Letteratura

Tutto un altro Lupo

Ha compiuto cinquant’anni Lupo Alberto, “il lupo di belle speranze innamorato di una gallina di buona famiglia”. Il personaggio più noto del fumetto italiano

  • Ieri, 08:20
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"Lupo Alberto"

  • Silver
Di: Michele Serra 

No, George Orwell non c’entra. Silver l’ha detto molte volte: tra le molte ispirazioni che l’hanno portato a creare uno dei personaggi più noti della storia del fumetto italiano, non c’è “La fattoria degli animali”. Eppure, negli ultimi cinquant’anni l’autore emiliano – prima da solo, poi con l’aiuto di molti collaboratori – ha raccontato le storie di un mucchio di animali parlanti. Molto, molto simili agli umani. Ma andiamo con ordine.
Lupo Alberto è, in realtà, figlio di pezzi d’autore della cultura americana degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta – la striscia “Pogo” del funambolo letterario Walt Kelly, i cartoni animati dei geni della slapstick comedy Tex Avery e Chuck Jones – che vengono distillati da Silver in una sintesi quintessenzialmente italiana. Non c’è da stupirsene, dato che Guido Silvestri non era solo un ragazzo italiano, ma pure un provinciale, in tempi in cui la distinzione tra cittadini e no era assai più radicale di oggi.
Proprio per quello, a sedici anni, ogni giorno Guido attraversava la campagna in autobus per raggiungere Modena, dove frequentava il liceo artistico. Nel dormiveglia mattutino, cullato dal rollio del pullman, vedeva scorrere davanti ai suoi occhi un lungo catalogo di fattorie, e fantasticava sui possibili rapporti tra gli animali che le abitavano. È probabilmente durante quei viaggi, che aveva preso forma l’idea di raccontare un microcosmo di animali antropomorfi, una storia corale. Farlo in forma di fumetto era semplicemente ovvio, per un adolescente cresciuto in anni in cui quella forma narrativa era popolarissima: tra Sessanta e Settanta, l’Italia era uno dei paesi con più lettori di fumetti al mondo, tanto che non erano rare le testate capaci di vendere cento, duecento, perfino cinquecentomila copie.
Quando Silver abbozzò per la prima volta il lupo, non pensava certo che sarebbe stato lui il protagonista: voleva scrivere e disegnare “La fattoria McKenzie”, non “Lupo Alberto”. Ma intendiamoci, non era affatto sicuro neppure della “Fattoria McKenzie”: avrebbe potuto essere una delle tante idee di quegli anni, cullata per qualche tempo e mai trasformata in qualcosa di concreto. Fu grazie a un altro grandissimo del fumetto italiano, se Guido divenne Silver, e “Lupo Alberto” venne pubblicato per la prima volta.

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Una striscia di Lupo Alberto

  • Silver

Franco “Bonvi” Bonvicini era già, nel 1969, il pioniere che aveva trovato con le sue “Sturmtruppen” la via italiana alla formula americana delle daily strip. E come tutti i fumettisti all’epoca, era impegnatissimo (se con il lavoro, oppure con le lunghe notti insieme ad amici come Francesco Guccini, tra musica, donne e osterie, non è dato sapere). Silver, diciassettenne, era diventato suo assistente.
Bonvi, negli anni successivi, avrebbe raccontato a tutti di un primo incontro assai avventuroso: diceva di aver offerto asilo nel portone di casa al giovane Guido in fuga dalla polizia dopo una manifestazione studentesca, salvandolo così dai manganelli. Bonvi amava propalare leggende urbane sulla sua vita (oggi si direbbe: fake news, anche se non sono certo che lui apprezzerebbe l’espressione), e questa era una delle tante. Non che Silver non partecipasse ai cortei di quegli anni, ma ironicamente fu proprio una delle rare mattine passate a scuola a offrirgli la possibilità di incontrare il suo maestro (anche qui, probabilmente a Bonvi la parola non piacerebbe, ma è più che adatta): quel giorno una professoressa d’arte gli suggerì di presentarsi nello studio del fumettista, che cercava un aiuto.
Quattro anni dopo, Silver era impiegato stabilmente, e sapeva disegnare esattamente come Bonvi. Era un ragazzo di bottega perfettamente capace di sostituirsi al maestro (again) quando necessario, ma allo stesso tempo stava cercando di affrancarsi dalla sua eredità artistica. Il lupo era uno dei tentativi di farlo concretamente, ma giaceva in un cassetto della sua scrivania.
Le cose cambiarono quando, proprio nel 1973, Bonvi e Alfredo Castelli – altro nome fondamentale del fumetto italiano, autore tra gli altri di “Martin Mystère” – provarono a fondare una nuova rivista insieme. Ai tempi succedeva ogni settimana, che nascesse una rivista a fumetti: come già detto si pubblicava di tutto, il mercato editoriale era florido. Questa in particolare – si doveva chiamare “Undercomics” – non vide mai la luce, fu prodotto solo un numero zero. In compenso a Silver fu chiesto per l’occasione di approntare le tavole di un nuovo fumetto: tempo, non più di un paio di settimane. Visto la scadenza ravvicinata, Silver ripescò e perfezionò “Lupo Alberto”, che tornò poi buono per l’occasione successiva: il “Corriere dei ragazzi”, storica testata edita dal “Corriere della Sera”, su cui il personaggio finalmente debuttò nel 1974. Cinquant’anni fa esatti.

