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Rock, rap o… country? I generi più ascoltati in Usa, Svizzera e Italia

Le classifiche musicali dimostrano che il mercato è tutt’altro che globalizzato, e che tutto può succedere: anche che il rap trionfi in Italia e fatichi in America. Mentre in Svizzera si ascolta di tutto

  • 01.08.2023, 23:52
  • 14.09.2023, 09:03
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Tedua

  • David LaChapelle
Di: Michele R. Serra 

Basta una breve occhiata alle classifiche svizzere degli ultimi mesi per capire che sì, in Svizzera si ascolta davvero di tutto: trovarsi dentro una cultura composita, che subisce influenze diverse e parla diverse lingue a volte ha i suoi vantaggi. A scorrere le top ten degli album troviamo infatti rap francese (negli ultimi tempi, ovviamente, il campione d’incassi Nihno), tedesco e austriaco (Raf Camora), ma anche pop americano e svizzero (Beatrice Egli), e una solida presenza rock Swiss Made con Gölä e Shakra. Al netto di tutte le precisazioni che si possono fare (ad esempio, un certo numero di streaming di una canzone contenuta all’interno di un album viene conteggiato come vendita di un album-equivalente, anche se in realtà è stata ascoltata effettivamente una sola canzone di quel disco, di solito il singolo di lancio), appare chiaro che avevamo torto quando, una decina di anni fa, eravamo preoccupati che la nascita delle piattaforme di streaming provocasse un predominio del repertorio internazionale nell’offerta musicale. Inglesi e americani, dicevamo, avrebbero occupato le classifiche, estromettendo i mercati minori, i giovani talenti che non cantano in inglese. Avrebbero appiattito nell’omologazione global artisti e utenti. Beh, non è andata proprio così. Più che di globalizzazione, sarebbe il caso di parlare di glocalizzazione: dai ritmi latini che conquistano il mondo, al plasticoso pop coreano, fino alla Drill di Chicago che rinasce in Liguria.

Italia: rap e pop, ma sempre in italiano

Così non è stupefacente, allargando lo sguardo, vedere che le classifiche italiane sono dominate, bè, da artisti italiani: l’ultimo fenomeno è Tedua – a proposito di Liguria – che con la sua Divina Commedia occupa il primo posto della hitlist FIMI da ben sette settimane. Non si tratta di un exploit unico: negli ultimi dieci anni la presenza di cantanti italiani nella classifica degli album più venduti è passata dal 63% (2013) all’83% (2022). E il 2023 sembra confermare questa crescita, visto che da inizio anno gli unici stranieri capaci di arrivare al top sono stati U2 e Depeche Mode, per una sola settimana a testa. Poi c’è il rap di Gué, Geolier, Shiva e Lazza, il pop di Marco Mengoni, il rock dei Maneskin, più qualche ibrido (Madame, Blanco). Anche per quanto riguarda i singoli, possiamo parlare di classifiche scioviniste: secondo i dati GfK, nel 2022 l’intera top ten era italiana.
Forse relativamente più sorprendente è notare come gli album più ascoltati siano quasi tutti di genere hip-hop, nonostante il fatto che gli ascolti predominanti in assoluto, sempre secondo FIMI, siano quelli di genere pop e rock. La spiegazione sta nel fatto che l’Italia non è un paese giovane, visto che l’età media è di 48 anni: il rap è statisticamente apprezzato moltissimo dalla fascia di utenti under 25, e molto poco da chi ha superato i quarant’anni. I giovani sono però ancora in grado di fare massa critica e convergere sull’ultima novità discografica, mentre l’ascolto degli utenti più anziani sembra meno monolitico.

USA: la crisi dell’hip-hop, il ritorno del country

Tornando al dato dei tanti album rap al numero uno in Italia, non può che fare impressione l’idea che invece solo la settimana scorsa un rapper sia riuscito ad arrivare al top delle classifiche americane: Lil Uzi Vert, con il suo attesissimo Pink Tape, ha interrotto un digiuno che durava dalla fine del 2022. Nella prima metà abbondante di quest’anno infatti, il primo posto delle hitlist statunitensi è stato occupato da proposte classicamente pop come Taylor Swift e SZA, ma soprattutto da Morgan Wallen, cantante country figlio dei talent show (ha partecipato a The Voice nel 2014). Wallen e il suo album One Thing At a Time sono i responsabili del notevole balzo in avanti della quota di mercato della musica country, con il genere che è salito a oltre l’8% del mercato statunitense. One Thing At a Time è di gran lunga l'album più consumato dell'anno, con oltre tre milioni di “unità equivalenti” vendute negli Stati Uniti, mentre il singolo Last Night ha assorbito il maggior numero di stream audio on-demand dell'anno, non lontani dalla cifra-monstre di 600 milioni.
Dunque, strano a dirsi, ma sembra che l’hip-hop sia in crisi (di mezza età, forse: quest’anno il genere festeggia mezzo secolo di vita) proprio nella sua terra natale, e che il mainstream americano stia rivolgendo di nuovo le orecchie verso musica più tradizionale (e quintessenzialmente bianca, ma questo è un altro discorso). Pezzi country come quello di Wallen trovano sempre maggiore spazio anche nelle top 40 delle radio pop, che mai prima avevano accettato materiale del genere.

L’altro dato in evidenza nelle classifiche americane è la persistenza del rock. Già, proprio lui: il genere sarà anche morto, ma cammina ancora, inarrestabile, come in un film di George Romero. Complessivamente, il rock è il genere che ha registrato la maggiore crescita di ascolto anno su anno, ma è una crescita che proviene quasi interamente dal passato, il cosiddetto “catalogo”, canzoni e album più vecchie di almeno un anno e mezzo. Com’è facilmente prevedibile però, nella maggior parte dei casi si tratta di pezzi che ne hanno almeno venti, di anni: comprensibile, se pensiamo che i Novanta sono stati in fondo l’ultima grande epoca rock. Questa persistenza da una parte prova il valore del grande rock classico (se Pink Floyd e Led Zeppelin riescono a parlare ad ascoltatori che non erano neppure nati quando questi gruppi erano in attività, significherà pur qualcosa), dall’altro giustifica i prezzi stellari a cui vengono acquistati i cataloghi dei singoli musicisti: 300 milioni per l’opera omnia di Bob Dylan? Probabilmente è ancora un buon investimento.

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