L’invasione di strumenti di creazione gestiti dall’intelligenza artificiale ha stupito un po’ tutti per la velocità con cui è arrivata. Eravamo rimasti fermi alla strampalata (e un po’ fuori tempo) idea della costruzione di un metaverso a immagine e somiglianza di Mark Zuckerberg e dei suoi figliuoli che non abbiamo (del tutto) scorto all’orizzonte l’arrivo di ChatGPT, MidJourney, d-id e di tutte le altre piattaforme che consentono in (relativamente) poco tempo di generare immagini, testi, suoni e voci.
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Alphaville 23.02.2023, 11:00
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Ma oggi che milioni di persone sperimentano, giocano, lavorano con questi strumenti possiamo intravederne davvero il potenziale rivoluzionario. Siamo alle soglie di qualcosa di simile all’avvento dei social network o (per rimanere nell’ambito artistico) della fotografia e della grafica digitale, come scrive Gregorio Magoni saggista e programmatore. Ci sembra quindi importante aprire un dibattito che analizzi sì le possibilità incredibili di applicazione di queste tecnologie in diversi ambiti, ma anche eventuali criticità e problematiche.
Detto che l’accessibilità (perlopiù) universale, come ci ha insegnato l’evoluzione di internet negli ultimi dieci anni, sembra essere inarrestabile, per chi oggi fa dell’arte un lavoro sono estremamente attuali domande e questioni che riguardano la propria esistenza, proprio nel senso etimologico dell’essere in atto. E qui vogliamo entrare più nello specifico e riferirci a uno in particolare di questi strumenti: il cosiddetto Text to Image, il cui rappresentante più noto è Midjourney, una piattaforma che attraverso l’intelligenza artificiale permette di generare immagini di ogni tipo in pochi secondi.
Cominciamo con il dire che per quanto ora sia pervasiva della nostra realtà, grazie, appunto, a strumenti generativi molto semplici da utilizzare, l’intelligenza artificiale non è certamente qualcosa di nuovo in ambito di studi, ricerche e applicazioni. Ma è proprio la sua esemplificazione e la sua adattabilità al mondo dell’online ad averla resa qualcosa di diverso.
D’altronde come affermato dallo stesso David Holz, CEO di Midjourney, la dimensione creativa/globale della piattaforma, il suo essere community, è il vero motore che sta dietro al successo del Text to Image.
Per parafrasare Walter Benjamin, che già all’inizio del ‘900 parlava di perdita di autenticità dell’opera d’arte per via della facilità di riproduzione che la tecnologia aveva messo a disposizione dell’essere umano, oggi forse potremmo parlare di facilità di sovra(ri)produzione. Possiamo partire da una foto, da un’idea, da una frase, da una citazione e poi lasciare all’IA l’esecuzione. Non siamo soddisfatti della prima versione? No Problem, possiamo generarne infinite varianti apportando giusto qualche modifica o partendo sempre dallo stesso punto e lasciando fare tutto alla piattaforma stessa.
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Quel che possiamo (anzi dobbiamo) affermare con una certa sicurezza è che questa intelligenza artificiale non ha una creatività intrinseca ma “semplicemente” giganti database che pescano a piene mani da articoli, dipinti, canzoni, fatti e misfatti storici. Un calderone da cui magicamente gli algoritmi pescano, compongono e ricompongono in pochissimi secondi per creare qualcosa di (quasi) nuovo. Come spiega bene Francesco d’Isa in La rivoluzione degli algoritmi nel mondo dell'arte: “Questi software non sono androidi antropomorfi con un’intelligenza e una personalità propria, ma modelli algoritmici basati su enormi quantità di dati creati dagli umani, su cui lavorano su base statistica allo scopo di rispondere con successo alle nostre richieste.”
Questo è importante ricordarlo perché non siamo (ancora) al punto in cui le intelligenze artificiali possano inventare da sole qualcosa, ad oggi si devono ancora nutrire dello scibile umano.
Ed ecco qui un primo problema su cui abbiamo già avuto modo di constatare nel recente passato l’inefficacia delle soluzioni messe in atto o forse addirittura l’impossibilità del trovarne: esattamente come è successo nel mondo dei social, dove l’autore dell’opera si è fatto via via sempre più irriconoscibile (o non accreditato) sotto le logiche della viralità, della condivisione e dei compulsivi flussi dei feed, l’intelligenza artificiale utilizza creazioni già esistenti facendo scomparire l’autore originale.
