Carla Bley era un nome d’arte, quello anagrafico era Lovella May Borg, che diventò Karen e poi Carla Borg quando la ragazza di Oakland, orfana di madre in tenera età, mosse i primi passi nella scena. Furono inizi difficili, negli anni ‘50. Carla suonava il piano ma amava soprattutto comporre, e ha passato la vita a ripetere di sentirsi per il 99 per cento compositrice e solo per l’uno per cento pianista. Per sbarcare il lunario fece la sigarettaia al Birdland e lì conobbe Paul Bley, che diventò il primo marito e le regalò il cognome che l’avrebbe accompagnata lungo tutta la sua storia. Paul riconobbe subito le qualità della moglie, e uno dei suoi primi album, Barrage, 1965, è composto interamente da pagine di Carla. Qualcuno comunque era già arrivato sull’autrice prima di quell’omaggio, e non qualcuno qualunque: George Russell registrò un suo brano per Stratusphunk, 1960, quando la signora ancora si firmava Borg, e Jimmy Giuffre accolse altri pezzi su Fusion e Thesis.
Gli anni ‘60 furono un tumultuoso laboratorio di idee e iniziative. Carla e Paul furono coinvolti nella Jazz Composers’ Guild, associazione tra i musicisti nuovayorkesi emergenti che si pose obiettivi non solo ideali ma anche pratici, cercando spazi e garanzie per esprimere nuove idee. Da quel ceppo venne alla metà dei ‘60 la Jazz Composers’ Orchestra, che Carla Bley condusse con il secondo marito, il trombettista e compositore Michael Mantler. JCOA fu una mutevole orchestra ma anche un’etichetta autogestita che durò anni; e quando quella sigla cadde, alla metà dei ‘70, la vulcanica artista varò una nuova label, WATT, per liberarsi dai vincoli e dai pregiudizi delle discografia dell’epoca e procedere in piena libertà.
Fu in quei primi tempi che Carla Bley maturò il suo distacco da un certo free impetuoso e assordante. Confessò che gli sembrava una musica ingenuamente maschile, anche maschilista, istigazione a suonare più acuto, più forte, stupida lotta gli uni contro gli altri; preferì elaborare qualcosa di più articolato, lavori orchestrali che davano spazio a improvvisazione e libera creatività pur svolgendosi entro una cornice prefissata. Negli anni del Sgt. Pepper’s e del nuovo rock orientò le orecchie anche in quella direzione e dalla somma di tutti quei pensieri nacque un album memorabile come A Genuine Tong Funeral, condotto con il quartetto di Gary Burton e altri contributi: “una dark opera”, così la definì, “un dramma musicale basato sulle emozioni che la morte provoca”. Quell’idea di concept la accompagnerà a lungo, assumendo forme volentieri teatrali, con felicissimi spunti da letteratura e poesia: indimenticabile nel 1971 Escalator Over The Hill, il lavoro più noto, con parole di Paul Haines, e poi No Answer, con testi di Samuel Beckett, The Hapless Child, ispirato alle storie gotiche di Edward Gorey, e Silence, da testi di Harold Pinter. In questi lavori e in altri momenti della sua vita artistica, Carla coinvolse volentieri musicisti del mondo rock, da Jack Bruce a Robert Wyatt, dagli NRBQ a D.Sharpe. È stata fra gli artisti che più hanno contribuito ad abbattere le barriere fra generi, come dimostrano le sue collaborazioni a vari progetti di Hal Willner, un altro che credeva fermamente nelle commistioni e nella buona musica “orizzontale”, e la partecipazione a Fictitious Sports, dimenticato gioiello del 1981; un album di originalissime canzoni, ufficialmente a nome di Nick Mason, il batterista dei Pink Floyd, in realtà composto interamente da lei. Lì e altrove, la sua musica è sempre stata brillante e colta, imprevedibile e curiosa; e se jazz è una parola troppo stretta per descriverne l’arte, può venire in soccorso il titolo di quel suo album del 1998 – Fancy Chamber Music.
L’elenco completo dei dischi come leader o main partner o semplice collaboratrice o autrice sarebbe una piccola enciclopedia. Impossibile però non citare almeno i cinque album militanti della Liberation Music Orchestra, a cominciare dallo storico esordio del 1969, ricchi di sue composizioni e arrangiamenti, e le numerose incarnazioni della Carla Bley Band, da Musique Mecanique a Social Studies,da Very Big Carla Bley Band a Big Band Theory. Nelle numerosissime avventure come caporchestra, Carla non si è negata nulla: ha anche cantato in un album intitolato I Hate To Sing, è tornata ai suoi primissimi anni ricordando l’influenza del padre, organista di chiesa, in The Carla Bley Goes To Church, ed espresso l’amore per il terzo uomo della sua vita, il contrabbassista Steve Swallow, in un album di intensi duetti con lui, Duets. Swallow è stato il compagno più assiduo delle sue avventure in musica, e lo troviamo anche negli ultimi dischi usciti fra il 2013 e il 2020 per ECM, Trios, Andando el tiempo, Life Goes On, in trio con un altro collaboratore di lunga data, il saxofonista Andy Sheppard.
Carla Bley
RSI Cultura 18.10.2023, 11:56
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