Il “Corriere dei Ragazzi” si rivolgeva a un pubblico di adolescenti e preadolescenti, Lupo Alberto piacque anche a tutti gli altri, generalista nel senso migliore, proprio come le strip americane che ai tempi venivano pubblicate su “Linus” o “Eureka”, dai “Peanuts” di Charles Schulz in giù.
Nei primi dieci anni Silver lavorò molto sul suo talento, raffinando la sua capacità di raccontare a strisce fino a diventare uno dei migliori al mondo in questo campo. Humor visivo, tempi comici, battute, capacità di sintesi: Silver costruiva con disarmante facilità uno degli oggetti letterari più difficili da maneggiare. Per venire a patti con i limiti connaturati alla forma-comic strip serve del genio, e Silver sembrava averne uno inarrivabile: le sue strisce – e poi le tavole, per prendersi più spazio e adattarsi al formato-rivista tipico del panorama editoriale italiano – parlano di amore (sesso compreso, in un’epoca in cui l’argomento era confinato in altri tipi di fumetto), politica, sogni giovanili, scontro con l’autorità, solitudine, amicizia. Perfino morte, nella celeberrima sequenza di tavole in cui un tenero uccellino “adottato” da Alberto muore sparato, senza possibilità di appello. Tutto quanto compresso dentro racconti fulminanti, sempre esilaranti. Strip e tavole reggevano se lette da sole, ma spesso si univano in sequenze, a formare racconti lunghi. Negli anni successivi Silver ha sperimentato anche veri e propri graphic novel ante litteram, o per essere più precisi, graphic short stories. Tutto con una qualità altissima.    

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“Lupo Alberto compie 50 anni”

Alice 09.11.2024, 14:40

  • lupoalberto.it gigaciao.com Courtesy: Silver

Con il tempo, l’approccio “americano” al fumetto si è riflettuto anche sulle scelte commerciali. Lupo Alberto ha generato un impero fatto di pupazzi, zaini, giochi da tavolo, biglietti d’auguri, palloncini, quaderni, carta da regalo, matite, penne, gonfiabili sempre-in-piedi, ombrelli, sottobicchieri, figurine, carte da gioco, magliette, calendari, gomme da masticare, agende, francobolli… Anche in questo senso Silver, è il Charles M. Schulz italiano: la montagna di gadget, merchandising ed effetti collaterali vari – che hanno reso Lupo Alberto un caso unico per redditività nel fumetto della vicina penisola – nulla hanno tolto alla qualità dell’opera che sta alla base. A parte, forse, l’urticante cartone animato realizzato dalla casa di produzione italiana The Animation Band nel 1997, ma insomma, è poca roba. Silver ha sempre detto che ha trasformato i suoi personaggi in merchandising seguendo le tracce di Walt Disney: per farlo ha dovuto crearsi da solo la sua agenzia, dimostrandosi anche imprenditore avveduto e di successo. Come dimostrato dal fatto che per un periodo intorno alla seconda metà degli anni Novanta, Lupo Alberto generava più introiti di Topolino in Italia.

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Lupo Alberto

  • Silver

Nel corso del tempo, e delle ultime due decadi in particolare, Silver ha appaltato la maggior parte del lavoro a un pugno di fidati collaboratori, tra i quali sceneggiatori come Piero Lusso, Francesco Artibani e Casty (entrambi diventati poi soprattutto autori Disney), che hanno trattato i personaggi con grande rispetto e inventiva, pur non riuscendo a sfuggire (qualcuno ce l’ha fatta? Vorrei sapere chi) all’inevitabile crisi del fumetto da edicola, oggi quasi scomparso dal mercato italiano: anche “Lupo Alberto” oggi è distribuito solo tramite abbonamento, il che non gli ha impedito di superare di slancio il traguardo dei 400 numeri (al momento, siamo al 447). Rimane, in ogni caso, un mito del fumetto italiano, che tutta la nuova generazione di fumettisti ricorda. E non stupisce che da qualche tempo lo stesso Silver abbia prestato il personaggio -e alcune pagine del suo bimestrale – ad alcuni di questi nuovi autori, che stanno fornendo la loro versione della fattoria McKenzie, in una serie di storie intitolata “Tutto un altro Lupo”. Un altro segnale del fatto che Silver vede ancora un futuro per il suo personaggio: è una bella notizia per chiunque ami il fumetto.

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