Al Festival di Sanremo del 1991 l’artista straniera abbinata a Enzo Jannacci è Ute Lemper, con lo sguardo intenso, la forza della sua interpretazione, il suo fascino da diva che viene da lontano. Acclamata cantante, attrice e ballerina che a 28 anni ha già calcato i più importanti palcoscenici internazionali, Ute Lemper trasporta il pubblico sanremese per qualche minuto in un immaginario teatro di New York.
“La viaggiatrice del tempo”
Laser 31.01.2024, 09:00
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È questa, forse, una delle prime immagini di Ute Lemper che conserviamo nella nostra memoria collettiva. Nella sua autobiografia La viaggiatrice del tempo (Baldini Castoldi), uscita a dicembre 2023, l’artista tedesca raccoglie finalmente le vicende che hanno segnato la sua vita privata e professionale. Vicende di cui accetta di parlare con Laser, intervistata da Cristiana Coletti (di seguito uno stralcio dell’intervista). Lemper racconta successi e gioie, ma anche amare sconfitte personali e professionali alla luce degli eventi epocali che lei stessa ha attraversato e di cui voleva essere testimone.
«Ero molto giovane e il Festival di Sanremo era un palcoscenico straordinario – racconta –. Lì ho rivisto anche Gianni Versace, che all’epoca faceva spesso i costumi di scena per i miei spettacoli, come quello di Maurice Béjart. E a Sanremo ho conosciuto Enzo, una persona molto amichevole, affettuosa, intelligente. Cantai in inglese La fotografia, una storia molto politica. Parla di mafia, di morte. È stato commovente per me poter interpretare questa canzone con la mia intensità per il pubblico internazionale».
Nel 1991 Ute Lemper, 28 anni, ha già raggiunto una fama internazionale grazie alla sua potente interpretazione dei brani di Bertolt Brecht e Kurt Weill. Il ruolo di Sally Bowles nel musical Cabaret le aveva fatto aggiudicare in Francia nel 1987 il prestigioso Premio Molière. Questo non era che l’inizio di una lunga carriera piena di musica, di grandi progetti e collaborazioni. Una carriera piena di successi che ha attraversato le vicende storiche degli ultimi decenni.
“La viaggiatrice del tempo”
Laser 01.02.2024, 09:00
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«Il libro - La viaggiatrice del tempo, continua - è un viaggio attraverso molte decadi. Inizia negli anni ’60, poi arriva l’intenso periodo degli anni ’80, prima della caduta del muro di Berlino, poi gli anni ’90, un’epoca completamente diversa in Europa, poi il 2000 e il 2010, il 2020. Sono successe cose che mi hanno fatto viaggiare nel tempo e nello spazio, da Münster a Vienna, a Berlino, a Parigi, a Londra, a New York e in molti luoghi dove ho assistito a cambiamenti epocali. Ma è anche un viaggio molto personale attraverso la mia vita, attraverso i miei sentimenti, le mie sfide, la disperazione e i dubbi, ma anche i miei momenti di felicità. Ed è un viaggio attraverso i miei progetti artistici».
Enzo Jannacci
Millevoci 12.04.2013, 13:10
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Ute Lemper nasce nel 1963 a Münster, una città della Germania occidentale nella Renania settentrionale-Vestfalia, in un momento storico segnato dalle minacce della guerra fredda e dal dramma del Muro di Berlino, costruito nel 1961, due anni prima della sua nascita.
«La mia infanzia è stata molto protetta, ma il nostro mondo era piccolo, molto piccolo. La Germania degli anni ’60 era ancora in fase di ricostruzione e i miei genitori avevano conosciuto fin troppo bene da bambini gli anni della guerra. Si accontentavano del minimo indispensabile. Siamo cresciuti con semplicità in un contesto purtroppo molto moralista e piccolo borghese, da cui volevo scappare al più presto. Già da bambina mi sono resa conto di avere un fuoco speciale in me, che era anche un fuoco di libertà. Essere obbediente non faceva per me. Ero un adolescente ribelle, ma per fortuna non ero solo questo perché ho potuto scoprire presto il mondo della musica. Così è stata la danza classica, più tardi la danza jazz e la danza moderna. Mi piaceva cantare jazz, rock, big band, fusion band e rhythm and blues band e contemporaneamente ho fatto teatro. Ho trascorso tutta la mia giovinezza facendo con passione proprio questo. Era il mio mondo, la mia via di fuga. A 18 anni, dopo la maturità, me ne sono andata. Fino ad allora avevo frequentato tutte le scuole di danza classica di Münster possibili. Avevo recitato in teatro, avevo fatto di tutto per trovare me stessa. Quindi sono andata a Vienna, alla scuola di teatro e ho frequentato il seminario di Max Reinhardt. È stato un periodo molto importante. Mi piaceva decifrare e riscoprire il linguaggio, esplorare il teatro e me stessa».
«Il linguaggio del teatro era più di quanto avessi appreso fino a quel momento attraverso il canto e la danza. Significava precisione di pensiero, la parola nella profondità e la maggior parte di storie nell’abisso della vita. Significava Cechov, Strindberg, Ibsen, Williams e Botho Strauss. Anche la porta sbattuta in faccia all’infanzia si riaprì in me. Improvvisamente possedevo una volontà, una curiosità, una tenacia, un’energia come quella di dieci carri armati e senza pietà né rispetto volevo radere al suolo tutte le erbacce della normalità per potermi avvicinare alla verità».
Il periodo di formazione a Vienna è fondamentale per la crescita artistica di Ute Lemper, ma è anche un periodo di grandi sacrifici. Vivere con un pacco di spaghetti alla settimana, soffrire il freddo, studiare duramente e bruciare per una passione. Questa è la sua quotidianità.
«Il posto reale dove vivevo era tetro. Vienna sembrava antiquata, ostile. I tram tristi che circolavano senza inizio e senza fine sulla circonvallazione erano spesso pieni di gente anziana o per lo meno sembravano tutti vecchi e grigi. D’Inverno c’era un freddo terribile. Vivevo in un appartamento di un vecchio edificio malmesso e gelido che doveva essere riscaldato a carbone. I soldi da studente non bastavano però per il carbone. E la notte tremavo sotto la coperta. Dormivo con i pantaloni da jogging, due maglioni e con i guanti. Il bagno si trovava in corridoio. In questa città grigio nero la notte saltavo di palco in palco come un’agile faina. Nel teatro dell’Accademia vidi rappresentazioni eccelse, come i Fanatici di Robert Musil, in cui Gertraud Jesserer pronunciò una frase che si scolpì nella mia memoria: “Le lacrime stanno in me come una colonna dalla testa fino agli occhi”».
«Sentivo una spinta naturale ad andare avanti e amavo la vita. L’ho sempre vista come un dono. C’era un qualcosa di esistenziale. La sensazione che la vita potesse essere molto breve. Era sempre in agguato. Per questo ho trovato una forza in me e una speranza che mi spingevano ad andare avanti».