Società

Di mentori, modelli, scelte e rappresentazione

Mentre la letteratura e il cinema sono pieni di esempi di figure di mentori uomini, la figura della mentore donna è decisamente minoritaria

  • 20 aprile, 08:18
immagine di Mona Lisa Smile, corale
Di: Elena Panciera  

Oggi ho ricevuto un messaggio che non ero pronta a leggere: «Volevo chiederti se hai saputo che è morta la Milly». “La Milly”, rigorosamente con l’articolo – secondo l’uso regionale veneto, da dove provengo – è stata la mia insegnante di italiano alle scuole medie. È stata un punto di riferimento per me, studentessa brillante ma anarchica, perennemente in cerca di stimoli intellettuali e conferme emotive.

Colta, appassionata di letteratura e educazione, Milly in quei tre anni ha saputo guidarmi con dolcezza e cura, mi ha lasciato spazio, ha supportato il mio bisogno di esplorare, mi ha incoraggiata senza trascurare il resto della classe. Abbiamo fondato una biblioteca scolastica, abbiamo partecipato a concorsi di scrittura, e se oggi sono così fissata con la grammatica è per colpa, o merito, dei corsi di analisi logica che organizzava per chi avrebbe studiato latino alle superiori. Milly, me ne rendo conto oggi, è stata una mentore: la mia prima, e forse unica, mentore.

“Mentore” è un’antonomasia: a Mentore, suo vecchio compagno, Ulisse affida il figlio Telemaco prima di partire verso Troia, per la guerra. Il progetto Una parola al giorno definisce “mentore” così: «pur avendo la saggezza e l’esperienza di un maestro, non si presenta come gerarchicamente superiore a colui che assiste; la sua guida è discreta, non impositiva, e si traduce in un consigliare e sostenere».

Nancy K. Miller e Tahneer Oksman, nell’introduzione all’antologia Feminists Reclaim Mentorship da loro curata (State University of New York Press, 2023, non ancora tradotta in italiano) notano: «Fin dall’inizio, il mentoring è stato inscritto nelle maglie dei rapporti di potere e come un affare tra uomini. Paterna e patriarcale, è una struttura che [...] è stata comunque replicata nelle relazioni tra donne e in quelle che coinvolgono altri gruppi emarginati» (traduzione mia).[1] 

Anche il correttore di Google è spiazzato di fronte alla mentore.

Mentore donna, Google correttore.png

Siri Hustvedt, in Fantasmi di mentori (contenuto in Madri, padri e altri. Appunti sulla mia famiglia reale e letteraria, Einaudi, 2023) parla del suo rapporto con queste mitologiche figure, così lungamente e spesso vanamente agognate: «Ho il sospetto che la mia fantasia sul mentore rappresenti sia il desiderio di essere riconosciuta sia una sorta di compensazione. Attinge in primo luogo al desiderio perché le due parti della coppia mentore/allievo riassumono la relazione bambino/genitore ma in una fase più matura della vita e in una forma più consapevole. Dopo tutto, nessuno sceglie un genitore. Un mentore invece va cercato, sedotto e persuaso a rivestire quel ruolo. E per lui o lei, l’ammirazione è un potente elisir. La mutualità è fondamentale nella formazione della coppia, ma anche la gerarchia». La figura di mentore è una figura di cura, sì, ma prevede una gerarchia e un rapporto di potere sbilanciato, e quindi non viene tradizionalmente associata alle donne.

Dopo Milly, ho a lungo cercato nuove persone che mi potessero, ma soprattutto volessero, fare da mentori. Da adulta, entrando nel mondo del lavoro, ho cercato istintivamente mentori donne, che potessero guidarmi, ma che fossero anche degli esempi a cui ispirarmi. Cercavo rappresentazione.

Non posso dire che la mia ricerca abbia dato esiti positivi. Tra le poche, pochissime donne in posizione di potere che ho trovato nella mia carriera, è sempre mancato qualcosa: la capacità di guidare e insegnare, la possibilità di essere un modello a cui ispirarmi, o la loro volontà. Lo capisco: essere mentore è una vocazione. Ci si sceglie in due. Non è un lavoro retribuito. (E io posso essere impegnativa, diciamocelo pure.)

Confrontandomi con amiche, mi sono resa conto che la situazione che mi accomuna a Siri Hustvedt è molto diffusa: sono poche quelle che hanno avuto delle mentori, ma quasi tutte ne avrebbero volute. In un contesto in cui ci ripetono che “le donne sono le peggiori nemiche delle donne”, e quelle poche che riescono a emergere lo fanno spesso a carissimo prezzo, però, forse ci siamo abituate a considerarle eccezioni, e a non cercarle nemmeno.

Jacqueline Carlyle .png

Jacqueline Carlyle in The Bold Type

Per questo, quando ho recuperato le cinque stagioni della serie tv Ragazze audaci (The Bold Type), mi sono commossa. Non solo contengono una rappresentazione femminile positiva e plurale, ma la figura di Jacqueline Carlyle, caporedattrice della redazione di Scarlet, rivista dove è ambientata la vicenda, è tutto quello che una mentore dovrebbe essere: affascinante, sicura di sé, competente, umana, coraggiosa e incoraggiante, capace di ammettere i propri errori e di delegare – nella fattispecie, alle tre giovani protagoniste. Avete presente Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada? Ecco, esattamente l’opposto.

Rebecca Welton.png

Rebecca Welton, mentore di Keeley Jones in Ted Lasso

Ho fatto una piccola ricerca, senza pretesa di esaustività: nei film hollywoodiani quasi tutti i mentori sono uomini. Le uniche due mentori che ho trovato citate in articoli sul tema sono Mary Poppins e suor Maria Claretta di Sister Act. A me sono venute in mente l’insegnante Katherine Ann di Mona Lisa Smile, e M. in James Bond. Fine.

Dopo una narrazione del rapporto tra mentore e allieva inesistente, sono stata quindi molto felice di notare un’inversione di tendenza anche in prodotti mainstream come le serie tv. A questo proposito, segnalo un’altra splendida rappresentazione di un rapporto di mentorship al femminile è quella tra Rebecca Welton e Keeley Jones in Ted Lasso, rispettivamente proprietaria della squadra di calcio britannica del Richmond, e la sua giovane PR manager, poi amica e confidente.

La rappresentazione, che passa anche attraverso i media, è il primo passo per un cambiamento culturale. Stiamo capendo che è importante avere modelli di riferimento simili a sé, in ogni momento del proprio percorso umano e professionale. Faccio mio quindi il consiglio di Soraya Chemaly, in La rabbia ti fa bella. Il potere della rabbia femminile (Harper Collins, 2018): «Se non avete mentori o altre figure di riferimento, procuratevene». O diventate una di loro: siate la mentore che avreste voluto incontrare nella vostra vita, vent’anni fa.

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