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Bella Ciao, il segreto di un successo che dura da sessant’anni

È un patrimonio del mondo, inno transnazionale spesso frainteso, tutto giocato sulle due parole della lingua italiana più conosciute fuori dai confini italofoni

  • 2 giugno, 11:46
  • 2 giugno, 11:52

Bella ciao?

Paganini 02.06.2024, 10:25

Di: Michele Serra

Bella Ciao me la ricordo da bambino, a Milano, cantata dal corteo che ogni anno nel giorno della Liberazione si muove da Porta Venezia a Piazza del Duomo. A piedi sono due chilometri molto scarsi, e il milanese medio – che notoriamente si muove a passo veloce – ci metterebbe non più di un quarto d’ora a coprirli. Il 25 aprile per lo stesso percorso servono almeno tre ore, stretti in mezzo a centomila persone. Sempre almeno centomila, anche in tempi in cui le manifestazioni di piazza sono poco partecipate, a dimostrare che il 25 aprile è ormai una celebrazione italiana, e Bella Ciao fa parte della liturgia. È sempre la stessa, nel ventesimo secolo come nel ventunesimo.
Poi però diventa difficile non notare che, se ci sono occasioni in cui Bella Ciao risulta scontata, come quella appena descritta, più sorprendente è sentirla da Goran Bregovic e Manu Chao. Ancora di più, dai concorrenti del talent show The Voice in Russia, o dai membri del quartetto pop-classico (tipo Il Volo, ma più alti) The Dutch Tenors in Olanda. Molto di più, nelle versioni di Steve Aoki (godetevi, anche se forse non è la parola giusta, il video con alcuni dei più noti youtuber italiani) e Hardwell. O in quella dei calciatori del Brasile durante i mondiali di calcio del 2018. Bella Ciao non è più la stessa.

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È un patrimonio del mondo, inno transnazionale spesso frainteso: da canto di resistenza a storia di un incontro amoroso, di un addio romantico, tutto giocato sulle due parole della lingua italiana più conosciute fuori dai confini italofoni. Bella, ciao. Altrettanto spesso, compreso e sfruttato proprio per la sua forza libertaria e ribelle, com’è accaduto nel caso della Casa di carta, che l’ha portata alle orecchie di altre generazioni, ad altre latitudini, usandola per sottolineare diversi passaggi fondamentali della storia. Bella Ciao è sempre popolare, che si tratti dell’era della musica dal vivo o di quella dello streaming. Cambia, e rimane la stessa.  

Il primo momento di vera popolarità di Bella Ciao arriva curiosamente non durante la guerra, ma dopo, negli anni Sessanta. La scintilla è il festival di Spoleto del 1964, durante il quale viene presentato lo spettacolo di canzoni popolari intitolato proprio Bella ciao.
Il Festival dei Due Mondi, fondato e ancora diretto dal compositore italo-americano Gian Carlo Menotti, era in quei tempi uno dei più importanti festival teatrali e musicali in Italia, come dimostrato dal fatto che a Spoleto erano inviati alcuni dei più noti intellettuali e giornalisti dell’epoca: Ennio Flaiano per L’Europeo, Franco Abbiati per Il Corriere della Sera e Giorgio Bocca per Il Giorno. Il 1964 segnava la settima edizione, che si era aperta con l’opera Il cavaliere della rosa di Strauss, diretta da Louis Malle. Tra i presenti, tutto il generone romano, nobili, attori e figli di: da Raf Vallone a Wally Toscanini, da Thomas Milian alla contessa Paolozzi-Spaulding. 
La sera della prima di Bella ciao – spettacolo curato da Filippo Crivelli, Franco Fortini e Roberto Leydi – non fu la canzone che dava il titolo allo spettacolo, a catalizzare l’attenzione dei presenti, ma un altro brano, che arrivava direttamente dalla prima guerra mondiale: O Gorizia, tu sei maledetta, nella versione che conteneva il verso «Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù». Durante l’esecuzione, in sala un veterano di quella guerra urlò: «Viva gli ufficiali!», subito seguito nella contestazione da alcuni giornalisti di testate di destra. Il sindaco di Spoleto, seduto insieme ad alcuni deputati comunisti, rispose: «Fuori i fascisti!». Molti altri si unirono a quel grido, e alla fine una ventina di persone lasciò effettivamente il teatro, senza ascoltare la successiva Addio a Lugano. Nei giorni successivi, lo spettacolo si trovò al centro della polemica politica, Michele Straniero che aveva cantato O Gorizia fu denunciato per vilipendio alle forze armate, e le repliche furono spesso interrotte da contestazioni e perfino tentativi di invadere il palco: una sera, si dice che Giovanna Marini – poi diventata una delle figure più importanti nella storia della musica popolare e folk italiana – si sia dovuta difendere a colpi di chitarra.
Al di là dell’aneddotica – peraltro quasi sempre gustosissima – già raccontata in diversi saggi (l’ultimo è quello di Jacopo Tomatis pubblicato da Il saggiatore), rimane, dicevamo, la scintilla del successo di Bella Ciao. Prima lo spettacolo, poi l’album Le canzoni di Bella Ciao pubblicato dall’etichetta militante I dischi del sole, poi finalmente la canzone, entrata nella seconda metà dei Sessanta nel repertorio di Claudio Villa, Gigliola Cinquetti e Yves Montand.  

Nel Corso del mezzo secolo successivo, mentre la popolarità di Bella Ciao cresceva, molti hanno tentato di ricostruire le origini di quel canto, e alcuni perfino di definirlo un falso storico, mai sentito dalle brigate partigiane tra 1943 e 1945 (questa idea pare oggi definitivamente smentita). Forse però è perfino più interessante ragionare su quali siano le ragioni della sua perdurante popolarità.
Oltre alla melodia semplice e accattivante, e alla già ricordata presenza delle due parole italiane più famose al mondo, c’è l’essenzialità universale del testo, che da sempre è la chiave per il successo pop.
In poche parole c’è una storia di libertà, morte, amore, speranza. Il personale che diventa politico, e una lotta che può essere quella di chiunque combatta contro un’oppressione, di qualsiasi tipo essa sia. C’è chi la usa contro qualcosa di concreto, come hanno fatto i partecipanti alle proteste di Santiago del Cile contro il presidente Piñera nel 2019, i dissidenti di Smirne che l’hanno diffusa dai minareti delle moschee nel 2020 contro la stretta autoritaria del presidente Erdogan, i combattenti della resistenza del Kurdistan, i manifestanti iracheni di Bassora contro il primo ministro Abdul-Mahdi. C’è chi vede nell’«invasor» metafora del sistema capitalista (come gli attivisti di Occupy Wall Street), o dell’inerzia nei confronti del cambiamento climatico (come i ragazzi di Fridays for future), o perfino di una pandemia globale. Come un cerchio, due punti e una linea possono rappresentare quasi qualsiasi essere umano al mondo, l’essenzialità di Bella Ciao può essere applicata a qualsiasi lotta, anche quella più frivola e lontana dalla cruenta realtà che ha ispirato l’originale. Bella Ciao sempre diversa, sempre uguale a sé stessa. Destinata a tornare molte altre volte.

Bella Ciao

Musicalbox 30.05.2024, 16:35

  • ilsaggiatore.com

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