Letteratura

Roberto Pazzi

O del “romanzo antistorico”

  • 31 gennaio 2024, 11:31
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Di: Marco Alloni  

È di tutti gli autori di levatura indagare il lato sommerso della realtà, quello che Tabucchi chiamava il “rovescio”. Non tanto per gusto di ribaltamento, come è in genere nelle nature creative, ma perché chiunque abbia dimestichezza con parola e pensiero sa che “verità” è un termine accessorio – non meno che arbitrario – per suggerire il suo oltrepassamento e quindi la sua perpetua natura in divenire.

Roberto Pazzi, scomparso poco più di un mese fa, è uno degli esponenti più emblematici di questa poetica del rovescio, di questa etica dell’oltrepassamento, di questa filosofia della verità come verità in divenire. E lo è tanto sul piano poetico che su quello narrativo, sia in chiave contemporaneistica sia in chiave storica.

In che senso egli – in una produzione che supera le trenta opere – ha operato all’insegna dell’etica e della poetica sopra ricordate è presto detto. Nel presente egli ha ribaltato l’ovvio cercando di scandagliare, della realtà, le retrovie e il dissimulato. Nel passato ha riportato alla luce, fuori dalle predilezioni dei vincitori, le verità dei vinti.

Il punto di sutura tra questi due orizzonti della sua opera – che vanno dai cosiddetti “romanzi storici” da una parte (a partire da Cercando l’imperatore per arrivare a Verso Sant’Elena) ai cosiddetti “romanzi immaginativi” dall’altra (basti ricordare La città volante o Domani sarò re) – è in un dato a nostro avviso cruciale: aver rifondato Pazzi il principio di sovranità dell’immaginazione contro il principio di sovranità del potere.

Allora ecco che i suoi protagonisti sono quasi sempre figure – o ambientazioni (si pensi alla surreale descrizione del Conclave) – che l’ufficialità, la Storia come mappa dei potenti e dei vincitori, irridono alla radice per mostrarci il lato in ombra dell’umano. Si fa conformisticamente un idolo della Rivoluzione bolscevica? Pazzi riabilita l’ultimo zar Nicola II. Si fa pedissequamente di Giuda un traditore? Pazzi lo risolleva dall’anatema e lo riconsegna alla giustizia che la Storia gli ha sottratto. Si fa del Pontefice un depositario infallibile di verità? Pazzi lo riconsegna alla piccineria degli uomini qualunque. Si fa dell’omosessualità una colpa sociale? Pazzi la ridisegna come la più naturale delle condizioni. Si fa dei trionfatori i legittimi proprietari della memoria? Pazzi riesuma i vinti dalle terre dell’oblio. La Chiesa fa di se stessa una macchietta formale della fratellanza? Pazzi riabilita la fratellanza nel senso più cristico e meno ecclesiastico del termine.

E così alla sua opera, più che l’abusata etichetta di romanzo storico, sarebbe forse opportuno prestare quella di romanzo antistorico. Laddove per Storia si dovrà a questo punto intendere, in senso ampio, la versione maggioritaria e di facile consumo, mentre per antistoria il principio, in Pazzi addirittura morale, secondo cui la verità è appunto sempre nell’oltrepassamento, se non addirittura nella compresenza tra opposte dimensioni della realtà.

In questo senso, come tutti i narratori sensibili e consapevoli della natura equivoca, enigmatica, ambigua e friabile della realtà, Pazzi pone in atto, con i suoi libri, un modus interpretativo del mondo che è a un tempo euristico, ermeneutico e filosofico. La sua filosofia pronunciandosi eminentemente in un perentorio: il tessuto del reale è la sommatoria di ciò che il verbo ufficiale vorrebbe ridurre a esclusione reciproca. Detto in altri termini: per Pazzi la letteratura è abbraccio, accoglienza e riabilitazione non tanto e non solo in quanto mise en abyme del potere, ma in quanto restituzione alla luce di ciò che il potere tendenzialmente annienta.

In questa attitudine è il segno di una “aristocraticità del gusto” che paradossalmente collima con un “socialismo dell’anima”. O altrimenti: perché indagare le vaste lande del “non detto”, gli sterminati territori del “rimosso”, se non perché è questione di giustizia fare letteratura nel segno e nel senso della riconsegna alla parola, alla voce, dell’universo tacitato dalla Storia?

Antitetico, prima ancora che antistorico, il suo percorso narrativo (ma anche poetico) rimane dunque come un segnale di quella vocazione al “viaggio” – nel significato più esteso che si dovrebbe conferire al termine – che la letteratura è sempre stata: itinerario verso l’alterità e l’altrove, la memoria perduta e il mito, che pone di fatto ogni letteratura degna di questo nome nel novero delle prassi cosiddette militanti, cioè – secondo un’etimologia spesso abusata – impegnate a dire ciò che si è voluto occultare, a denunciare ciò che si è voluto assolvere, a riabilitare ciò che si è voluto dannare.

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"Cercando l’Imperatore" di Roberto Pazzi (2./5)

Blu come un'arancia 21.06.2016, 18:20

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