2020, 2021, 2022, 2023, 2025. Ci risiamo, Frank Atene è tornato ancora una volta e sta diventando un’abitudine. Bene così, un altro momento per guardare il Canton Ticino senza occhiali e per la nostra personale boccata di autoanalisi allo specchio come Monty Brogan ci insegnò a fare anni fa, anche se qui siamo probabilmente nei cessi dell’Oops o in qualche luogo ameno e New York non è che una cartolina lontana. Frank Atene, Lugano da bere lo conferma senza nessun problema, è un progetto rock, di quelli sporchi e unti. Si è stabilizzato a quartetto, vomita paure, rabbia e frustrazione e Via Peri non è mai stata così simile alla Bowery. Già, ché ognuno di noi ha un lato oscuro e forse, proprio come succede in Melancholia di Lars Von Trier, stiamo aspettando che l’inevitabile ci spazzi via tutti, con una dose di psichedelìa color pece in questo caso. Poi escono i mostri, quelli che ci prendono al mattino mentre siamo soli in casa, poi post-lavoro, mentre affoghiamo la nostra vita in una blanda sbronza, cercando i nostri equilibri come surfisti in un mare pieno di onde. La noia è una tagliola, ti prende alla gola dalla fine della scuola e il mondo degli adulti non ha tutti ‘sti sussulti, solo noia e birra. Quel che Frank Atene riesce a fare, tramite questi brani, è squarciare la quinta parete, il velo di Maya, il fascino. È un ascolto talvolta amaro perché ci butta tutto quanto addosso e ci accorgiamo di non essere poi così diversi e nemmeno unici. Probabilmente questi brani sono una delle prime rappresentazioni oneste che ci toccano, i primi esperimenti di rock come racconto e non come fuga e in questo senso i legami con il mondo rap sono stretti, strettissimi.
Diciamo che lo scenario è abbastanza incancrenito e grigio da permettere un’elaborazione artistica che è più simile a uno sputo o a un rigetto rispetto a una forma poetica, ed è giusto così. Il tutto è come al solito prodotto da Leo Pusterla con la sua Safe Port Production e la sensazione è che brano dopo brano, EP dopo EP, Frank Atene siano riusciti a diventare universali, raccontando attraverso Lugano e il Canton Ticino situazioni spendibili in tutto il mondo: sia essa la vicina Italia, dove molte periferie sono le nostre periferie, ma anche altrove, dove la lingua italiana potrebbe essere in primis un vezzo latino da masticare ma dopo un’attenta lettura ci si accorgerà che racconta la vita di molta, troppa gente.
La musica poi potrebbe tranquillamente uscire da qualche garage scassone di Cincinnati od Oakland, con la voce di Matte Soldati che rimane acida il giusto per rimanerci sullo stomaco mentre ci prende a schiaffi. Insieme a lui, a dare corpo ed umori a questa massa ci sono Michele Sedili alla seconda chitarra, Alexander Lutz al basso e Gabriele Ferrantini alle pelli. Ormai sono cinque anni che girano negli angoli più bui, dai tempi nei quali urlavano di Paglie e vino a fiato o dai pezzi dei Cure che ci cambiavano l’umore. È strano parlare di maturità per un progetto che ancora non ha esordito con un album, ma l’impressione è che questi lavori brevi siano la perfetta fotografia di una mappa che va man mano ad affinarsi per particolari, colori e posizioni. Certo, la polpa non cambia e, come cantavano in Artista, hanno fatto un altro disco e lo venderanno solo alle altre band «speriamo poi che mi passi in mezzo a ‘sti scarsi famosi solo a Rete Tre». Già, perché sarebbe veramente un peccato non accorgersi che anche qui c’è gente che non è in grado in quattro di tirare insieme un outfit decente, di vendersi e di attecchire in maniera decente, pensando magari di allargarsi verso la Lombardia o il Gottardo. C’è però gente di talento, gente con delle idee e con le capacità di elaborare il proprio vissuto fra accordi sporchi visioni limpidissime. Merlot del Ticino sulla bocca come rossetto rosso, nessun senso del decoro, un senso di colpa incipiente, la quotidianità che incombe sul nostro collo, tenuto alto per un altro sorso di birra economica. Da ricordare poi che questo gioiellino uscirà anche su nastro su Acque Luride Produzioni, motivo in più per non farelo sfuggire, magari ascoltandolo su un walkman recuperato alla bell’e meglio per mandare il tutto ancor più in distorsione. In caso tenete d’occhio la loro pagina Bandcamp.
Frank Atene - Cara grazia
Francesco Gabaglio // Luca Bassi 16.04.2024, 18:00
Visto e considerato però che questo dev’essere un articolo e non un’ode, posso confermare di aver sentito una citazione dei Måneskin ed è sempre e comunque una brutta cosa, anche considerando la composizione che dal rap prende diversi elementi ed alla quale si concedono campionamenti e agganci ben più molesti. Ma è giusto così, per il resto c’è soltanto da alzarci in piedi e scuoterci a ritmo, imbruttiti da una città che ci ha reso tutti più brutti e grigi, proprio come nella periferia di Milano, anche noi del resto siamo tutti fra’ in catene.
Ora però Matte e banda dovranno arrivarne a una, dopo aver conquistato le frequenze e i palchi svizzero italiani. Sporcarsi in giro, sbattere la testa nelle periferie dell’impero, fare la fame a 50 euro a serata in quattro o passare le ore incolonnati al Gottardo per portare la propria mezz’ora a San Gallo. Poi, se e quando ne avranno la possibilità, buttarsi al lavoro e fare un disco, come quello di una volta, magari un bel long-playing, da ascoltare a casa a notte fonda oppure al mattino, per volerci male il giusto con un post-sbronza triste. «Fai prima a lasciare stare che a metterci a posto/come luci di Natale ancora fuori ad agosto». Avete ragione: vi si vuole così e basta, Frank Atene.
Frank Atene dal vivo a Porza presentano nuovo EP
Avanti tutta, Rete Tre 07.02.2025, 16:55
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