Dopo due decenni di pausa - perlomeno discografica - Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti si sono riuniti sotto le insegne dei La Crus. Il risultato è “Proteggimi da ciò che voglio”, album uscito l’anno scorso per Mescal. Un’operazione nata fra il 2019 e il ‘20, proprio a inizio pandemia, che non vuole essere nostalgica, come ha raccontato Cesare Malfatti a “Tra le righe”, su Rete Uno: «Avevamo ripreso un po’ a suonare assieme, e da lì abbiamo capito che c’era un’esigenza, un piacere nel pubblico a risentire quello che sapevamo fare». La band allora ha avviato un lavoro a sei mani, comprendendo nel discorso Alex Cremonesi «il terzo La Crus, un po’ nascosto, che ha dato tantissime idee» spiega Malfatti.
L’ultimo disco dei La Crus ha rischiato di non arrivare al pubblico per via di una serie di divergenze all’interno della band su come chiuderlo. L’arrivo di un produttore esterno ha sbloccato la situazione, e così da marzo dell’anno scorso il gruppo è di nuovo in tournée. «Una cosa un po’ complicata da un certo punto di vista - racconta Malfatti - perché erano veramente tanti anni che non facevamo musica nuova assieme. Però alla fine è stata una bellissima esperienza, e ancora adesso siamo molto contenti. Spero che vada avanti anche per il 2025, questa cosa».
Un tour che la scorsa primavera li ha portati negli studi RSI per uno showcase e che, a metà mese, per la precisione il 16 gennaio, li vedrà protagonisti sul palco dello Studio Foce di Lugano. Luogo, il Foce, con cui Cesare Malfatti ha un legame artistico particolare, risalente agli inizi della sua carriera: «Uno dei primi concerti col primissimo gruppo che erano i Weimar Gesang, dell’86… Ho suonato lì. Ero un ragazzino. Io sono del ’64, quindi avevo ventidue anni».