Rock Latino

Manu Chao, quando una “mescla” sonora diventa messaggio culturale

Figlio di immigrati spagnoli fuggiti in Francia per scappare dalla dittatura franchista, l’artista è l’incontro perfetto tra tradizione mediterranea e rock anglosassone che si nutre anche di reggae

  • 26 agosto, 08:00
  • 27 agosto, 08:13
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Di: Gianluca Verga

In una notte del 1987 nelle strade di Parigi appare un misterioso simbolo disegnato con la vernice nera e rossa; una mano nera con una stella rossa sullo sfondo. Inizia così la storia della Mano Negra e di Manu Chao che torna a pubblicare un disco di inediti - “Viva tu” - a distanza di 17 anni da “La radiolina”. Anni di operoso silenzio discografico, al netto di qualche raccolta, singolo o disco live; ma gravidi di viaggi, concerti anche estemporanei, iniziative sociali a sostegno dell’ambiente, delle comunità in difficoltà, del prossimo. Quelle vesti di ambasciatore no global, sempre pronto a spendersi per la giusta causa, quei panni indossati negli anni ’90 non lo hanno certo abbandonato. Dipaniamo il filo della memoria per tornare nella Parigi delle banlieue degli anni ’80, quelle turbolente, che infiammano le notti con rivolte e gli inevitabili scontri con la polizia, quelle minate da una profonda crisi economica. Ma anche quelle popolate dagli immigrati provenienti dall’ Africa, dalle ex colonie, dal Maghreb, e soprattutto dai loro figli che portano con loro oltre alla voglia di riscatto sociale le tradizioni culturali, gastronomiche e musicali. Ed è in questo bollente clima di forti tensioni sociali che prendono vita alcuni progetti musicali di assoluto rilievo, all’insegna di una “mescla” sonora che diventa messaggio culturale.

Tra i molti gruppi due a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90 riscuotono ampi consensi: le Nègresses Vertes e la Mano Negra, entrambi governati da due artisti di spessore quali erano Helno, voce poetica e carismatica delle Nègresses morto prematuramente, e appunto Manu Chao. La sua Mano Negra nasce a Sèvres, turbolenta periferia ovest di Parigi. Manu è figlio di immigrati spagnoli fuggiti in Francia per scappare dalla dittatura franchista. È innamorato dei Clash e conia un nuovo genere che passa alla storia come “Patchanka”, ovvero una coraggiosa e irresistibile miscellanea di suoni e lingue.  È l’incontro perfetto tra tradizione mediterranea e il rock anglosassone che si nutre anche di reggae, ska, Sudamerica terra di cui si innamora sempre più Manu Chao. E se qualcuno avesse frequentato l’effervescente Parigi in quegli anni, oltre a “Les Bains Douches” storico e trendy club in Rue du Bourg-l’Abbé, avrebbe trovato questa vitale umanità al “New Moon di Pigalle”, epicentro della creatività alternativa dell’epoca. Un club grazie al quale sarebbe possibile tratteggiare la storia artistica di quella feconda stagione.   

Dopo Parigi e la Francia il gruppo “invade” l’Europa con la sua energia musicale nella quale risuona tutta la Parigi multiculturale di quel periodo. La Mano Negra frulla suoni, grammatiche musicali, parole e ritmi. Una manciata di album, concerti dal Giappone alla Colombia (questa tournée in treno, folle e di “maqueziana” memoria, voluta per portare gioia e musica anche nei luoghi più sperduti del paese), iniziative solidali tra la quali una costante attenzione alle socialità e comunità in difficoltà e poi il silenzio. La creatura si sfalda pubblicando l’ultimo splendido “Casa Babylon” album nel 1994 e poi il silenzio. Interrotto da Manu Chao col primo album a suo nome, lo splendido “Clandestino” album iconico del 1998.

Sono gli anni del popolo di Seattle, dei movimenti contro la globalizzazione, di un decennio che si apre con la fobia del “Millennium bug”, del crollo della Torri gemelle, del tragico G8 di Genova. Con la speranza, purtroppo infranta, di cambiare il mondo per renderlo un luogo migliore, equo e solidale nei confronti delle popolazioni. Un disco realizzato con pochi mezzi e in modo artigianale, che coniuga suoni acustici ad influenze africane e sudamericane; un disco che diviene la colonna sonora di quella stagione e innalzando l’artista franco-iberico sempre più cittadino del mondo a bandiera. Manu è credibile, impegnato, forte di una spiccata coscienza civile, sguardo attento ai più disperati e bisognosi. Queste le sue cifre stilistiche, sentimentali e umane. 

La “Patchanka” della Mano Negra compie 30 anni!

