non c’è niente per te, ricordi? ed è pubblicato dai tipi di La Nuova Frontiera. Devo dire che il titolo originale – della copertina nemmeno vi dico, spesso le edizioni americane e inglesi hanno quel qui in più – Ripe, con sotto l’immagine di un melograno strizza molto di più l’occhio al testo. Ma veniamo alla tramaCassie lavora per una delle tante start-up che, come funghi, infestano la Silicon Valley, ha trentatré anni e da tutta la vita condivide l’esistenza con un buco nero che la segue ovunque. Da qui la sua ossessione per i buchi neri, su cui ha fatto ricerche e letto articoli con l’ultimo fine di scoprire qualcosa di più su quella tristezza, nostalgia, ansia che sin da piccola non le dà scampo. Di fianco ai flashback nella sua infanzia in un paesino dell’East Coast dove non c’è nulla, se non una centrale elettrica intorno a cui ruota la vita, e da cui Cassie riesce ad andarsene per frequentare l’università e lavorare poi, ecco, di fianco a questi flashback introdotti da definizioni estrapolate da dizionari, c’è tutta la contraddizione di chi abita-lavora a San Francisco. Mi viene a proposito in mente un editoriale di Massimo Giannini a proposito dello smartworking che si sarebbe mangiato la dimensione sociale del lavoro (colleghi antipatici, traffico, alzarsi all’alba, benzina, pause pranzo gastronomicamente deludenti ed economicamente eccessive). Il pezzo alla fine dava ragione a Jeff Bezos, fondatore di Amazon, e nostra bussola verso il nord, visto che dal 2025 avrebbe chiesto ai dipendenti di rientrare in presenza al lavoro. Cassie fa la direttrice creativa in una realtà forse non differente da quella di Amazon, guadagna un buono stipendio, che spende quasi totalmente per l’appartamento che affitta, per fare la pendolare verso il lavoro, per farsi di coca e ogni giorno ricominciare da capo. Il buco nero di depressione e ansia, s’ingrandisce e si rimpicciolisce, l’accompagna ovunque – la domanda è se finirà per fagocitarla o sarà lei a decidere di scoprire cosa c’è oltre.

03:11

Recensione di “Ripe” di Sarah Rose Etter

Nadeesha Uyangoda, Mirador, Rete Due 23.11.2024, 14:30

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