Anniversari

Piero Piccioni, ovvero tutto il Novecento italiano

Non solo le colonne sonore per Sordi, Wertmüller, Rosi, Petri, Lattuada. Il grande compositore, scomparso il 23 luglio 2004, è stato anche un pezzo di cronaca italiana, dalla rosa alla nera 

  • Ieri, 11:00
ab6761610000e5ebdd9c371428da68927911ab51.jfif
Di: Michele Serra

«Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia».
La voce fuori campo di Gian Maria Volonté, che recita le parole di Carlo Levi mentre Gianfranco Rosi indugia con la cinepresa sul volto del primo e sui quadri del secondo. A completare questa icona audiovisiva, la musica di Piero Piccioni.
I primi minuti di Cristo si è fermato a Eboli, versione cinematografica diretta da Rosi nel 1979, sono un pezzo di cultura italiana del ventesimo secolo, quello che qualcuno ha definito breve e invece sembra non voler passare, e finisce per renderci tutti nostalgici.
Ma questa è un’altra storia.
Torniamo all’incipit di Cristo si è fermato a Eboli, Gesamtkunstwerk di tre minuti in cui le arti si fondono: la recitazione di Volonté (chiaro che quel semplice sguardo sia grande recitazione – più di quanto molti attori riusciranno a spremere da sé stessi in intere carriere), la regia di Rosi, la pittura di Levi. E a tenere insieme questo quadro visivo, ecco il tema musicale di Piccioni, poche note dall’atmosfera innegabilmente nostalgica. Qualcuno potrebbe dire morriconiana e non avere torto, visto che quel genere di suono venne reso popolare proprio dalla colonna sonora di C’era una volta il West nel 1968 e poi diventò luogo comune del cinema italiano per i vent’anni successivi. Ma intendiamoci, Piccioni non era certo uno che si limitava a riprendere stereotipi musicali: era un compositore eclettico, dotato di insuperabile capacità di sintesi tra emozioni, tradizioni musicali e atmosfere diverse, perfino contraddittorie. Contraddizione e sintesi, due parole che riassumono perfettamente la vita e l’opera di Piero Piccioni. Un genio, diverso e complementare rispetto al già citato Ennio Morricone, a Nino Rota, Piero Umiliani, Armando Trovajoli…
Piero Piccioni è morto vent’anni fa tondi a Roma, lasciandoci qui a domandarci se tornerà mai un’epoca d’oro come la sua, per il cinema italiano e le sue colonne sonore. E a risponderci che, per quanto il tempo sia ciclico, probabilmente non accadrà.

