Musica italiana

Niccolò Agliardi: accettare la realtà porta a realizzare sogni

Il cantautore milanese ha da poco pubblicato “Prima di essere principi”, il suo ultimo libro. Pagine nate da una serata a cena con Roberto Vecchioni e il figlio ventenne. Le sue riflessioni di papà affidatario

  • Ieri, 11:02
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Niccolò Agliardi: sogna ragazzo, sogna 

Tra le righe 22.01.2025, 15:30

  • Pietro Baroni
Di: Red. 

«È vero, non sono riuscito a raggiungere tutti i sogni che mi ero prefissato quando ero ragazzino. Ma credo che con una sorta di perseveranza, anche un po’ scombinata e a tratti scriteriata, ma sicuramente con la consapevolezza che fallire non significa essere dei falliti, ho toccato dei sogni che non immaginavo di poter neanche lontanamente desiderare». Con il tempo, Niccolò Agliardi ha capito che accettare ciò che la realtà offre è «un’accettazione costituente». E poi la vita potrà riservarti piacevoli sorprese.

Cantautore e scrittore, in carriera ha collaborato con nomi come Eros Ramazzotti, Paola Turci, Emma, Arisa. Con Io sì (Seen), di cui ha composto il testo con Laura Pausini, ha vinto un Nastro d’argento, un Golden Globe e ottenuto una nomination all’Oscar. Ospite su Rete Uno della trasmissione Tra le righe, ha sfogliato con Natascia Bandecchi il suo ultimo libro, intitolato Prima di essere principi: un confronto fra tre generazioni frutto di una serata a cena assieme a Roberto Vecchioni e a suo figlio ventenne: «Sono arrivato ai cinquant’anni ed è il motivo per cui una sera mi sono concesso un regalo, riuscendo a invitare a casa mia quello che per tanti anni è stato il mio punto di riferimento letterario e musicale». Un rapporto, quello con il Professore della musica italiana (per lui una sorta di secondo padre) nato tre decenni prima: «Scrisse una lettera molto bella che pubblicò sul Corriere della Sera, a me indirizzata, che diceva delle cose molto belle e molto profetiche, non semplicissime da capire al momento».

Oggi ha l’età di Vecchioni quando scrisse quella lettera ed è padre affidatario di Sam, che ha la stessa età a cui Agliardi la ricevette. «Essere papà affidatari significa fare i conti con delle ingiustizie che hanno attraversato i primi anni di vita di questi ragazzi. E sono ingiustizie che fanno anche male». Il musicista milanese va fiero del suo rapporto con il figlio, costruito senza farsi sopraffare dagli eventi negativi che ne hanno segnato l’infanzia. «Ci siamo guardati negli occhi - racconta - e ci siamo sentiti salvi quando ci siamo dati la mano tutti e due: uno per diventare uomo, l’altro un ragazzo al sicuro».

Sebbene non ami fare bilanci, riconosce che l’esperienza gli ha insegnato a derubricare, a spostare verso il basso, nel senso di relativizzare molto. Oggi sa che diventare papà è un po’ come «sapere che ci sono dei vuoti d’aria e che ti puoi spaventare ogni tanto, che puoi scendere di qualche metro di quota, ma che alla fine, se hai ali robuste e solide, a destinazione ci arrivi». Tutto ciò gli ha insegnato ad avere meno paura «e a pensare che la vita è fatta anche di piccolissime cose, più importanti di certi dolori che sembrano giganteschi: sapersi rifare il letto, saper studiare, saper sorridere, giocare sugli imprevisti quando non sono troppo invadenti».

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