Bruce Springsteen ha annunciato un nuovo album: Only the Strong Survive, in uscita l'11 novembre, conterrà cover di pezzi soul degli anni sessanta e settanta. I giornali ne hanno parlato, ovviamente. Ma soprattutto hanno scritto del suo tour, che a 73 anni suonati lo porterà in giro per mezzo mondo a partire dalla prossima estate: già più di un milione e mezzo i biglietti venduti. E proprio i biglietti sono diventati pietra dello scandalo: venduti a prezzi gonfiati, si è detto – non dai bagarini, ma dai canali ufficiali – con alcuni fan costretti a pagare più di quattromila dollari per vedere il loro idolo in concerto. Possibile? Sì, ma è il caso di spiegare meglio.
Dunque. In America è già in voga da circa un lustro il cosiddetto dynamic pricing per i concerti. Per intenderci, si tratta dello stesso meccanismo che si applica ai biglietti aerei: il prezzo cambia in tempo reale, magari anche tra il momento in cui trovate i biglietti che fanno per voi e quello in cui li comprate. La pratica, ormai, nel mondo anglosassone è molto diffusa. Lo storico settimanale inglese The New Statesman pochi giorni fa pubblicava un lungo articolo che raccontava diverse storie di fan messi di fronte a una scelta poco piacevole: pagare cifre esorbitanti per i loro cantanti preferiti, oppure rinunciare ai concerti di due icone del pop britannico contemporaneo, Coldplay e Harry Styles. Il dynamic pricing è in fondo qualcosa di molto semplice: un software registra la domanda per un determinato tipo di biglietti, e “aggiusta” il prezzo in tempo reale. Più i biglietti sono richiesti, più il prezzo sale. Meno sono richiesti, più scende. Il che significa che i biglietti più desiderati possono diventare estremamente costosi. Si tratta di un semplice meccanismo di mercato, che però può diventare particolarmente odioso per i fan: Springsteen in particolare ha suscitato polemiche perché per molto tempo ha resistito all'idea di avere aree VIP o biglietti “premium” ai suoi concerti: alla fine degli anni Novanta, quando riunì la E-Street Band dopo dieci anni, addirittura aveva deciso di non vendere le prime due file di posti. Quei posti rimanevano vuoti, e venivano occiupati da fan scelti più o meno a caso dalla folla sugli spalti, come a dire: non voglio suonare per i ricconi in prima fila. Oggi chiaramente le cose sono cambiate. E la grande richiesta che circonda i tour di rocker storici come lo stesso Springsteen o i Rolling Stones, come va interpretata? È un segno di passione che non passa, o un indizio della trasformazione degli eventi musicali in status symbol? Possibile che per molti un concerto sia un luogo dove essere visti, e farsi vedere sui social network? Possibile che sia come un vestito firmato, un privilegio da comprare con il denaro e poi esibire?
Prezzo dinamico per i concerti: un'evoluzione inarrestabile?
Giusto porsi questi problemi, ma non è il caso di fingersi troppo ingenui: che qualsiasi bolla collezionistica si sia gonfiata a dismisura negli ultimi anni è un fatto, così come è un fatto che il cosidetto hype sia capace di spingere la domanda di un bene – materiale o immateriale che sia – a livelli mai visti prima. Se un paio di scarpe da ginnastica appena uscite può valere diecimila franchi, è chiaro che siamo davanti a un cambiamento epocale del consumo, in cui l'idea di esclusività gioca un ruolo importantissimo. Così, se si riesce a far credere ai consumatori che sia difficilissimo accaparrarsi un particolare bene – ad esempio, il biglietto di un concerto – è più facile dirgli che già solo avere l'occasione di acquistarlo sia un privilegio, per il quale vale la pena di pagare qualsiasi prezzo. Poi bisogna capire se questa difficoltà di approvigionamento sia causata da una domanda reale oppure no. E se nel secondo caso potrebbero configurarsi anche qualche fattispecie di reato, nel primo è difficile negare che si tratti semplicemente della più fondamentale legge dell'economia. I software del dynamic pricing non hanno fatto niente più che mettere il turbo al gioco della domanda e dell'offerta. E anche se come fan possiamo sentirci traditi da questo atteggiamento, beh è difficile dire se sia ingiusto.
Come scriveva Forbes in un pezzo dedicato al tema, immaginate di essere Harry Styles o qualcuno di quel livello. Siete passati dalla partecipazione a un concorso canoro televisivo a diventare uno dei più famosi artisti del pianeta Terra. Potreste rimanere così famosi per sempre, ma molto probabilmente non sarà così. Quindi, questa è la vostra occasione. Perché dovreste rinunciare a prendere più soldi possibile?
D'altro canto, con il dynamic pricing è possibile anche che gli artisti siano convinti ad abbassare i prezzi di show che non vengono venduti com'era previsto. Se ci sono più posti disponibili che acquirenti interessati, il prezzo scende. Per gli eventi in cui la domanda e l'offerta sono sostanzialmente bilanciate, i prezzi dei biglietti si mantengono stabili. Sono quei pochissimi eventi a cui tutti vogliono assistere, che diventano molto costosi. Cioè se per ogni biglietto disponibile ci sono dieci persone che vogliono andarci, ci sono fondamentalmente due modi per risolvere la situazione: il primo è il criterio cronologico, il secondo quello economico. Certo, il “chi primo arriva, meglio alloggia” è un criterio più democratico; il secondo, più classista. Ma è anche quello che permette di guadagnare di più agli artisti. Quindi? Quindi speriamo che questa non sia solo la prima battaglia di una guerra gli artisti e i loro fan, causata fondamentalmente dal fatto che i primi non guadagnano più davvero dalla musica registrata, e guardano al circuito live come all'ultima spiaggia per fare soldi veri. Comunque vada a finire questo scontro, il prezzo da pagare sarà alto. In tutti i sensi.
(Michele R. Serra)