Sedici mesi: questo è il tempo di prigionia di Giuseppe, falegname di Cremenaga catturato durante l’occupazione nazista in Italia, mentre aiutava chi era in fuga dal regime a passare in Svizzera attraverso il fiume Tresa. Sedici mesi è anche la durata della difficile separazione del protagonista dalla sua giovane moglie, Concetta, che si ritrova improvvisamente senza marito con due figli da crescere in tempo di guerra.
Giuseppe verrà deportato a Mauthausen, Concetta resterà a casa con i figli e i nonni in attesa del suo ritorno, cambiando ogni giorno il vino di quel bicchiere rimasto sul tavolo quando i soldati lo portarono via. Perché al suo ritorno tutto torni come prima. Sarà possibile?
Sedici mesi è anche la storia dei nonni di Fabio Andina, autore ticinese che con questo libro ha vinto uno dei prestigiosi Premi svizzeri di Letteratura 2025. Una storia d’amore, una storia famigliare, un libro che può tranquillamente rientrare in quel filone tristemente chiamato letteratura della deportazione. Un romanzo scritto nel tempo e sul tempo, partendo dai ricordi e dalle poche tracce, poi divenuto anche opera di finzione narrativa, con un’operazione di autofiction retroattiva.
Sedici mesi
Alphaville 25.09.2024, 11:30
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La scrittura colloquiale, che ha da sempre caratterizzato lo stile dell’autore malcantonese che vive oggi a Leontica al limitar del bosco, compone questo libro in un continuo alternarsi tra due punti di vista opposti, quello del deportato e quello della giovane moglie che lo aspetta. Con Andina siamo abituati a immergerci nella semplicità della quotidianità rurale, selvatica, con personaggi caratteristici e una vita che corre parallela seguendo un ritmo tutto suo, più legato alla montagna che al tempo contemporaneo. In questo caso però, torniamo indietro nel tempo, in un periodo buio della Storia, non così lontano in fondo da quanto si vive oggi non lontano da qui. Ci spostiamo dalla valle di Blenio della Pozza del Felice, altro suo romanzo di grande successo, vincitore nel Premio Schiller nel 2019, e andiamo a Cremenaga, sulle rive della Tresa. Perché tornare indietro? Perché raccontare la storia della propria famiglia rimasta volutamente nascosta per anni?
Tornato dagli Stati Uniti nel 2001 dove avevo studiato cinema, ho sentito l’esigenza di scoprire cosa fosse successo a mio nonno durante il periodo di Mauthausen. In famiglia si diceva sempre, “il nonno ha fatto Mauthausen”, ma cosa voleva dire? Quando era tornato, con il libretto in tasca rilasciatogli dal Terzo Reich, aveva negato tutto, persino il suo arresto, avvenuto sotto gli occhi di tutti.
Una storia che necessitava forse dell’oblio perché potesse permettere la sopravvivenza di chi l’aveva vissuta. E così tutto diventa tabù, non se ne parla in famiglia, o se lo si fa, è con grande mistero. Ma da quel libretto che lo aveva distrutto, Andina decide di ricostruire. Dapprima le ricerche non portano a nulla, quindi vengono abbandonate e riprese quindici anni dopo.
Con l’aiuto di uno storico di Varese ho iniziato a ricostruire, abbiamo individuato alcune tracce che mi hanno portato in Austria, in Italia, in Svizzera. Ho trovato i registri delle prigioni dove il nonno era stato imprigionato, i fogli originali scritti a matita, con le date di entrata e uscita. Il numero del vagone su cui era stato caricato, il viaggio della morte.
Premi svizzeri di letteratura
Alphaville 13.02.2025, 11:05
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E cosa può fare uno scrittore con tanto materiale per le mani, anche se doloroso? Ricostruisce la memoria come può, anche romanzandola perché i buchi lasciati nella Storia dai nazisti in fuga sono molti. In famiglia si risveglia l’interesse, Fabio ha iniziato a cercare, chissà cosa troverà.
Andina come detto non si limita a raccontare la deportazione e la vita nel lager, ma dice al contempo del paese che Giuseppe ha lasciato, la sua famiglia, la guerra di chi resta.
