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Il premio alla miglior canzone salverà gli Oscar?

Da Billie Eilish alla storia di Jon Batiste, le canzoni candidate nella categoria Best Original Song dell’edizione 2024

  • 9 marzo, 15:00
  • 10 marzo, 09:52
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  • Keystone
Di: Michele R. Serra 

L’anno scorso, subito dopo la cerimonia, il New York Times scriveva che gli Oscar erano diventati, per lo spettatore televisivo, un fatto di resistenza, non di godimento. Fino a rimpiangere il brivido di un fuoriprogramma come il famigerato schiaffo di Will Smith a Chris Rock nel 2022. Pare che tre ore e mezza di cerimonia punteggiata da lunghe pause pubblicitarie (anche cinque minuti) non siano un’idea allettante, per gli spettatori americani. Si vede che non hanno mai assistito a una serata del Festival di Sanremo.
Gli Oscar, in effetti, trovano la loro ragione di esistere nello spettacolo televisivo che offrono al network ABC, con conseguenti introiti pubblicitari. Ma anche questi ultimi in anni recenti si sono assottigliati, a causa della riduzione dell’audience: gli Oscar 2023 sono andati meglio di quelli del 2022, con circa 18 milioni di spettatori, ma prima della pandemia la cerimonia non era mai scesa sotto i 20 milioni abbondanti. Il trend, insomma, non è dei più positivi.
E se fosse proprio la musica, la chiave per salvare gli Oscar come show televisivo? Potrebbe suggerirlo il dato degli ascolti dei Grammy Awards, che nell’edizione 2024 hanno registrato 16,9 milioni di spettatori, con un aumento del 34% rispetto alla cerimonia dello scorso anno: quasi un ritorno alla forma pre-pandemia. Come a dire: se le star di Hollywood oggi sembrano meno scintillanti di un tempo, quelle della musica continuano a splendere, e peraltro a volte invadono perfino i cinema, con film-concerto che staccano milioni di biglietti. Quindi, avere più musicisti pop agli Oscar potrebbe far bene agli Oscar. Quest’anno, per carità, difficilmente si raggiungerà l’apice pop del 2023, quando sul palco si sono alternati David Byrne, Rihanna e Lady Gaga – e soprattutto ad aggiudicarsi la statuetta è stata la meravigliosa Naatu Naatu da RRR. Tuttavia, i candidati al premio per la miglior canzone portano sul palco storie e spettacoli estremamente interessanti.

What was I made for?

La favorita per il premio finale è senza dubbio What was I made for? di Billie Eilish e Finneas (da Barbie), grazie alla quale i fratelli O’Connel si dimostrano ancora una volta geni assoluti del pop contemporaneo. L’anno scorso – somma ingiustizia – non erano neanche candidati, nonostante avessero scritto (per Red della Pixar) le canzoni da boy band che i Backstreet Boys, gli NSync e i Take That non avevano mai scritto nei Novanta. La statuetta del 2024 dev’essere loro.

I’m just Ken

C’è un’altra canzone di Barbie tra i nominati: I’m just ken, cantata da Ryan Gosling e scritta da Mark Ronson e Robert Wyatt (non proprio gente che passava di lì per caso). Però, non c’è dubbio, parte svantaggiata: perché è un gran pezzo, mentre What was I made for? è un capolavoro pop. Ma anche perché sarebbe molto strano che tra una canzone scritta per Barbie e una scritta per Ken vincesse la seconda, visto il messaggio del film.

It never went away

Qui – al di là di ogni discorso musicale – c’è una storia: Jon Batiste, celebre compositore americano già vincitore di Oscar (per Soul), Grammy, Bafta e Golden Globe, è anche il protagonista del film.
American Symphony è il documentario che segue un anno della sua vita, tra la musica e la malattia – leucemia – della moglie. It never went away è costruita su di una ninna anna che Batiste aveva composto proprio per farla addormentare durante i ricoveri in ospedale. È la storia di una coppia – lui musicista, lei scrittrice, entrambi di successo – in cui la creatività è parte della relazione, nella buona e nella cattiva sorte.
La linea di piano che sostiene It never went away è memorabile, forse anche grazie al co-compositore Dan Wilson, che ha in curriculum Someone like you di Adele: Wilson sembra uno che, di melodie, se ne intende.

Wahzhazhe (A Song for My People)

Altro candidato, altra storia che va oltre la musica. Scott George è il primo nativo americano candidato agli Oscar, rappresentante della nazione Osage raccontata in Killers of the flower moon di Martin Scorsese.
George ha composto e suonato questa canzone con un gruppo di Osage, con il metodo tradizionale: improvvisazione, oralità, memoria, niente di scritto. Solo in seguito ha scoperto che per partecipare agli Oscar doveva depositare uno spartito, e ha rischiato di non riuscire a mettere la musica su carta in tempo. Sarà un grande spettacolo, vedere Wahzhazhe sul palco gli Oscar. Anche se temo che le possibilità di vittoria siano esigue.

The Fire Inside

Ed eccoci arrivati al momento-Diane Warren.
Antefatto: Eva Longoria (sì, quella di Desperate Housewives) ha girato un film che racconta la storia dell’inventore di certe patatine al formaggio piccanti americane, si intitola Flamin’ hot. Ma questo non è importante. L’importante è che la canzone del film l’abbia scritta Diane Warren, regina delle ballate pop e delle nomination agli Oscar: ben 15 finora per lei (compositrice tra le altre cose di I don’t wanna miss a thing degli Aerosmith), senza alcuna vittoria.
La Warren è senza dubbio una grande professionista, ma la sua abitudine alla nomination ha ormai dato adito a sospetti e perfino teorie su improbabili complotti: quali offerte impossibili da rifiutare avrà fatto la Warren, ai votanti dell’Academy? Ha forse un archivio di informazioni compromettenti sui potenti di Hollywood? 15 nomination, è roba da Meryl Streep. E Diane Warren – sia detto senza alcuna acredine – non è Meryl Streep. Il premio onorario alla carriera offertole dall’Academy nel 2022 sarebbe potuto bastare. E invece.

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Uno Spoiler da Oscar

Spoiler 06.03.2024, 13:30

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