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Taylor Swift cambia le regole del music business

1989 (Taylor’s Version) è campione di vendite in USA, con numeri che non si vedevano dall’epoca pre-streaming. Soprattutto però, è la ri-registrazione di materiale vecchio, che vende come nuovo: l’ennesima scommessa vinta da parte di una star che ha messo in allarme le case discografiche americane

  • 15 novembre 2023, 08:00
L'esibizione di Taylor Swift durante il "The Eras Tour"

L'esibizione di Taylor Swift durante il "The Eras Tour"

  • Keystone
Di: Michele R. Serra 

Le storie di successo sono noiose, si sa. Da sempre , tutti quanti tifiamo per i loser pieni di stile – e magari liberi dal peso di farci invidia – soprattutto quando si parla di musica. Però alcune storie di successo hanno davvero qualcosa da insegnare.
No, non si tratta di un corso accelerato su roba tipo “come fare i soldi con il pop”. Per quello, ci sono Instagram e TikTok. Però una storia di successo può essere utile per capire come sta cambiando la musica contemporanea. Dal punto di vista artistico, ma soprattutto da quello del business. Ancora meglio se il successo è di proporzioni tali da permettere perfino di governarlo, quel cambiamento.

Taylor Swift e 1989: un successo fuori scala

Le proporzioni del successo di Taylor Swift sono enormi, fuori da ogni standard, come dimostrato una volta in più dall’uscita un paio di settimane fa dell’album più atteso dal pubblico americano nell’intero 2023: curiosamente, un album del 2014. Ovviamente, un album di Taylor Swift.
1989 (Taylor’s Version) è infatti la ri-registrazione di quel disco di nove anni fa, nata dalla necessità dell’artista di riottenere il controllo sulla sua musica. La Swift l’aveva perso quando i master dei suoi primi sei album, insieme alla sua ex etichetta Big Machine, erano stati venduti alla Ithaca Holdings di Scooter Braun – famigerato ex-manager di Justin Bieber – nel 2019. Poco più di un anno dopo, Braun aveva a sua volta  quelle registrazioni alla Shamrock Holdings, guadagnando centinaia di milioni di dollari, ma provocando la contromossa della cantante, che decise di ri-registrare tutto quanto: una mossa mai provata prima su una scala così ampia, ma soprattutto rischiosa. Non solo a causa dell’investimento necessario in termini di tempo e denaro, ma anche per la mancanza di garanzie riguardo al comportamento dei fan: perché avrebbero dovuto abbandonare le registrazioni originali per quelle nuove?
Invece la scommessa è stata vinta: 1989 è il quarto album a essere pubblicato in versione 2.0, e il quarto a debuttare al primo posto nelle classifiche di vendita. Di più: è stato l’album che ha venduto di più in una sola settimana dal novembre 2015 (mese di uscita di 25 di Adele), e dell’album più venduto (sempre in una sola settimana) dell’intera sua carriera, superando di slancio proprio l’originale 1989. Certo, le vendite della nuova versione potranno pure essere state dopate dalla disponibilità di 15 formati fisici da collezione (cinque varianti in vinile a colori, otto in CD e perfino due in cassetta!), ma il dato rimane impressionante: la battuta sarà pure facile, ma questi sono davvero dati da 1989, non da 2023.
Insistere tanto sui supporti fisici, peraltro, è un’altra scommessa vinta: gli album di Taylor hanno venduto quest’anno (fino al 2 novembre) due milioni e mezzo di copie in vinile, il che significa che è suo un album in vinile su 15, tra quello venduti negli Stati Uniti.
La rinascita del vinile, insomma, non è solo merito di collezionisti e amatori dell’indie. C’entra anche il pop nella sua accezione più mainstream. O forse c’entra solo Taylor Swift.

Perché 1989 (Taylor’s Version) preoccupa tanto le case discografiche?

E così arriviamo al successo capace di cambiare le regole.
Non solo perché Taylor Swift rappresenta l’artista capace di riprendere in mano il potere, sottraendolo a manager e case discografiche. Non solo perché le sue strategie per “spingere” i supporti concreti le permettono di essere l’unica che può eguagliare gli streaming di Drake e le vendite fisiche di Adele. Non solo perché riesce a trasformare anche la sua vita privata in arte (o marketing, a seconda di come la vedete).
Taylor ha fatto qualcosa di molto più rivoluzionario: ha fatto preoccupare, e molto, gli avvocati.
Visto il successo delle Taylor’s Version, infatti, molte case discografiche hanno cominciato a temere che altre star potessero fare come la Swift: registrare nuove versioni di vecchi successi, facendo crollare il valore delle registrazioni originali. Così le principali etichette hanno cominciato a rivedere i loro standard contrattuali, imponendo agli artisti clausole come il dover attendere 10, 15 o addirittura 30 anni per ri-registrare i dischi, in caso di “divorzio” discografico. Una specie di clausola di non-concorrenza, che da un giorno all’altro, è diventata un problema fondamentale, capace di produrre ulteriori frizioni tra artisti ed etichette. E questo nonostante siano pochi gli artisti che registrano un album per una seconda volta. Non è mai successo che un cantante di primo piano ri-registrasse il suo intero catalogo, riconfezionasse ogni album e ne promuovesse la ristampa, soprattutto se gli originali sono ancora facilmente reperibili. Poi però è arrivato il successo che cambia le cose, quello sproporzionato e capace di provocare movimenti tellurici sul mercato. Quello di Taylor Swift.

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