La musica di Piero Piccioni, del resto, è irripetibile: di perle, tra le oltre duecento colonne sonore prodotte in una carriera lunga mezzo secolo, ce ne sono molte. Ma anche la sua vita certo non dispiacerebbe a un produttore hollywoodiano, se la trovasse sul tavolo in forma di sceneggiatura.
Si parte con una famiglia che ha idee ambivalenti riguardo alla sua idea di trasformare in lavoro la passione musicale. Soprattutto il padre, ingombrante e importante: Attilio, politico di primo piano dell’Italia del Dopoguerra, più volte ministro con i governi democristiani (alla giustizia, agli esteri, alla vicepresidenza del consiglio). È proprio il padre a costringere la famiglia a trasferirsi dalla natìa Torino a Roma (peraltro in una casa meravigliosa a un passo da San Pietro, non c’è da lamentarsi), città dove Piccioni incontrerà prima il jazz e poi il cinema. Sempre lui a portarlo negli anni Trenta alla Rai (allora Eiar), dove Piero debutterà diciassettenne come pianista, da quasi autodidatta (aveva preso lezioni di pianoforte e composizione, ma certo non con la costanza necessaria a chi vuole diventare musicista professionista). Sempre Attilio, a pensare che, sì, quel talento del figlio si può mettere a frutto, ma poi bisognerà crescere – e diventare avvocato. Contraddizioni, certo.
Forse per quei contrasti mai sopiti con i genitori, Piero diventa un tipo ansioso, tendente alla depressione, sofferente di balbuzie, eppure allo stesso tempo – ancora contraddizioni – capace di slanci di grande estroversione, oltre che dotato di un cristallino talento musicale: orecchio assoluto, dice qualcuno, e per quanto la definizione sia sempre scivolosa, rende bene l’idea.
È poi un tipo estremamente colto, che ama viaggiare, vedere il mondo, conoscere altri luoghi e altri popoli. Ancora giovane fugge a New York, per avvicinarsi a quei mostri sacri del jazz americano che stavano tra i solchi dei suoi vinili preferiti. Lì ha l’occasione di suonare con Charlie Parker durante una trasmissione televisiva (rimane l’unico italiano nella storia a farlo). Tornato a Roma si immerge nella dolce vita della capitale italiana, fino alla relazione con una star del cinema come Alida Valli, protagonista di uno tra i primissimi film musicati da Piero nel 1953, Il mondo le condanna di Gianni Franciolini. A proposito di condanne, nello stesso periodo – con un balzo dalla cronaca rosa alla cronaca nera – Piero viene accusato di essere coinvolto nell’assassinio di una giovane donna, che diviene uno dei casi mediatici dell’epoca: le prove a suo carico sono a dir poco evanescenti, e Piero viene assolto con formula piena nel 1957, ma quegli anni di sospetti sono sufficienti a distruggere la carriera politica del padre, reo di avere un figlio che non segue la morale dell’epoca, per vivere una vita da artista. Oggi del caso Montesi non si ricorda più nessuno, a parte forse qualche podcast che raschia il fondo del barile della cronaca nera italiana; di Attilio Piccioni, giusto gli storici italiani; per fortuna ci è rimasta la musica di Piero.

Piccioni era, se volete, un dandy musicale: il suo tocco era sempre elegante e sensuale. Ma quello che lo rendeva eccezionale era la già citata capacità di mettere insieme contraddizioni. Gli piaceva la musica brasiliana, e allora eccolo pronto a mescolarla con la tradizione melodica italiana, per inaugurare un nuovo filone di bossa nova romantica, amato dal cinema nei Settanta, poi riscoperto dalla cocktail music degli anni Novanta, ancora oggi suonato dai DJ nei locali di mezzo mondo. Non si trovava a suo agio dentro l’industria musicale dell’epoca, ed eccolo a fondare un’etichetta insieme a Morricone, Trovajoli e Luis Bacalov: la General Music. Ancora oggi, la carriera di Piero Piccioni è fatta di contraddizioni: l’ultimo posto in cui ci aspetteremmo di trovare la sua musica è infatti nelle playlist dalla generazione Z, e invece proprio i giovanissimi si sono innamorati di una serie di sue composizioni che oggi appaiono incredibilmente vicine al cosiddetto hip-hop “lo-fi”, e che ritroviamo dunque spesso su TikTok (dove i pezzi di Piccioni sono stati ascoltato due miliardi e mezzo di volte, dice il figlio Jason).
Ma l’idea della contraddizione appare più evidente nella lunga collaborazione con Alberto Sordi: da Fumo di Londra e Scusi, lei è favorevole o contrario? dello stesso Sordi, a Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue e Il boom, Piero Piccioni riesce a trovare un registro musicale leggero e ironico, ma con una inaspettata vena malinconica che corre sottotraccia: anche il cinema di Sordi vive di quel contrasto, tipico dell’Italia del dopoguerra. Infatti i due diventano grandi amici e collaboratori fissi: Piero musicherà i film di Sordi fino all’ultimo, Incontri proibiti, nel 1998.

L’indelebile primo rap di Pino D’Angiò

Un' ora per voi 21.07.2024, 13:00

  • Keystone

Correlati

Ti potrebbe interessare