Bellinzona come Gotham City - generata da Midhourney
Da una parte, con una piccola vena provocatoria, è interessante notare come l’utilizzo dei prompt (i comandi che usiamo per dire all’intelligenza artificiale cosa generare), in questo senso, possa rappresentare una sorta di rivincita e riappropriazione culturale. Più conosci il mondo (in senso lato), più conosci tecniche, tecnologie e teorie, più conosci autori, opere, testi, film e quant’altro, più facile sarà scrivere un prompt complesso e più accurata sarà la creazione dell’IA. Dall’altro lato, però, se nella grande bagarre social dell’irriconoscibilità dell’autore originale in un qualche modo è ancora possibile provare perlomeno una difficile e ripida risalita, in quello delle piattaforme di intelligenza artificiale la sparizione sembra essere davvero totale e alla portata di chiunque.
E non è neanche detto che la mia opera non possa trovare spazio fisico all’interno di una mostra o un concorso d’arte; è già successo e intelligenze artificiali si sono già ritrovate a trionfare nell’imbarazzo inconsapevole (a posteriori) di giudici e critici.
Théâtre D’opéra Spatial, realizzata da Jason Allen con Midjourney e vincitore del concorso concorso artistico Colorado State Fair
Lo sappiamo, da Duchamp in poi l’arte ha ribaltato completamente il concetto di valore e di unicità dell’opera in sé. Il concetto supera di per sé la sua materializzazione e quindi probabilmente oggi è sicuramente intrigante capire se possiamo ancora, o anche, parlare di valore quando ragioniamo su ciò che viene generato da un’intelligenza artificiale. Proprio Duchamp diceva che sono gli spettatori, e non l’artista, a creare un dipinto: ebbene in questo caso verrebbe quasi da dire che la democratizzazione dello strumento con cui creiamo un’immagine lascia in sospeso il ruolo di artista e spettatore, confondendoli, mischiandoli e rendendoli in un qualche modo una cosa unica.
Per chiunque abbia aperto almeno una volta Midjourney l’effetto a è a dir poco straniante: un feed di comandi e prompt che generano migliaia di immagini una dietro l’altra, una galleria d’arte in costante mutamento e movimento, da cui tutti traggono ispirazione (o forse copiano) dagli altri in cui si amalgamano l’aspetto ludico, creativo, artistico e professionale.
Un prompter è un artista? La domanda è affascinante, perché l’interfaccia macchina/utente delle intelligenze artificiali è mediata da un linguaggio iper semplice che permette a chiunque in pochissimi secondi di imparare, provare e (far) creare. Sicuramente quello del prompter sta diventando un vero lavoro: sempre più aziende high-tech sono alla ricerca di persone in grado di scrivere comandi complessi su cui le IA possano lavorare.
Se poi il prompter sia un artista o meno è un argomento che tocca diverse sensibilità e su cui, forse, oggi dare una risposta è prematuro. È più “semplice” che conoscere e saper utilizzare una macchina fotografica? Sicuramente sì. È più “semplice” che saper disegnare e creare illustrazioni a mano libera? Sicuramente sì… Ma l’esemplificazione toglie davvero valore a ciò che poi viene generato? O forse dovremmo pensare a nuove categorie con cui accogliere queste creazioni, dando per scontato che, alla fine, come ogni tecnologia ai suoi albori oggi riusciamo solo a intravederne la vera evoluzione?
Fa sorridere, il termine coniato dal critico e giornalista Vanni Santoni di “turboarte" per cui “generare queste immagini resta maledettamente facile e – forse soprattutto – maledettamente rapido… (Quella di Midjourney è) Turboarte, se vogliamo; arte frutto di saccheggio, magari; ma comunque arte, almeno secondo ciò che si intende, oggi, col termine”
Ripetiamo, oggi una soluzione non c’è e non si intravede neanche, anche perché l’utilizzo di massa di questi strumenti sta rendendo la produzione compulsiva e di per sé incontrollabile. Ma, forse, stiamo assistendo a una rivoluzione tecnologica che ha semplicemente bisogno di assestarsi, comprendersi e darsi un (seppur caotico data la sua vastissima usabilità e accessibilità) ordine. Ordine che diversi artisti vorrebbero far imporre attraverso una regolamentazione netta e chiara dell’utilizzo delle intelligenze artificiali. Certo, e perdonate il cinismo, da diversi punti di vista la storia recente di internet e dei tentativi di legiferare sui suoi strumenti non offre loro prospettive troppo positive.
Rimaniamo quindi sul fatto che oggi come oggi le possibilità, dal punto di vista tecnologico/estetico, sembrano realmente infinite. La domanda che rimane in sospeso, riassumendo tutto ciò abbiamo cercato di rintracciare, è se la generazione di opere digitali potrà o meno trasformarsi in una nuova forma d’arte dove il concetto tra ispirazione e copia, tra autore, macchina e fruitore sarà talmente labile da diventare secondario rispetto al risultato finale.