Società

L’emergenza climatica tra i banchi di scuola 

Tra uragani e alte temperature, i cambiamenti climatici hanno impedito l’accesso all’istruzione a 400 milioni di bambini dal 2022 secondo la Banca Mondiale. Che cosa possiamo fare? 

  • 24 ottobre, 08:39
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Di: Simone Pengue  

Andare a scuola con le torride temperature di luglio e agosto è difficilissimo già nella Svizzera italiana, dove difatti le strutture chiudono i battenti per diverse settimane. Nei Paesi tropicali la sfida assume tutta un’altra dimensione e il riscaldamento globale non fa che peggiorare la situazione. Tanto che i cambiamenti climatici stanno già impedendo l’accesso all’istruzione, con una stima del numero di bambini coinvolti in tutto il mondo che raggiunge i 400 milioni dal 2022. A dirlo sono due recenti rapporti della Banca Mondiale, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che ha l’obiettivo di lottare contro la povertà e sostenere i Paesi in via di sviluppo. La Banca Mondiale evidenzia come il riscaldamento globale possa avere un effetto diretto sulla possibilità di studiare a causa dei fenomeni estremi sempre più violenti e frequenti come caldo, tempeste, siccità, incendi e valanghe, ma anche di come stia agendo in modo indiretto attraverso la qualità dell’aria, la sicurezza alimentare, la salute, le migrazioni, i conflitti e le crisi economiche. Recarsi fisicamente a scuola, in queste condizioni, è pressoché impossibile e spesso gli istituti diventano del tutto inagibili se non addirittura distrutti, oppure l’attività è insostenibile per gli studenti messi alla prova dagli agenti atmosferici. 


Nonostante il caldo e le inondazioni ci siano sempre state, la situazione sta cambiando in maniera tangibile. In uno scenario di aumento della temperatura di 3°C rispetto all’era pre-industriale entro il 2100, le stime indicano che un bambino nato dieci anni fa vivrà nel corso della sua vita tre volte più inondazioni fluviali, il doppio di cicloni tropicali e incendi, quattro volte più carestie, cinque volte più siccità e ben 36 volte più ondate di calore rispetto a un bambino del 1960. Eppure non è troppo tardi per agire e i Paesi più interessati, spesso non abbienti, possono rispondere con efficacia a questo preoccupante fenomeno. Il primo modo per farlo è pianificare in anticipo le azioni da intraprendere nel caso di emergenza o disastro legati alle condizioni atmosferiche. Il secondo è l’implementazione di sistemi d’allarme precoce, in modo che gli studenti possano frequentare gli studi in sicurezza. Infine, la Banca Mondiale evidenzia la necessità di dirigenti scolastici e personale amministrativo competenti che possano gestire le situazioni estreme prima, durante e dopo l’evento. La vera chiave di volta, però, è l’istruzione stessa. Infatti, una popolazione con gli strumenti culturali e tecnici giusti è in grado non solo di prepararsi meglio all’avvento delle catastrofi, ma anche di riprendersi più in fretta, come evidenziano diverse ricerche universitarie effettuate su Paesi quali Thailandia, Brasile, Haiti, Cuba, Repubblica Domenicana, El Salvador, Senegal e Mali. Per capirlo, gli autori dei quattro studi tenuti in considerazione dalla Banca Mondiale hanno effettuato dei sondaggi tra la popolazione, accostando la loro istruzione con la prontezza di fronte alla catastrofe. Dati alla mano, i ricercatori hanno potuto concludere che nelle aree geografiche esposte ai disastri climatici la scolarizzazione permette di aumentare la consapevolezza circa le informazioni cruciali da conoscere nei momenti di emergenza, di preparare una rapida risposta agli allarmi e di predisporre la popolazione a un miglior recupero post-disastro. Inoltre, le persone che hanno avuto modo di diplomarsi sono generalmente meno esposte economicamente a attività fortemente sensibili al clima come l’allevamento e l’agricoltura.  

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Se si vuole permettere alla popolazione di superare gli ostacoli posti dal clima e frequentare con successo un percorso scolastico al fine di innestare un circolo virtuoso, serve però un ulteriore sforzo economico da parte dei governi, che secondo la Banca Mondiale ammonta in media solamente a 18.51 dollari per studente all’anno. Con questi soldi si possono migliorare le infrastrutture per renderle più resistenti alle alte temperature o adattabili a uragani e alluvioni, oltre a preparare meglio i docenti. In Indonesia, ad esempio, i tetti dipinti di bianco stanno efficacemente contribuendo ad abbassare le temperature nelle aule, mentre in Kenya il caldo insostenibile nei cortili scolastici è mitigato attraverso dei grandi alberi, che riescono ad abbassare la temperatura di anche cinque gradi centigradi. Nei Paesi più abbienti, come Taiwan, si ricorre direttamente all’istallazione di impianti di aria condizionata. Anche in Svizzera sta crescendo l’attenzione verso la gestione dell’istruzione durante ondate di calore. Nel 2022, ad esempio, si è concluso il progetto pilota «Fa caldo a scuola» condotto a Locarno e Montreaux dall’azienda di consulenza ambientale Bio-Eco Sàrl e dallo studio CSD Ingegneri con il sostegno dell’Ufficio Federale dell’Ambiente (UFAM). Il progetto è convogliato in un pacchetto didattico sul tema che, accanto a linee guida per la gestione degli edifici e delle attività, contiene anche materiale dedicato agli alunni, come un gioco da tavola e degli striscioni. Nonostante chi ha frequentato le scuole elementari qualche decennio fa possa non comprendere a pieno la necessità di queste iniziative sul nostro territorio, per chi ci va oggi la questione è improrogabile.   

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