Sono tanti i film che parlano di enogastronomia sia in modo diretto, facendo del tema vera colonna portante e personaggio protagonista della pellicola; sia usandolo come pretesto per raccontare altro, dato che nel tempo la tavola è diventata un argomento “di moda”, che funziona; sia utilizzando scene in cui il cibo entra ad essere protagonista e vuole essere metafora di qualcosa di profondo, soprattutto nel mondo del cinema d’autore.
Di certo, non esiste film in cui non ci sia almeno una scena a tavola, di pranzi o cene di varia natura, o di protagonisti intenti a preparare qualcosa in cucina ed immancabilmente, in quel frangente, succede sempre qualcosa di importante nelle dinamiche del film. Questo perché? Pensateci: stare a tavola è un atto quotidiano, non di scelta ma di necessità, che fa immedesimare lo spettatore alla perfezione, fotografando dinamiche sociali, familiari, emotive, che tutti noi viviamo sulla nostra pelle.
Sembrerebbe questo il primo motivo che spiega il perché la settima arte e il cibo siano così indissolubilmente legati, sin dai tempi del muto, e abbiano un rapporto profondo che va oltre al “Maccarone, m’hai provocato e io te distruggo” di Alberto Sordi in Un americano a Roma, o agli spaghetti in tasca di Totò in Miseria e Nobiltà.
Il cibo, come spesso amiamo ripetere, è cultura, e tutti noi siamo più consapevoli della simbologia che il cibo può assumere nelle nostre vite e nel senso della vita: aspetti culturali, politici, antropologici, psicologici… siamo ciò che mangiamo e il cinema non fa che ribadirlo. Sono numerose le occasioni in cui la tavola, infatti, si è prestata come scenario per raccontare, anche attraverso pochi ma efficaci particolari, mutamenti di stati d’animo, se non veri e propri cambiamenti radicali.
Ce lo spiega molto bene Klaudia Reynicke, apprezzata regista svizzera, in una puntata di Feeling Food – podcast targato RSI FOOD – in cui racconta il suo bisogno di utilizzare il cibo come mezzo per delineare la personalità dei suoi personaggi o dei loro stati d’animo:
Klaudia Reynicke
RSI Food 14.02.2022, 14:00
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Lo stesso Orson Welles in "Quarto Potere" (film cult del 1941 e premiato con un Oscar) riesce a delineare efficacemente la nascita di un amore e la sua fine attraverso due prime colazioni di una coppia: nella prima, poche parole e un’atmosfera sognante; nella seconda, continui disaccordi e poi ciascuno nascosto dietro il proprio giornale, in silenzio.
Anche se un film non ruota attorno alla tematica enogastronomica, quindi, è divertente vedere come i registi decidano di trattare certi argomenti come propedeutici alla storia. Un esercizio simpatico, in questo senso e legandoci al cinema nostrano, si potrebbe fare scegliendo alcuni tra i numerosi film che quest’anno sono candidati alla 24esima edizione del Premio del cinema svizzero.
Torniamo alle pellicole che ruotano strettamente attorno alla tematica gastronomica…
È innegabile quanto, negli ultimi decenni, la presenza di cibo e vino sul grande schermo sia sensibilmente cresciuta. Nel libro "Gustose visioni – Dizionario del cinema enogastronomico" di Marco Lombardi, critico cinematografico e appassionato del mondo enogastronomico, mette in luce un dato storico, mostrando, decennio per decennio, quanto la settima arte, nel corso degli anni, si sia servita della tematica cibo. Seppur edito nel 2014, l’autore, prendendo in esame 94 film in cui l’enogastronomia è il motore narrativo centrale e tralasciando quelli che ne parlano in modo marginale, descrive, a numeri il seguente scenario: il 6,5% delle pellicole risale agli anni Sessanta, un altro 6,5% agli anni Ottanta, il 17% agli anni Novanta, il 35% ai primi dei Duemila e il rimanente 35% ai soli primi quattro anni del secondo decennio del 2010. Un incremento esponenziale! Come sottolinea lo stesso Lombardi, il digitale ha sicuramente aumentato il numero delle uscite di film rispetto al passato, ma se si guarda il 35% degli ultimi quattro anni presi in esame, si può di certo pensare quanto l’enogastronomia sia sempre di più un settore trainante in termini globali, anche per il cinema!
Le statuette d’oro che parlano di cibo
Detto ciò, e visto che in questi giorni la notte più stellata del cinema mondiale, con le sue statuette, è sulla bocca di tutti, riporteremo qualche esempio di film che hanno vinto uno o più Oscar, in cui il cibo è primo protagonista o lo si vede in scene diventate cult.
Partiamo dal film “padre” del cinema gourmand (Il pranzo di Babette) per poi andare avanti con titoli – identificandone uno, più o meno, per ogni decennio – fino ad arrivare all’attualità dei giorni nostri.
