Questa è una storia che si annoda intorno alle spigolosità del rock e alle andature dinoccolate dell’hip hop legandole assieme con il fil di ferro. Nel 1993 usciva “Judgment Night”, colonna sonora dell’omonimo film con protagonisti Emilio Estevez e Cuba Gooding Jr. Breve sinossi: a Chicago quattro amici si stanno recando sul loro mega-camper a un incontro di boxe. A causa del traffico, la comitiva decide di cambiare strada finendo in un quartiere di quelli brutti, dove è testimone di un omicidio. Per il resto del film, dovranno sfuggire agli assassini che li inseguono per fargli la pelle.
Bene, torniamo al fatto musicale.
Il disco mette assieme il meglio di rap e rock di quel periodo. Nel senso che ogni pezzo è frutto della collaborazione fra un gruppo rock e uno rap. Troviamo così i noise rocker newyorkesi Helmet duettare con gli House of Pain, i metallari Slayer con Ice-T, gli sperimentatori del rumore Sonic Youth con i Cypress Hill, con questi ultimi che si concedono anche un bis con i grunger Pearl Jam. Averli tutti qui, racchiusi in un’unica scaletta, ci dà il gancio per parlare di un periodo, anzi due. Forse pure tre, ma non carichiamo troppo.
“Just Another Victim”: gli House of Pain in “Judgment Night”
Radio Monnezza, Rete Tre 17.12.2024, 20:45
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Perché questa collisione fra band di estrazione diversa è un esempio ben confezionato di ciò che stava succedendo proprio nei Novanta. Un periodo in cui le varie tribù musicali iniziavano ad aprirsi l’una all’altra. Subculture che fino a quel momento si erano guardate con una certa diffidenza si ritrovavano a frequentare gli stessi posti, gli stessi concerti, perfino le stesse piste da ballo. Un fenomeno ben raccontato da Luca De Gennaro nel suo libro “Generazione alternativa”. Quindi non solo il rocker che ascoltava il rap e il rapper che scuoteva la testa al suono della chitarra elettrica, ma anche il rocchettaro che ballava l’elettronica e i produttori techno che facevano pezzi dal suono roccheggiante (vi dicono niente i Prodigy? E i Chemical Brothers?).
Siccome non siamo degli ingenui e non crediamo nelle apparizioni improvvise, bisogna dire che questo disco riprende un discorso partito già nel decennio precedente. Negli Ottanta un certo Rick Rubin aveva prodotto i Beastie Boys di “Fight for Your Right” e “No Sleep Till Brooklyn” e rilanciato la carriera dei declinanti Aerosmith facendo piombare nella loro “Walk This Way” i Run DMC. Reverend Run e compagni che troviamo – guarda caso – anche nel disco da cui siamo partiti.
Alla fine degli anni Ottanta, le speranze del rock “altro” sono riposte nel funk-rock, che aveva cominciato a proliferare soprattutto in California. Gente come Jane’s Addiction, Fishbone, Red Hot Chili Peppers. Ma anche Living Colour, Faith No More e Ice-T (con i Body Count), tutti e tre presenti – oh toh! – pure in “Judgment Night”. Chi più chi meno, già queste band avevano lambito con i loro pezzi i territori del rap, seguendo la continuità dei suoi battiti con quelli del funk. Poi sarebbero arrivati i Rage Against the Machine a suggello del tutto.
La colonna sonora di rock “spostato” continuerà ad andare forte nei Novanta. Così, su due piedi, tornano alla mente quelle de “Il Corvo” e di “Matrix”. Avvicinandosi al 2000, si faranno sentire sempre più potenti le pulsazioni della musica elettronica. I produttori saranno abili a replicare il meccanismo di “Judgment Night” nella colonna sonora di “Spawn”: in questo caso la simbiosi è fra artisti rock e techno. Risultati di una stagione proficua, in cui gli steccati di genere cadevano con estrema facilità per la delizia dei fan, che a disposizione avevano sempre qualche cosa con cui soddisfare orecchie avide di novità. Tu chiamale, se vuoi, contaminazioni.