Uno dei più affascinanti temi dell’esperienza umana, invariato nel corso dei millenni, è il raggiungimento della felicità. È un concetto tanto anelato quanto vago, indefinibile e sfuggente, al quale filosofi, maestri e letterati di ogni epoca hanno tentato di dare una loro definizione. Eppure il termine stesso sembra fuggire ogni possibilità di definizione a parole, nonostante ogni essere umano, nella propria vita, ricordi e sappia riconoscere con certezza un momento felice vissuto. Ciò lascia presupporre che la felicità, dunque, non è una prerogativa di pochi, ma quello che potremmo chiamare un diritto di nascita.
Come possiamo definirla e, soprattutto, come possiamo raggiungerla?
L’esperienza di un attimo
Il momento di felicità è caratterizzato dalla totale immersione nel momento presente, al punto che tutto il mondo scompare e non rimaniamo che noi, avvolti dall’infinita gioia di ciò che stiamo vivendo. In quel momento non abbiamo né un passato né un futuro e ci sentiamo semplicemente liberi: liberi da timori, preoccupazioni e insicurezze. Eccoci allora ridere a crepapelle fino ad aver male alla pancia in compagnia dei nostri amici, piangere commossi dal rivedere la persona amata dopo tanto tempo, balzare di gioia dopo che il progetto che ci stava tanto a cuore ha finalmente ricevuto il riconoscimento che si merita,... e poi? Quella felicità ha vita breve. In poco tempo, molto più rapidamente di quanto ci aspettassimo e soprattutto molto più rapidamente di quanto vorremmo, tutto termina. E ci ritroviamo di nuovo a terra, schiacciati dal peso, dalle difficoltà, da una stanchezza che ci portiamo addosso da troppo, troppo tempo. E allora torniamo a chiederci come sia potuto succedere che ci ritroviamo di nuovo così abbattuti. Non avevamo forse raggiunto ciò che volevamo?
Dopamina: il principale neurotrasmettitore della felicità
Questo fenomeno di abbattimento è dovuto alla dopamina, e in particolare ai suoi picchi di livello. La dopamina è il principale neurotrasmettitore responsabile dell’euforia, rilasciata dall’encefalo (regione del sistema nervoso centrale, contenuta all’interno della scatola cranica) nei momenti di gioia. La dopamina agisce come un segnale di ricompensa, comunicandoci che l’esperienza che stiamo vivendo non solo è positiva, ma merita di essere ricordata e ripetuta. Tuttavia dopo il picco raggiunto il livello di dopamina torna non solo a uno stato di base, ma addirittura un pochino più in basso. Questo causa quel senso di vuoto, di appiattimento emotivo e malinconia che spesso segue un momento lieto. Cercheremo dunque altre occasioni per tornare a sentirci in quel modo, per ripetere a tutti i costi l’esperienza e tornare a sentirci così liberi, così, appunto, felici. Eppure scopriremo ben presto che la stessa attività, nel ripetersi, non darà più le stesse emozioni. In termini scientifici questo si traduce in un rilascio minore di dopamina (fenomeno di tolleranza alla dopamina).
Il rischio è dunque quello di sentire di dover cercare stimoli sempre maggiori, che causano un rilascio via via più intenso di dopamina, per evitare di sentire quel vuoto che spesso giudicheremmo come negativo.
L’istinto di sopravvivenza come ostacolo alla felicità
Come si può facilmente intuire questo meccanismo gioca un ruolo di fondamentale importanza nel garantire la sopravvivenza e lo sviluppo tanto a livello individuale quanto sociale. Il contadino non rimarrà a lungo a crogiolarsi con fierezza del proprio raccolto abbondante, malgrado il successo si rimboccherà le mani si dedicherà alla nuova semina. Tuttavia, se questo meccanismo è efficace nella continuità della specie non si può dire altrettanto per quello che riguarda il raggiungimento di un senso di felicità e appagamento sostenibile e duraturo. Sembrerebbe anzi che quello stesso sistema che ci garantisce la sopravvivenza ci impedisca di essere felici. Questo spiega dunque perché la felicità ultima non può essere raggiunta dal coronamento di obiettivi e dall’accumulo di averi e in generale di quegli oggetti di desiderio che tanto ci capita di bramare avidamente. Tutto ciò che possiamo ottenere non è altro che un momento di euforia che resta effimero e sempre più sbiadito.
