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“Io”, la parola più traditrice della lingua italiana

Nella quarta puntata di Cliché l’intervento del maestro della fotografia Gianni Berengo Gardin e della tennista per eccellenza Martina Hingis

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Io

Cliché 25.10.2024, 21:50

Di: Tommaso Soldini 

Dal 4 ottobre 2024 è ripartita una nuova stagione di Cliché. Nuovo studio, nuovo giorno di messa in onda, nuovi cliché da indagare per un nuovo ciclo di sei puntate del magazine culturale di LA 1. Giunto alla sesta edizione, il format creato da Lorenzo Buccella si è rinnovato completamente e si è spostato a venerdì, dopo Patti Chiari. Accompagnano il percorso di ogni puntata le recensioni letterarie dello scrittore Tommaso Soldini (che qui firma un pezzo presentando la quarta puntata dedicata all’”io”), gli interventi musicali di Camilla Sparkss e, tra le novità di questa stagione, le opere di video-arte realizzate con i materiali originali degli archivi storici RSI dall’artista Sir Taki. Buona lettura.

La storia è nota, forse così nota che è arrivato il momento di ricordarla. Narciso è un giovane, un cacciatore solitario. Vaga nei boschi alla ricerca di cervi da uccidere, per cibarsi delle loro carni. Perché è solo? Perché l’amore che suscita negli altri, donne e uomini, è potente, smisurato, violento. Tutti lo vogliono, lo stalkerano, mobbizzano; desiderano un corpo che lui non sa valutare, che lui non conosce. Fino a quando una dolce e meravigliosa ninfa, che ancora oggi è possibile ascoltare quando, in alta montagna, si urla una parola, lo insegue, anche lei avvinta dai lacci che Narciso inconsapevolmente lancia, a circondare cuore e mente di chi lo guarda negli occhi. È durante la fuga da Eco che il ragazzo per la prima volta vede la propria immagine riflessa, se ne innamora, prova desiderio, ardore, per la prima volta. E annega alla ricerca del congiungimento con il proprio io.

Eccolo, il Narcisismo, il male del nostro tempo. Un puffo con la margherita in mano, che strappa i petali per dirsi io mi amo.

La prima persona singolare è strana già dalla sua forma e dal suo suono. È composta da due semplici lettere, una delle poche parole priva di consonanti, che è come dire che non ha appoggi, non ha sostegni. « Io » è una parolina tutta vocaleggi, che quando la pronunci viaggia in tutte le direzioni, con la sua « i » che cerca la verticalità, seguita subito da una « o » aperta, orizzontale, che desidera occupare tutto lo spazio davanti. Eppure, contemporanamente, questa quasi violenta ricerca di esistenza porta con sé il suo paradosso, perché pur essendo così breve, conta due sillabe, come a dire che la prima vocale odia l’altra, proprio non ci va d’accordo. Ognuna delle due vorrebbe essere la sola, andando così a formare uno iato che è divisione, dissociazione, scisma esistenziale e stevensoniano. Ecco, forse, da dove nascono il dottor Jekyll e Mr. Hyde, le due facce della medesima persona, il placido e sensibile medico scienziato, e il feroce, passionale suo alter ego. Perché se il dottore sembra incarnare perfettamente la « i », con la sua ossessione per la conoscenza, che mira a sbaragliare tutte le limitazioni del mondo fisico, l’altro è certamente la « o », che la vita la vuole conoscere fino in fondo, succhiandone il midollo, accendendo il fuoco con i libri. Perché io, in fondo, è amore, o ricerca di essere, ansia di esistere. E che sia grazie alla conoscenza, o all’incontro carnale, l’io, sempre così ansioso di dire se stesso, forse trova un po’ di pace quando arriva, in un modo o nell’altro, al « noi ».

Anche al povero Narciso, in fondo, mancava solo il desiderio per entrare a fare parte di un modo di vivere che, fino a quel dannato specchio d’acqua, gli era sconosciuto. Perché essere amati senza sapere amare è come essere confinati nel participio passato, quando è solo il presente che ci rende bollenti e vivi. Ma Narciso capisce presto che, nel suo caso, il passaggio dalla prima persona singolare a quella plurale è impossibile. E allora, forse, non è morto cercando di congiungersi con sé stesso, è morto perché sarebbe stato costretto, per tutta la vita, a dire « io ». La parola più traditrice della lingua italiana.

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