Musica 26.10.2018, 20:03

Manu Chao l’ho incrociato la prima volta il 21 giugno del 2001 giorno del suo 40. esimo compleanno in una piazza Duomo di Milano assediata da 100mila persone festanti. Un concerto gratuito per una festa colossale. 2 ore e mezzo di canzoni, energia, partecipazione collettiva, gioia, balli e striscioni anti G8 che si sarebbe a Genova il mese successivo. Gente davvero ovunque, anche abbarbicata ai lampioni, la presenza delle tute bianche dei centri sociali e i Rom che Manu volle sul palco. Me lo presentò tardo pomeriggio un amico giornalista che stava scrivendo un libro a lui dedicato. Ci facemmo una bella chiacchierata con la promessa di vederci ancora per un’intervista a fine luglio al Paléo, dove era in cartellone con la sua incontenibile Radio Bemba Sound System. E come promesso a Nyon ci vedemmo, a pochi giorni dai fatti del tragico G8. All’incontro con la stampa mi volle al suo fianco in quanto unico giornalista di lingua italiana e abbastanza informato sui fatti. Praticamente lo intervistai in relazione soprattutto su quella sua esperienza che lo turbò non poco. 

Manu oltre che ad esser personalità ricca, complessa, è un fiume carsico. Appare e scompare, lascia tracce, annoda fili, sostiene una causa in Sudamerica e lo trovi poco dopo in Europa a supportare un collettivo, una comunità, piccola o grande non conta, un centro sociale. Riempie i festival come i club, si esibisce su palchi prestigiosi come nei bar e nelle osterie,  o all’angolo di una qualunque strada di un barrio periferico del mondo.  E viaggia. È un moto perpetuo Manu Chao, innamorato della vita, goloso di conoscere l’umanità e quella bellezza che può lenire la sofferenza. Gli basta la sua chitarra e un tavolo sul quale salire e irradiare il suo sorriso. O quel prodigio musicale che fu la “Radio Bemba” uno dei collettivi musicali più indiavolati, adrenalinici e coinvolgenti che abbia mai incontrato.   

A ”Clandestino” seguirà  “Proxima Extacion: Esperanca”, l’album trainato dal tormentone “Me gustas tu”. Album che ribadisce la sua cifra stilistica, i temi della sua poetica, la babele di lingue e di sonorità che gli appartengono sin dagli esordi parigini. “La sorella”, come ebbe a dire, di “Clandestino”. Manu ama anche collaborare con terzi e produrre dischi di altri. A questo proposito risulta splendido “Dimanche à Bamako” del duo maliano Amadou e Mariam. Ma Chao è artista spesso imprevedibile e fuori registro. Dopo l’eccezionale disco dal vivo  “Radio Bemba Sound System”  si autoproduce un album fuori dagli schemi, o almeno quelli a cui ci aveva abituato: “Sibérie M’etait Contée” che brilla per i suoi giochi di parole e per la narrazione della vita a Parigi,  Canzoni in cui abbandona l’esuberanza latina e l’onnivora patchanka per collocare la sua inquietudine nella Parigi melanconica della musette, dei café, dei clochard e della chanson. È un disco cantato rigorosamente in francese impreziosito dalla collaborazione con l’artista illustratore polacco Wozniak che da tempo amplia e traduce in immagini “la canzone” e le contagiose utopie di Manu Chao.

E poi nel 2007 l’ultimo album di inediti “La radiolina”, che nulla toglie e nulla aggiunge alla sua traiettoria artistica, anzi. Scarsi i guizzi, poche le sorprese, un suono fin troppo sentito e sbiadito. Poca sostanza e un filo di retorica di troppo. L’ormai ricetta musicale di casa - prendi un frammento musicale, un’idea sonora, manipola e reitera – mostra il fianco. Salvo alcuni episodi come l’omaggio a Diego Armando Maradona.         

Ed ora, dopo qualche canzone sporadica rilasciata sul web, l’attesa è tutta per “Viva tu”, in uscita il 20 settembre e anticipato da un paio di singoli quali “Sao Paulo Motoboy” , inno ai ciclo e moto-fattorini della megalopoli brasiliana “che ogni giorno rischiano la vita su due ruote nella città” e “Viva Tu”, che potremmo tradurre come un benaugurante “Lunga vita”. Una rumba scritta per i suoi vicini di casa, per la gente che popola il suo barrio a Barcellona, che frequenta i bar che Manu stesso giornalmente visita. Persone al centro del suo mondo, l’immagine della semplicità e dell’essenza stessa della vita. Per la quale invoca un rallentamento. Oltre a due collaborazioni, una con l’icona a stelle e strisce Willie Nelson, abbiamo appreso che il nuovo capitolo discografico affronterà ancora tematiche care all’artista, sempre in prima linea col suo schietto attivismo politico. Un artista, dunque, che ancora oggi ama vivere la musica come una sorta di attivismo umanistico. Bentornato Manu! 

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