"Il pranzo di Babette" (1987)
Premio Oscar come miglior film straniero nel 1988, questo film è una pietra miliare nel cinema a sfondo enogastronomico e vero cult, anzi, è proprio grazie a “Il pranzo di Babette” che il cinema riconosce l’importanza dell’enogastronomia come tematica centrale e la porta al grande pubblico a livello internazionale.
Il film danese di Gabriel Axel, tratto dall'omonimo racconto di Karen Blixen, diventa “un vero e proprio manifesto del cibo e del vino come mezzi di comunicazione, di scambio e di dono disinteressato, un’apologia del piacere personale che rifiuta una dimensione egoistica per tradursi piuttosto in opportunità conviviale e comunitaria” (A.Attorre, Château lumière: brindisi ed ebbrezze al cinema, Slow Food Editore, 2007).
Il pranzo di Babette è la storia di una signora francese, Babette, ricercata dalla polizia del suo paese dopo i giorni della Comune, che si ripara in Scandinavia dove trova lavoro e ospitalità presso due sorelle zitelle, figlie di un pastore protestante. Con i soldi ricavati da una vincita alla lotteria, Babette imbastisce un favoloso pranzo che ha il potere di sanare tutte le discordie del piccolo paese.
"Goodfellas – Quei bravi ragazzi" (1990)
Nel film diretto da Martin Scorsese, che ne è valsa la statuetta a Joe Pesci come miglior attore non protagonista, il cibo non fa da sfondo all’intera storia, bensì lo si riconosce spesso come mezzo di identità. È il caso della scena in cui il sugo sottolinea l’appartenenza, le radici, anche in carcere, quando i mafiosi, ben provvisti di derrate, sono impegnati a sfidarsi sul modo migliore di fare la salsa, usano una lametta da barba per tagliare sottilmente l’aglio per il soffritto…
Considerato tra i migliori film del regista siculo-americano, "Goodfellas" è stato a più riprese definito uno dei migliori film della storia del cinema.
"Sideways – in viaggio con Jack" (2004)
Oscar per la miglior sceneggiatura non originale nel 2005, "Sideways" è la storia di due amici di mezza età che partono per un viaggio alla volta dei vigneti californiani. Miles è un disilluso scrittore reduce da un divorzio, Jack è un attore da soap opera in procinto di sposarsi. Tra delusioni amorose di Miles (Paul Giamatti) e l’incontro di un nuovo possibile flirt, la scoperta di un mondo fatto di degustazioni, aziende vitivinicole e ristoranti dell’entroterra di Santa Barbara, fanno del vino un perfetto co-protagonista. il film parla di vini in maniera precisa durante le degustazioni di merlot, cabernet, chardonnay, syrah e pinot nero, ma quello che conte è che il vino assume un valore di carattere esistenziale nella vita dei due protagonisti che impareranno ad approcciarsi alla vita proprio dall’approccio che impareranno ad avere con il vino durante e dopo questo viaggio.
Il film è basato sull'omonimo romanzo del 2004 di Rex Pickett.
"Ratatuille" (2007)
Il topolino chef Remy non ha bisogno di presentazioni e nel 2008 si è aggiudicato una prestigiosa statuetta come miglior film d’animazione. Poche volte si è percepito in modo così chiaro la relazione che scatta tra una pietanza e le nostre emozioni, come quando in "Ratatouille" il piatto di verdure arriva al tavolo dell’odioso critico gastronomico Antoine Ego e, attraverso i suoi ricordi d’infanzia evocati come un flash, riusciamo anche noi a cogliere al volo il rapporto del gusto con la memoria involontaria, le attitudini individuali, i canoni sociali.
"Parasite" (2019)
Ben quattro premi Oscar per il film sudcoreano di Bong Joon-ho – primo film sudcoreano nella storia a ricevere una candidatura ai premi oscar – prezioso spaccato della lotta di classe locale, in cui il cibo, in tanti dettagli, è determinante per capire il senso della pellicola e delle tensioni sociali attuali.
Da una parte ci sono i ricchissimi – la famiglia Park –, desiderosi di mantenere la propria posizione e di non mischiarsi con i parassiti, dall’altra ci sono i poverissimi – la famiglia Kim –, determinati a compiere la scalata utilizzando qualsiasi mezzo a loro disposizione: questo il cuore di "Parasite". Il regista Bong scandaglia l’abisso tra i Park e i Kim attraverso gli ambienti, l’atteggiamento, e tanto cibo.
Margy Rochlin sul Los Angeles Times descrive puntualmente una scena emblematica e riporta: “C’è un momento del film in cui la ricca casalinga interrompe un viaggio in macchina verso casa con il marito e i due figli per telefonare alla sua governante e dirle di andare nella loro cucina high-tech e preparare una pentola di ram-don. ‘Che diavolo è il ram-don?’, domanda a voce alta la governante. E così, la preparazione di un piatto misterioso diventa al centro di una scena ad alta tensione”.