La prima stesura sembrava un saggio storico, qualcosa che era già stato scritto troppe volte, tutti conoscono la Storia! Allora ho fatto un passo indietro, non dovevo raccontare la guerra, ma i miei nonni in quel tempo. Se vogliamo vederlo come un dipinto, il secondo conflitto mondiale è lo sfondo, io poi ho disegnato le storie e i punti di vista dei miei personaggi. ln carcere a Varese, il nonno non poteva sapere cosa stesse succedendo fuori, e quindi tutto questo è estraneo alla narrazione. Così la nonna, che abitava in un villaggio di 200 persone, dove la miseria imperava e le informazioni arrivavano col contagocce, solo perché qualcuno era andato in città a leggere un giornale, non poteva capire il contesto nazionale e internazionale.
Le due voci narranti, che a volte si fanno corali grazie all’intervento di altri personaggi, si esprimono in uno stile che varia facilmente dal popolare e all’aulico quando si concedono riflessioni, dal flusso di coscienza all’epistolare quando vogliono comunicare tra loro. Una stella che cercano in cielo unirà sempre i due amanti separati, dandogli la forza di proseguire. Non sanno che cosa sia un Lager, lo sappiamo noi, non sanno che la guerra sta per finire, lo deduce il lettore. Lottano per sopravvivere, pagina dopo pagina, giorno dopo giorno, in tutti i sedici mesi che vanno a comporre il libro.
Mentre ricercavo il materiale, ero conscio che del peso di questo racconto, mi chiedevo se questo avrebbe potuto tenere accesa la fiamma della memoria. È per questo che con l’editore Rubbettino abbiamo aspettato l’ottantesimo della fine della guerra, a settembre 2024. Le nuove generazioni ormai parlano della guerra in Ucraina e in Palestina e sanno poco del passato. È un errore grave lasciar andare, perché tutto potrebbe ripetersi.
Per quanto riguarda la voce di Concetta, la storia di chi restava era tutta da ricostruire.
Cosa era successo in quel periodo in quella regione del nord Italia? Ho letto, ho fatto interviste, ho guardato documentari. I racconti trovati online di persone che hanno vissuto in tempo di guerra mi hanno aiutato a trovare i colori giusti per il dipinto della della vita rurale durante l’occupazione in un paesino come Cremenaga. Ma soprattutto ci ho messo tanta fantasia, mi sono inventato il mondo di due bambini di 6 e 4 anni, che erano realmente esistiti, i miei zii. Mi sono divertito un mondo a giocare con loro in un paese devastato dalla guerra, loro erano staccati dalla realtà e questo ha aiutato a bilanciare la drammaticità della situazione.
In questo mondo rurale trionfa l’umanità, mentre nell’altro la brutalità. Un romanzo che secondo Andina necessitava di queste due realtà, portate avanti anche nella scrittura ad alternanza, per potersi riprendere dalla crudeltà attraverso le voci dei bambini, per esempio. Nella creazione così come poi sulla pagina stampata, perché il lettore potesse proseguire il suo viaggio concedendosi qualche pausa. Ma se l’autore ci ha messo tre anni tra ricerca e scrittura, il lettore affronta tutto questo in un tempo minore, per cui la reazione dei famigliari è immediata e l’impatto potente.
Mia mamma [Immacolata, che nel testo nasce in seguito al ricongiungimento dei due sposini, ndr.] ha letto il libro tutto d’un fiato. Non era sicura di riuscire a leggerlo e invece ne è rimasta commossa. Se nello scrivere sento delle vibrazioni, mi si chiude lo stomaco, poi so che al lettore capiterà lo stesso! Io cerco questo effetto, perché so che così si ricorderà del libro anche dopo averlo terminato.
Come in Pavese, in Fenoglio, nella letteratura della Resistenza insomma, gli elementi regionali costruiscono lo stile del romanzo, insieme a una lingua scarna e asciutta, a tratti lirica, ma quasi sempre aderente alla ruvida realtà. Presente anche la cruda descrizione della vita nei lager, che mi ricorda tristemente Primo Levi. Andina come un artigiano ha costruito, cesellato questa lingua, che una volta trovata va maneggiata con cura. Anche se a detta sua sembra molto più facile.
Una volta scrivevo e poi cercavo i sinonimi sul dizionario, cancellavo modificavo. Negli ultimi anni invece, e sicuramente dopo La pozza del felice, la prima è quasi sempre buona. Vedo la scena nella mia immaginazione e poi la descrivo. Ovviamente rileggendo ad alta voce sento che assonanze, ripetizioni, allitterazioni non siano eccessive o fastidiose. Ma sempre più mi ritrovo a scrivere con facilità e lasciare le cose così come stanno, ho trovato la mia voce!
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Intervista a Fabio Andina
Telegiornale 18.11.2024, 20:00