Società

Tupperware: fine di un’era

Il fallimento della più famosa azienda produttrice di contenitori per alimenti. Prodotti “troppo resistenti” potrebbero aver portato alla rovina dell’azienda? Una riflessione sull’obsolescenza programmata e su quando la qualità è nemica del rendimento economico

  • 26 ottobre, 07:55
Un prodotto presente praticamente in ogni casa
  • Keystone
Di: Sofia Bertoli 

Anche i giganti cadono. Tupperware, la storica azienda produttrice di contenitori ha avviato il mese scorso la procedura di fallimento.

Nata più di ottant’anni fa negli Stati Uniti si è rapidamente diffusa in tutto il globo. I suoi prodotti sono divenuti talmente famosi da essere riconosciuti nel linguaggio comune come il contenitore per alimenti per antonomasia. Infatti vengono chiamati Tupperware, talvolta con tanto di soprannome amichevole “tupper”, anche contenitori alimentari che non appartengono al marchio.

Capace di rivoluzionare il modo in cui si conserva il cibo, è stato negli anni anche un esempio di design, tanto da essere esposto nei musei. E non musei qualsiasi, i contenitori Tupperware trovano spazio al Musée d’Art Moderne di Parigi, al Design Center di Londra e al Metropolitan Museum of Art di New York, solo per citarne alcuni.

Un oggetto comune, che non mira a nulla di straordinario, ma che è comunque diventato un simbolo proprio per la sua qualità e praticità.

Indubbiamente, gli articoli Tupperware godono da sempre di un’ottima reputazione. I loro contenitori per alimenti sono infatti particolarmente resistenti all’usura e non è dunque inusuale trovare nella propria cucina prodotti di vent’anni o più. Praticamente indistruttibili, accompagnano generazione dopo generazione nella quotidianità, ed è forse proprio questa loro caratteristica ad aver spinto l’azienda sull’orlo della bancarotta. Come può un prodotto così eterno essere compatibile con l’economia di oggi? In un mondo fagocitato dal consumismo più estremo poco contano qualità e resistenza, perché il consumatore deve comprare tanto spendendo poco. Qui qualcosa si spezza. Tupperware sembra non reggere il passo, o forse non intende scendere a compromessi, e continua a vendere i suoi articoli a prezzi notevolmente superiori alla media. Sì, perché i suoi prodotti sono certamente durevoli e funzionali, ma tutt’altro che economici. E se è pur vero che la qualità si paga, il costo dei Tupperware è particolarmente alto, soprattutto se confrontato con l’offerta della concorrenza. Da decenni esistono infinite possibilità alternative di contenitori in plastica, tutte con un prezzo inferiore a quello della storica azienda americana. 

Abbiamo sentito spesso parlare negli ultimi anni di obsolescenza programmata, quel – fastidioso, diciamolo – meccanismo secondo cui i prodotti sono destinati a morire dopo un certo periodo di tempo, sempre più ristretto e sempre a svantaggio del consumatore.

03:08

Cos'è l'obsolescenza programmata?

RSI Cultura 30.08.2021, 14:23

Questa strategia commerciale, che accorcia il ciclo vitale del prodotto, non sembra appartenere alla Tupperware. Articoli che durano nel tempo e che quindi non favoriscono l’acquisto continuo.

Come spesso accade, le cause che hanno portato al fallimento sono molteplici e non si può pensare che l’”eccessiva” qualità del marchio ne sia la principale. Basti pensare al peculiare modello di vendita porta a porta che ha condotto la società al successo; I “Party Tupperware” permettevano una dimostrazione diretta e diventarono per molte donne, agli inizi degli anni ’50, un’interessante prospettiva lavorativa e una possibilità di indipendenza economica. Molte di loro divennero rappresentanti aziendali e riuscirono così ad emanciparsi, bilanciando vita familiare e lavoro. Questo modello di vendita appare però oggi superato e fatica a inserirsi nelle nuove abitudini dei consumatori, più avvezzi a sistemi di e-commerce (come la vendita online).

Anche il profondo attaccamento alla plastica in un’epoca che vede in questo materiale la radice di ogni male, non aiuta una società già in crisi. Gli articoli della Tupperware sono infatti costruiti in polietilene, una plastica multifunzionale e molto robusta, ma lontana dalle filosofie “green”. Un paradosso, perché se pensiamo alla durevolezza dei suoi prodotti, la Tupperware appare sicuramente più sostenibile di altri.

Come detto, la caduta del famoso produttore di contenitori alimentari è stata la somma di più elementi, tra cui un’organizzazione interna che ha vacillato a lungo prima di cedere. Per questo risulta difficile trovare un’unica causa, ma certo è che la conclamata qualità dei suoi prodotti non si è forse inserita perfettamente nel mercato di oggi; un mercato spietato, in cui non sono ammessi errori e nemmeno posizioni controcorrente. Se l’aver prodotto articoli longevi sia stata una scelta mirata non lo sapremo mai con certezza, ma sicuramente ha contribuito al suo crollo. In fondo, non ci sembra una storia tanto diversa da quella delle calze di nylon della Dupont, troppo resistenti per essere vendibili e quindi rese più scandenti per incrementare le vendite. Già negli anni ’30, inizia un meccanismo che ormai conosciamo alla perfezione: l’obsolescenza pianificata.

1:21:05

Indice di riparabilità / Isola dei prezzi alti

Patti chiari 15.03.2024, 21:10

  • RSI

Ti potrebbe interessare