Edonismo: il piacere a tutti i costi
La ricerca continua e ossessiva di questo momento di grande felicità può avere esiti catastrofici. L’edonista, o colui che vede il piacere come il più valore vitale e lo persegue ad ogni costo, soffre incessantemente. Nel perseguimento del proprio piacere si allontana dalle piccole cose del mondo, per trovarne di sempre più eccitanti, che portino a picchi di livelli di dopamina sempre maggiori, per poi risvegliarsi un giorno e rendersi conto di vivere un’esistenza consumata, priva di valore, avvolto in una solitudine infinita e terrificante. La ricerca estensiva del piacere e dell’appagamento dei sensi porta a perdere il significato di ogni cosa, trovandosi a camminare pericolosamente sul filo del nichilismo.
In cosa allora trovare la felicità?
L’Oriente: una prospettiva diversa
La risposta arriva dall’Oriente. Se in occidente il pensiero della felicità è rimasto legato a un concetto di realizzazione individuale, sviluppo del sé e espressione del proprio Io, le filosofie orientali ci invitano a rivolgere l’attenzione a un altro aspetto. Quello dell’armonia con il mondo, la comunità e il cosmo.
Si potrebbe semplificare questo discorso parlando di attaccamento e distacco (o non-attaccamento). L’Occidente ha vaneggiato per anni con la chimera dell’ottenere di più, raggiungere una vetta più alta, più soldi, più prestigio, più beni materiali; con il risultato di una società scissa, confusa e spaesata, in cui l’individuo di successo resta comunque malcontento della propria esistenza, e spende gran parte del patrimonio accumulato alla ricerca, ora disperata, di uno stato di benessere, o per lo meno di una momentanea assenza di sofferenza.
L’Oriente ci propone invece la meditazione. E attraverso la meditazione ci invita alla comprensione della futilità del sé, dell’illusione dell’Io, della perfezione dell’istante presente. Una volta masticata e digerita la dura ipotesi del momento presente come perfetto in ogni sua sfaccettatura, potrò assumermi il pieno controllo del mio reagire e del mio sentire. E allora la mia felicità non dipenderà dalle circostanze esterne, caotiche e capricciose, ma solamente da me.
L’illusione della realtà: il velo di Māyā
Un esempio illuminante viene dall’Induismo. Questo credo è radicato in un concetto fondamentale, espresso saggiamente con il termine sanscrito Māyā (il termine può essere tradotto come “illusione”, o “velo”). Secondo questa filosofia il mondo materiale e fenomenico appare reale, ma non lo è veramente. Il velo di Māyā che abbiamo davanti agli occhi non ci permette di comprendere che la realtà è eterna, infinita e non duale. Vittime dell’illusione di Māyā ci troviamo in balia di qualsiasi avvenimento ci faccia sentire scoraggiati, delusi, tristi; o al contrario estasiati, soddisfatti o fieri. Finiamo per dare enorme importanza a questi stati d’animo. Gli avvenimenti tuttavia, non sono né positivi né negativi, ma semplicemente avvenimenti in quanto tali e la nostra lettura di essi è puramente soggettiva, cioè una proiezione della nostra mente. Se lasciamo la nostra soggettività guidare la nostra vita rimaniamo vittima del flusso altalenante delle emozioni, al pari di un bambino di tre anni, la cui felicità dipende dal ricevere o non ricevere il gelato che desidera tanto.
Una felicità che è da vivere
Si può quindi affermare che, tra i molteplici tentativi verso la felicità, la meditazione offra la possibilità concreta di raggiungere un senso di serenità profonda e duratura. Meditare è difficile, molto difficile per noi occidentali, figli del nostro tempo, abituati a vite frenetiche e ritmi incessanti in un mondo che ci spinge a identificare il nostro valore con i successi materiali e lavorativi. La meditazione rappresenta senz’altro una sfida, ma anche la straordinaria opportunità di liberarci. Liberarci dalla gabbia della nostra stessa mente.
E allora a questo punto concludo dicendo che la felicità non può essere raggiunta quando inseguita. Tutto ciò che ci resta è cercare di viverla, qui ed ora.
Dopamina, come le App manipolano il nostro cervello
RSI Cultura 28.04.2024, 18:05