Sin dall’uscita del film, YouTube si riempii di ricette tutorial per fare il ram-dom, peccato quest’ultimo non esista ma sia una crasi tra la parola ramen e udon, due differenti tipologie di spaghetti asiatici. Per necessità di traduzione in inglese, la parola è stata inventata: nella versione originale, la signora Park chiede alla signora Kim il jjapaguri, una parola così difficile da adattare che il traduttore ha preferito ricorrere a un neologismo.
Il jjapaguri è un piatto commerciale e poco di élite perché estremamente a buon mercato e, come spiega lo stesso regista in un’intervista, la signora Park non può sopportare che in casa propria si mangi cibo del genere, motivo per cui chiede alla sua governante di aggiungere del controfiletto a cubetti per farlo diventare più “gourmet”.
Questo è solo uno degli esempi “cibosi” del film Parasite, ben più ricco di rimandi a tema che il regista si è divertito a spargere qua e là nella pellicola.
2022: “And the Oscar goes to…”
Scorrendo tra i tanti titoli in lizza all’ultima edizione degli Academy Award e pensando al ruolo del cibo nelle pellicole, l’occhio inevitabilmente cade sull’italianissimo “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, seppur sia tornato a casa a mani vuote…
Il regista è da sempre legato al ruolo del cibo nei suoi film, a voler sottolineare il ruolo simbolico ed evocativo della tematica enogastronomica e, anche nel suo ultimo film, non ne mancano occasioni. La signora Gentile, per esempio, protagonista “cattiva” della trama, la si identifica come tale anche nel modo in cui mangia: da sola, lontana dagli altri, ma anche in modo ostentato, come quando mangia una mozzarella a mani nude, ferocemente, guardando gli altri con aria di sfida.
Dall’altra parte c’è poi il cibo ritratto come momento di comunione, del riunirsi per fare da mangiare, come nella scena in cui un gruppo di donne si uniscono per fare la conserva di pomodoro e sono osservate, in silenzio, da alcuni bambini: come si fa con le nonne, nei nostri ricordi, quando il cibo è un momento di convivio e di “fare” insieme, costruttivo.
Anche ne “Il potere del cane”, scritto e diretto da Jane Campion – fresca di vittoria essendosi aggiudicata la statuetta come miglior regista – sebbene non veda il cibo come colonna portante del racconto, spesso viene utilizzato, anche in questo caso, come dinamica o momento identificativo dei personaggi: pranzi, cene e piccoli ristori ne sono esempi. Ambientato negli anni Venti, in Montana, nel racconto troviamo la vedova Rose (Kirsten Dunst), gerente di un piccolo ristorante della zona, che andrà in sposa a uno dei fratelli Burbank, facendola diventare di fatto una “signora” e quindi costringendola a lasciare il piccolo e curato locale di cui si occupa per campare. Il fatto che inizialmente Rose la si veda sempre intenta a cucinare e ad accudire i suoi ospiti, da subito ne denota il lato bonario e privo di malizia; mentre ne sottolinea il fare maschilista e da bullo dell’altro protagonista maschile, Phil Burbank (Benedict Cumberbatch), che si pone alla tavola sempre in modo distante, se non per fare bisboccia o per puro bisogno di nutrirsi, da “macho”, tracannando bottiglie di vino e non gustando mai quello che ha nel piatto. Evita persino le tavole di “rito” che lo vedrebbero tra i protagonisti di cene “diplomatiche” e ospitali con altre famiglie benestanti della zona, a sottolineare il suo lato “selvatico”, incurante di ciò che pensano gli altri e fuori dalle dinamiche preconfezionate della tavola sociale, di scambio di idee e parole con altri interlocutori, sempre a delinearne la natura scostante e dissociata del problematico Phil.
A proposito di premi Oscar…
A partire dal 22 marzo, il martedì sera in terza serata su LA 1 si tinge d'oro, il colore della celebre statuetta assegnata ai vincitori degli Academy Award. L'occasione perfetta per gli appassionati del grande cinema di immergersi in una serie di incredibili capolavori che vi terranno col fiato sospeso, per la programmazione – davvero imperdibile – potete consultare: Notte Oscar
Lo sappiamo, non abbiamo parlato di film come "La grande abbuffata"; "Big Night"; "Julia & Julia"; "Soul Kitchen"; "Chocolat"; "Mangia, prega, ama"; e chi più ne ha più ne metta, ma in questa “puntata” ci siamo soffermati sugli ambiti premi dell’Academy Award. Nulla ci vieta di risentirci presto e raccontare ancora qualcosa del connubio indissolubile tra cibo e cinema…
Fonti:
M. Lombardi, "Gustose visioni – dizionario del cinema enogastronomico", Iacobellieditore, 2014
S. Giani, "Cinema à la carte", Gremese, 2015
A. Attorre, "Château lumière: brindisi ed ebbrezze al cinema", Slow Food Editore, 2007
A. Attorre, "Schermo piatto – in cinema interpreta il cibo", Slow Food Editore, 2010
Los Angeles Times
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