Oggi non sarebbe nulla, nel 1975 era importante.
Oggi i videoclip sono beni di consumo fungibili, i visual album tappe inevitabili per i musicisti di una certa levatura – da Beyoncé in giù. Mica ci fanno più impressione, cose del genere. Nel 1975, invece, l’idea di mettere insieme musica e immagini era ancora avanguardia. Alla fine dello stesso anno, i Queen avrebbero pubblicato il video di Bohemian Rhapsody girato da Bruce Gowers, mostrando al mondo – e alle case discografiche, soprattutto – che la strada del video musicale era percorribile non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello commerciale. Prima di Bohemian Rhapsody, però, era arrivato Tommy.
Anche qui, per carità, non si trattava di una novità assoluta: i Beatles e Richard Lester, con A Hard Day’s Night, avevano già dato vita a un’opera audiovisiva che mostrava la musica su schermo non come performance (come succedeva ad esempio nei cosiddetti musicarelli), ma unendola a immagini evocative. Tuttavia, Tommy fu il passo decisivo, l’apertura di una porta che, nei decenni successivi, avrebbe portato verso altre meraviglie videomusicali.
Anche il doppio album da cui il film era tratto, del resto, oggi è considerato origine di tutto quello che è arrivato dopo e che abbiamo catalogato come rock opera: da Jesus Christ Superstar a Ziggy Stardust, da The Wall a American Idiot. Tutte appoggiate sulle spalle del gigante Pete Townshend, degli Who e di Tommy. Ma qui, vorrei concentrarmi sull’uomo che ha dato forma cinematografica a quel mito, ed è diventato mito a sua volta nel decennio che ne ha creati troppi per riuscire a tenerne conto: i Settanta.
Ken Russell nel 1975 aveva quasi cinquant’anni, ma nonostante l’età più azzurra che verde, era ancora considerato l’enfant terrible del cinema inglese. Era stato l’ufficio marketing della sua casa produttrice, la MGM, ad affibbiargli questa etichetta già diversi anni prima, e per quanto fosse riduttiva, probabilmente era assai simpatica a Townshend e agli Who. Dopo Tommy, quella definizione – insieme a quella di “madman” – rimase appiccicata al personaggio pubblico del regista, che dal canto suo non fece assolutamente nulla per smentirla, alternando momenti di follia, provocazione e assoluta impresentabilità. E continuando a sfornare film che testavano i limiti del camp e del kitsch. Nel 2007, a 79 anni, partecipò all’edizione inglese del Grande Fratello, presentandosi così: «Sono il più famoso regista inglese di sempre! Mi dicono che sono “controverso”, perché di tanto in tanto scelgo soggetti controversi. Una volta venivo descritto come l’enfant terrible del cinema britannico, ora sono considerato, credo, il grand-père terrible!». La sua esperienza all’interno del reality show durò una settimana, poi abbandonò volontariamente gli studi dopo aver insultato metà dei concorrenti. Così, tanto per fare un esempio di quello che era il modus vivendi di Ken Russell.
Tornando al cinema, e agli anni Settanta.
Russell ha dichiarato più volte che non aveva alcuna particolare familiarità con la musica degli Who, ma che l’incontro con Pete Townshend, e con quella storia, era come fosse già scritto. «Il film più facile che abbia mai fatto», ha detto in anni più recenti. Secondo Russell, infatti, la storia di Tommy aveva molto in comune con la sceneggiatura che aveva scritto per un ideale seguito di I diavoli, il film tratto da Aldous Huxley che aveva creato grande scandalo in tutta Europa, era stato pesantemente censurato negli Stati Uniti, e in Italia addirittura sequestrato per un paio di settimane dopo la prima uscita in sala. Non stupisce, visto il trambusto, che le case di produzione non si fossero messe in fila davanti alla porta di Ken, pronte a finanziargli un altro film di argomento religioso (titolo provvisorio: The Angels).
Tommy rappresentava, per il regista, una scappatoia perfetta: poteva riprendere alcuni temi della sua sceneggiatura, e allo stesso tempo restare fedele all’idea originale di Pete Townshend. Un perfetto allineamento astrale, che portò Tommy a soddisfare gli Who e i loro fan, pur rimanendo indiscutibilmente un film di Ken Russell. Quindi spettacolare, pirotecnico (date a Ken un budget decente, e lui ne farà buon uso!), con un impatto visivo travolgente.
A rivederlo oggi, si può facilmente notare come Russell abbia, in periodo pre-televisivo, anticipato quella che poi sarebbe diventata l’estetica di MTV: colorata, pop, kitsch. Ecco Elton John sui trampoli, super deformed, con addosso giganteschi stivali Dr. Martens; ecco Eric Clapton santone di una setta rock votata alla devozione di Marylin Monroe; ecco Tina Turner che propone sesso e – soprattutto – inquietanti siringoni di non meglio identificate sostanze stupefacenti; ecco il dottor Jack Nicholson, molto più interessato a donne e soldi, che ai suoi pazienti; ecco Keith Moon nei panni dello zio Ernie, pedofilo sadico che ama aggiungere un bell’uovo crudo alla sua pinta di birra (tradizionale rimedio britannico per la sbornia, che non ha mai funzionato per nessuno). Un film sempre oltre i limiti, a volte anche della comprensibilità: nella già citata – e celeberrima – sequenza che vede protagonista Elton John, il suo personaggio si chiama Pinball Wizard, canta una canzone intitolata Pinball Wizard, ma effettivamente il “Pinball Wizard” di cui parla è Tommy. Giusto per confondere ulteriormente le idee allo spettatore, probabilmente già soverchiato dal rutilante circo di immagini che gli erano passate davanti agli occhi fino a quel momento. Ma del resto è chiaro che le immagini allucinate dell’opera rock intendano fornire allo spettatore un’esperienza trascendentale, imitando la catarsi piena di droga e alcol che era molto spesso associata alla musica nei Settanta.

Pugni, scimmie e chitarroni
Il divano di spade 22.03.2025, 18:00
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Quello di Tommy è – deve essere – un assalto anche sonoro: Russell lavorò di fino sul sound design insieme al tecnico Iain Bruce, e portò Tommy a essere il primo film proiettato nei cinema usando la tecnologia Quintaphonic Sound, che ebbe vita molto breve perché arrivò nello stesso momento del Dolby Stereo, destinato a soppiantare completamente ogni altra soluzione tecnica.
Il risultato di una tale, perfino eccessiva, densità visiva e sonora, è un’esperienza travolgente: musica, testi e immagini e immagini assalgono i sensi dello spettatore contemporaneamente, e colpiscono a livello viscerale. Si fa prima a vivere che a descrivere, e tutto sommato non aveva torto chi fece scrivere sul poster originale del film: “Your senses will never be the same”.
Molti presero nota, e la videomusica divenne forza trainante dell’intrattenimento moderno.