Società

L’importanza di un luogo comune

Dati, statistiche, studi, ma soprattutto volontà e visione. Antonella Agnoli racconta, disegna e invita nella biblioteca ideale

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Di: Ale de Bon

Se Antonella Agnoli fosse una naturalista le biblioteche sarebbero le sue Galapagos. Kirkkonummi, Los Angeles, Rosarno, Gouda, Oslo o Medellìn, lei viaggia, osserva, scopre, annota e torna. Poi talvolta progetta, talaltra scrive. È nato così La casa di tutti, l’ultimo dei suoi libri dedicati al cosa sia, al cosa potrebbe e al cosa dovrebbe essere una biblioteca. Un saggio leggero, non certo per superficialità dei contenuti, ma per il piacere della lettura. Perché Antonella Agnoli è anche un’abile raccontastorie; storie vere, varate dai dati e sceneggiate da precise volontà amministrative e sociali. E siccome ha pure amministrato e affiancato amministrazioni italiane da nord a sud, da est a ovest, dove ci fosse una biblioteca da pensare, raddrizzare, ipotizzare o mettere in moto, ecco che quel che ne è uscito, nero su bianco, non è filosofia ma pratica quotidiana. Architettonica, civica, politica.

Un popolo colto non potrà mai essere ridotto in schiavitù.

Manuel Belgrano

La prima scoperta, leggendo La casa di tutti, è che i libri, in biblioteca, non sono il fine. Non sono il motivo sine qua non, l’unica ragione possibile per dirsi “andiamoci”. Possono essere il mezzo, possono essere l’approdo imprevisto o possono rimanere la scenografia di quell’andare, l’arredamento di quella casa in cui oltre a leggere, studiare, lavorare o ascoltare si può anche fare, incontrare, e ancor prima “essere”, esistere: singole persone, singoli cittadini e comunità. Così tra le diapositive di Agnoli si possono trovare biblioteche abitate da macchine da cucire e chitarre elettriche, biliardini e cuscini XXL, Ape Car e pareti da arrampicata; complici fondamentali di uno spazio pubblico che in quanto tale deve saper proporre e accogliere, sedurre e soddisfare. Deve poter essere - appunto - la casa di tutti. E in quel “tutti” c’è l’altra grande (ri)scoperta, forse sbiadita dall’ovvietà, da quel “pubblico” dato per scontato. Ovvero di uno spazio accessibile a chiunque, gratuitamente, garantito e riservato, per una sorta di “lasciate ogni differenza, voi ch’entrate”. La biblioteca è il sapere orizzontale, idrorepellente alle dichiarazioni dei redditi, ai passaporti, alle piramidi e alle scale sociali, al commercio. È una porta rigorosamente aperta, sognando lo 00-24; ma è pure un tetto garantito, anche per chi non ha bisogno di prendere in prestito Pastorale Americana di Roth, ma di trovare uno spazio asciutto, magari caldo, in cui semplicemente stare. E mentre sta, attorno succedono cose, tra cui anche il silenzio di chi studia.

Le biblioteche offrono un duplice aspetto di libertà: l’anonimato che garantiscono e la possibilità di incontrare altre persone fuori dallo spazio controllato e gerarchico del posto di lavoro.

A. Agnoli, La casa di tutti (2023)

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I pilastri su cui poggia la casa di tutti sono (almeno) tre: fiducia, energia sociale e uguaglianza. Da qui si parte e si costruisce, in condivisione e sincerità d’intenti, disegnando progetti di cui i cittadini e le cittadine non siano esclusivamente i destinatari, ma anche le ingegnere, i geometri, gli arredatori d’interni e le imbianchine. Perché ogni biblioteca è il luogo in cui nasce e in cui vivrà, con le sue esigenze, la sua geografia e le sue geometrie urbane e sociali; affinché possa essere un luogo accogliente, ma prima ancora accolto. Di nuovo, la fiducia. Il che non significa accontentare, ma saper osservare, per poi magari sorprendere. Possibile? No, già reale. Perché una biblioteca così pensata, la casa di tutti, è più vicina a Frank Lloyd che a Italo Calvino. Nessuna fantasia, nessuna ipotetica, ma mattoni, vetrate e participio presente. In biblioteche così ci si può già entrare: più o meno ovunque in Finlandia, in Norvegia, a New York, in Olanda.

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Biblioteca Oodi

Antonella Agnoli è più di trent’anni che le trova, visita e frequenta; frequenta i loro muri, i loro ingegneri, i loro amministratori e i loro frequentatori. Ed è così che il racconto diventa immersivo, in 3D, e allo stesso tempo concreto, statistico, rendicontato, “a norma”. Un racconto e un discorso condiviso al centro della piazza, con vista e sguardo a trecentosessanta gradi e in cui la biblioteca è il luogo riconoscibile per una riflessione politica e sociale.

Se vogliamo creare luoghi più interessanti e democratici dobbiamo partire dai bagni. Sì, proprio i bagn

A. Agnoli, La casa di tutti (2023)

La casa di tutti è anche un “libro speranza”, perché racconta un esistente - e funzionante - civile, civico e democratico. È un libro speranza perché assicura, fotografandola, che un’amministrazione della cosa pubblica lungimirante, rivolta alle persone e non ai palazzi, efficace, può esistere. Poi però chiede, perché La casa di tutti è anche un libro politico; e se con una pagina testimonia e racconta “a cose fatte”, al contempo invita “a cosa da fare. Ottenere”. Invita a schierarsi, volere e decidere. Anche a lottare, perché le città restino luoghi delle persone e non delle cose, e soprattutto per le persone e non per le cose. A tratti La casa di tutti sembra una spin-off, o meglio uno scaffale (aperto) di Se Venezia muore di Salvatore Settis, bellissimo libro - giusto un pelo meno ottimista - sulle città svuotate dei loro cittadini; Disneyland dell’andare e venire, servizi fast-food, set hollywoodiani, negozi per tutti. Nelle case di tutti invece il tempo è residente, la conoscenza anarchica, la bellezza lenta e i legami imprevisti. E anche in questo caso tra le righe e tra le pagine non c’è delega, ma assunzione di responsabilità. Che alla fin fine i lettori siamo noi e le Galapagos non sono poi così lontane.

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Alphaville 22.05.2024, 11:20

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