Chi è il tuo cantante preferito?
È una domanda innocente, o forse no. Nel 2023, probabilmente non lo è più.
Non lo è, ad esempio, per la protagonista dell’ultima serie televisiva che ha fatto impazzire gli americani, Sciame, prodotta e distribuita da Amazon Prime Video e ideata da Donald “Childish Gambino” Glover, uno degli artisti più rappresentativi dell’ultimo decennio americano. Uno che è partito da musicista e si è allargato: attore, sceneggiatore, regista, successi in ogni campo. Il rapper diventato showrunner ha creato insieme a Janine Nabers la storia di una giovane donna ossessionata da una superstar del pop, evidentemente modellata sull’immagine di Beyoncé. “Lo Sciame” è il modo in cui si fa chiamare il gruppo dei fan, sul modello della “BTS Army” o – per fare un esempio più vicino a noi – dell’ “Esercito” Mengoni (chissà poi perché i paragoni militareschi piacciono così tanto, dalla Corea all’Italia…). La serie si addentra nella vita di chi idolatra i cantanti e, nel caso della protagonista, porta la sua passione fino alle estreme conseguenze.
È probabile che, più dell’ottima sceneggiatura, dello stile impeccabile e della presenza nel cast di diverse vere superstar della musica (tra le quali Billie Eilish), ciò che ha colpito l’immaginario del pubblico statunitense sia proprio l’argomento: l’idolatria tossica dei fan.
Che intendiamoci, non è certo un argomento nuovo. Eppure mai è sembrato pervasivo come nella musica contemporanea, che vede i suoi protagonisti impegnati in un dialogo continuo con gli ascoltatori, e in un esercizio di trasparenza, a seconda dei casi più o meno assiduo e più o meno fruttuoso dal punto di vista commerciale.
Gli Stan? Ovviamente, li ha inventati Eminem
Sono passati 23 anni da quando Eminem scrisse Stan per il suo stravenduto The Marshall Mathers LP. In quel pezzo, portava alle estreme conseguenze l’inquietudine che provava nei confronti dell’affetto “eccessivo” di alcuni fan (erano fresche le notizie sugli stalker violenti di Madonna e Björk, che avevano fatto molto parlare negli anni Novanta), ma si prendeva gioco anche della tendenza a prendere troppo alla lettera i testi delle canzoni (nel 1999, Marilyn Manson era stato accusato di aver ispirato i due studenti autori della tristemente nota strage della Columbine High School). Stan lanciava un unico messaggio, ad ascoltatori e critici: “Vorrei far sapere che quello che dico non deve essere tutto preso alla lettera”, come del resto aveva dichiarato Eminem a MTV. Oggi la foto dell’idolo di turno forse non è più appesa al muro come nel ritornello della canzone, preso di peso da Thank You di Dido, ma il discorso è quanto mai attuale: dal 2017, “Stan” è ufficialmente definito anche dall’Oxford Dictionary, come “fan troppo zelante o ossessivo di una particolare celebrità”.
Il rapporto tra i produttori e i consumatori finali dell’intrattenimento è sempre stato al centro dell’industria – che si parli di canzoni pop, film hollywoodiani, best-seller, videogame, moda. Ma senza dubbio negli ultimi vent’anni è diventato molto più intenso, a causa dell’accelerazione imposta a, bè, qualsiasi cosa dalla tecnologia. E noi siamo ancora qui, con la nostra capacità di reazione infinitamente troppo lenta, a cercare di capire se lo scenario sia, nella pratica, migliorato, peggiorato, o semplicemente diverso.
Le domande sono molte, tutte lecite: se sono patologicamente ossessionato da un/una cantante, avere a disposizione internet può aiutarmi a incanalare la mia ossessione in direzioni innocue? Per dirla più chiaramente: se Mark David Chapman avesse potuto aprire una pagina social intitolata “John Lennon, devi morire!”, forse non si sarebbe preso la briga di andargli a sparare veramente? Oppure al contrario, i social network sono un’arma potentissima nelle mani di chiunque volesse avvicinarsi concretamente – troppo – al suo idolo, essendo potenzialmente in grado di offrire informazioni su abitudini e spostamenti?
Fandom tossico e critica musicale
Un ulteriore ordine di problemi riguarda la critica.
Ok, quella forse non esiste più. E allora parliamo, più in generale, di giornalismo musicale. Che il potere contrattuale di chi racconta la musica sia ai minimi storici è un fatto assodato: le case discografiche considerano – chi può dar loro torto, sinceramente – le testate di settore sempre meno importanti ai fini dei loro obbiettivi di marketing, e offrono accesso agli artisti solo in cambio di marchette sempre più evidenti. Ma per i giornalisti la maggiore fonte di ansia rimane senza dubbio il fandom, che può essere usato dalle star come una clava.
Diversi giornalisti musicali si sono trovati negli ultimi anni ad affrontare vere tempeste social, dopo che un artista aveva risposto pubblicamente a un articolo o a una recensione. Ricordiamo il caso della giornalista di Pitchfork che aveva recensito Cuz I Love You di Lizzo, assegnando una valutazione di soli sei punti e mezzo su dieci, attirandosi le ire della star che aveva twittato, al proposito: "LE PERSONE CHE 'RECENSISCONO' GLI ALBUM E NON FANNO MUSICA IN PRIMA PERSONA DOVREBBERO ESSERE DISOCCUPATE" (tutto maiuscolo come nell’originale). Tanto era bastato per far aprire le cateratte dell’internet, e alla giornalista per vedere casella mail e profili social sommersi di insulti, richieste di licenziamento – nonché vere e proprie minacce, ovviamente. Certo, si tratta (nella maggior parte dei casi) solo di odio “virtuale”, e si può decidere di ignorare le notifiche per qualche giorno, ma molti giornalisti musicali preferiscono semplicemente addolcire le opinioni negative, e evitare così il problema. In fondo, una recensione sincera (e pagata in genere abbastanza poco) non vale 48 ore passate a fare da punching ball. Chi può dar loro torto?
Tuttavia, sarebbe sbagliato concludere che la Stan culture (ammesso che questa espressione abbia un senso) sia esclusivamente tossica. I fan possono essere anche autoironici, e persino permettersi di prendere in giro i loro idoli. Come faceva notare ormai qualche anno fa The Atlantic in uno dei pochi articoli non allarmistici riguardo agli Stan di internet, gli accademici che hanno studiato fenomeni sociali legati al fandom hanno regolarmente scoperto che i fan sono disposti a criticare se stessi e perfino i loro eroi, in un miscuglio di piacere e paura, divertimento e delusione, persino disgusto. Che molti Stan sono persone dotate di senso critico, e capaci di giocare con la loro passione, mettendoci la giusta dose di auto-consapevolezza. Come sempre accade, però, sono gli esempi negativi a fare più rumore. Sarà mica colpa nostra, che a vent’anni di distanza abbiamo ancora le parole di Eminem che ci risuonano tra orecchie e cervello? “Stan / Why are you so mad? Try to understand, that I do want you as a fan / I just don't want you to do some crazy shit”.
Michele R. Serra