Qualcuno ricorda com’era il mondo vent’anni fa, o anche meno?
Negli anni Duemila, su MTV e Youtube (durante quella breve epoca di passaggio in cui le due entità coesistevano, prima che MTV soccombesse e smettesse di trasmettere video musicali, nonostante le proteste di gente tipo Justin Timberlake) c’era Spike Jonze che faceva ballare – e volare – Cristopher Walken, c’era André 3000 che rimetteva in onda i Beatles all’Ed Sullivan Show diretto da Brian Barber, Hype Williams che portava all’eccesso la sua estetica zarro-futuristica insieme a Kanye West, Christina Aguilera nell’orgia alla Mad Max voluta da David LaChapelle, e perfino i Daft Punk disegnati dal dio del manga Leiji Matsumoto (quello di Capitan Harlock).
C’erano insomma (bei tempi!) i video musicali: forma d’arte breve che arrivava proprio a cavallo dei millenni al culmine artistico del suo percorso iniziato – punto di partenza scelto a caso, ma generalmente abbastanza condiviso – con Bohemian Rhapsody dei Queen nel 1975.
Chris Cunningham, Mark Romanek, Anton Corbijn, Stéphane Sednaoui, Michel Gondry (sua la stop-motion di Fell in love with a girl che vedete qui sopra), oltre ai già citati Jonze e Williams, hanno ottenuto una fama quasi paragonabile a quella delle star che si muovevano davanti alle loro cineprese, costruendo mondi estetici ancora imitati – ok, diciamo celebrati – oggi. Peccato che oggi i videoclip valgano sempre meno. E non dipende solo dal restringersi dei budget o dalla scarsa fantasia di una generazione di videomaker che sembra girare intorno sempre agli stessi cliché. Ora, infatti, ci si mettono anche i social network.
Fuori i registi, dentro i creator
Se è vero infatti che lo sguardo delle nuove generazioni – e anche di quelle non proprio nuove, come i cossidetti millennial che ormai hanno quarant’anni – si è spostato dagli schermi televisivi a quelli dei telefonini, lo è altrettanto che una delle vittime più illustri di questo cambiamento è proprio il video musicale. Ma andiamo con ordine.
Evan Blum, musicista e regista di video social-musicali (ci torno tra pochissimo) ha dichiarato di recente al magazine americano Billboard che “I video musicali sono belli. Il problema oggi è che nessuno li guarda.” Blum, superata la trentina, sembra ormai aver deciso che il suo futuro non è diventare un cantautore, ma specializzarsi nella creazione di video in formato verticale che possano far diventare virale la musica: lo ha fatto per Demi Lovato, e più di recente per il duo di rapper californiane Flyana Boss. Si può dire che quelli di Evan Blum siano video musicali? Certo, ma nella loro incarnazione del 2023: costruiti con pochi o pochissimi soldi, molto brevi. E soprattutto, verticali.
Blum sembra aver colto perfettamente lo spirito del tempo: un’epoca in cui, dicono le statistiche, i social network stanno spingendo sempre di più per diventare video-centrici, a causa del successo enorme di Tik Tok. L’app che propone ai suoi utenti video brevi e brevissimi, da vedere uno dietro l’altro in un movimento di scrolling verticale infinito, è ormai la forza dominante del mondo social, e quindi del mondo giovanile tout court. Intere carriere possono nascere e crescere grazie a quelle clip – basti pensare ai casi di Lil’ Nas X o Doja Cat, ma anche ai Maneskin, che devono gran parte della loro popolarità negli Stati Uniti al successo della loro cover di Beggin’ sulla piattaforma cinese. Così, se YouTube ha ucciso le star di MTV e si è preso il titolo di casa dei video musicali, ora rischia di vedere superato il suo modello proprio da Tik Tok: il futuro è dei video verticali, o almeno così pare.
Videoclip? Se non sei una star, costano troppo
I “vecchi” video infatti – lunghi, completi e terribilmente orizzontali agli occhi di questa nuova generazione di utenti – sembrano aver perso il loro appeal. Tanto che ogni video viene ormai sminuzzato in singoli bocconi, pronti per essere dati in pasto alle piattaforme, e questo sushi videomusicale sembra avere molto più successo (leggasi: milioni di visualizzazioni) rispetto a qualsiasi formato lungo. L’investimento sugli short-form insomma, paga molto di più in un’epoca in cui il processo di scoperta di nuova musica è incredibilmente frammentato, e non c’è più un mezzo di comunicazione di massa come MTV, capace di catalizzare, da solo, l’attenzione del pubblico mainstream (ammesso che quest’ultimo esista ancora, ma questo è un altro discorso). I budget destinati alla promozione della musica si stanno assottigliando, e scommettere su un unico video tradizionale che può costare centinaia di migliaia di dollari/franchi/euro non sembra essere più conveniente, per le case discografiche: meglio, con gli stessi soldi, produrre decine e decine di contenuti short-form, con cui inondare i social network più seguiti. Così la musica può rimanere presente più a lungo nei feed degli utenti, e soprattutto l’investimento può essere modulato nel tempo: prima gli short-form, poi, se le cose vanno bene, un video vero.
Questa regola ovviamente finisce per penalizzare soprattutto gli artisti emergenti: le star hanno già i fan e i soldi per fare, più o meno, quello che vogliono. Ma diventano sempre più rare. Per tutti gli altri, il discorso è semplice: bando alle ciance, aumentiamo le visualizzazioni. L’epoca d’oro del video musicale, forse, è davvero finita.

Chi vuole vedere un film su Tik tok?
Il divano di spade 23.09.2023, 18:00
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