Musica d’autore

Le visioni sonore di David Lynch

Nella discografia del celebre regista appena scomparso si ritrovano i tratti delle sue opere cinematografiche. Un cammino onirico e inquieto fra le sette note

  • 3 ore fa
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Il ricordo di David Lynch

Serotonina, Rete Tre 17.01.2025, 09:10

  • IMAGO/ZUMA Press Wire
Di: Red. 

Una strada da percorrere in sonnambula, seguendo vibrazioni oscure. Così si potrebbe descrivere la produzione musicale di David Lynch, morto giovedì scorso all’età di 78 anni. Per il regista statunitense le sette note sono state un’estensione del suo stile e della sua visione delle cose. Un aspetto che va al di là delle giustamente celebrate colonne sonore delle opere per schermi grandi e piccoli, alcune delle quali scritte in proficuo sodalizio con Angelo Badalamenti (“Velluto blu”, “Twin Peaks”, “Mulholland Drive”).

Il debutto musicale di Lynch risale al 1977, alla colonna sonora del suo film “Eraserhead”, realizzata assieme all’ingegnere del suono Alan Splet. Nella scaletta figura “In Heaven”, di cui compone il testo. Un pezzo che entrerà dritto dritto, come rilettura, nel repertorio di esponenti di spicco del rock alternativo, tra cui Devo e Pixies. Nota rossocrociata: il brano è stato omaggiato anche dal trombettista svizzero Erik Truffaz.

È solo un piccolo lembo delle connessioni che Lynch ha intessuto con l’ambiente dei musicisti nell’arco della sua carriera, legame nato anche in virtù della passione per la musica che lui stesso nutriva. Collaborazioni che, a citarle tutte, si perderebbe il conto: si va dalle interpreti femminili del mondo lynchano, Julee Cruise e Chrystabell, a tipi rock non proprio ordinari come Trent Reznor dei Nine Inch Nails, Marylin Manson e Henry Rollins (tutti coinvolti, a vario titolo, in “Strade perdute”), passando per il produttore di grido Danger Mouse e i beniamini indie Sparklehorse, per arrivare al cantautore scozzese Donovan.

Una discografia, quella del cineasta di Missoula, che fra album, colonne sonore, singoli, produzioni, videoclip diretti, ospitate e tutto il resto supera le sessanta opere. Fra queste, i dischi a sua firma sono tre: “BlueBOB” del 2001, “Crazy Clown Time” del 2011 e “The Big Dream” del 2013. Negli ultimi due troviamo ospiti Karen O degli Yeah Yeah Yeahs e la svedese Lykke Li. Sebbene si tratti di un trittico in cui il suono cambia a seconda del titolo preso in esame, in questi dischi si coglie una coerenza stilistica di fondo: le canzoni di Lynch sono sempre sottese di blues, attraverso il quale la voce del regista - filtratissima - si muove con un certo gusto tra paranoia e ossessione. Su queste trame si posano rock, jazz, a tratti trip hop, l’amato twang chitarristico, vapori elettronici, ipnosi e frammenti di rumore. Tracce su disco delle atmosfere tipiche dei suoi film.

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