Tre anni fa, il 15 agosto del 2021, in Afghanistan sono tornati al potere i Talebani riportando indietro le lancette dell’orologio: la crisi umanitaria si è aggravata e sono state imposte sempre più restrizioni a donne e ragazze, a partire dal divieto di iscrizione alle scuole oltre quella primaria, fino a cancellarle del tutto dalla sfera pubblica.
Le donne, che nel paese muoiono di fame, sono state anche eslcuse dalla conferenza delle Nazioni Unite a Doha nel giugno scorso.
Essere una donna in Afghanistan oggi significa essere invisibile, non aver diritto a dignità e futuro. Ci sono stati appelli internazionali per indagare su questa persecuzione di genere, che è una vera e propria apartheid delle donne, come crimine contro l’umanità.
In Afghanistan, intanto, molte donne si stanno ribellando, silenziosamente, ai Talebani: esiste una forma di resistenza afghana ed è rappresentata dalle scuole clandestine in cui tante professioniste, a cui non è permesso più lavorare, mettono a disposizione delle giovani donne il loro sapere.
Un’attivista afghana per i diritti umani ci ha detto: “L’unico diritto che ci hanno lasciato è quello di respirare. E probabilmente ci toglieranno anche questo”. Nel senso che dall’agosto 2021 è stato un continuo erodere diritti, diritti alla partecipazione agli spazi pubblici, diritti riguardanti il lavoro, diritti riguardanti l’istruzione. Diritti riguardanti la libertà di movimento, la libertà di manifestare. Quindi è stato via via un editto dopo editto togliere le ragazze e poi le studenti adulte dalla scuola, dalle superiori fino all’università. E poi: obbligare le donne a muoversi dalle loro città e svolgere anche altre attività accompagnate, come dire, dal maschio di casa, cioè da un tutore maschile. È stato vietato di svolgere tutta una serie di attività commerciali. Le giornaliste sono scomparse dall’informazione di Stato. Le manifestanti che hanno cercato di prendere la parola sono state arrestate, torturate, fatte sparire. Tutto questo mentre mano a mano l’attenzione del mondo era rivolta altrove.
Riccardo Noury, portavoce di Amensty International Italia
Sabrina Pisu approfondisce il tema dell’apartheid di genere in Afghanistan con Zarifa Ghafari, che nel 2019 è diventata la prima e la più giovane sindaca dell’Afghanistan, nella città di Maidan Shahr, nella provincia di Vardak, sopravvissuta a tre tentativi di omicidio da parte dei Talebani; Dina Taddia, consigliera delegata di WeWorld, organizzazione umanitaria presente in Afghanistan da molti anni e Riccardo Noury, portavoce di Amensty International Italia.
Afghanistan dimenticato
Laser 14.08.2024, 09:00
Contenuto audio