Ambiente

Il lato oscuro della sostenibilità

Si chiama “greenwashing”, marketing aziendale ingannevole che nasconde un ambientalismo di facciata. C’è chi pensa a regole più severe per arginarlo

  • Oggi, 06:44
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Fake green

Il giardino di Albert 15.02.2025, 18:00

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  • Fabio Meliciani
Di: red. giardino di Albert/Fabio Meliciani  

Quanto pensate di essere sostenibili? Quanta attenzione fate alle varie etichette green dei prodotti che comprate? Quanta fiducia possiamo dargli? La parola ‘sostenibilità’ è una delle più usate e… abusate. Compare per la prima volta con la sua attuale accezione nel 1987 nel Rapporto Brundtland della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo. Nel documento si dice che uno sviluppo è sostenibile se “è in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.” La strada della sostenibilità è anche quella che può portare alla mitigazione dei cambiamenti climatici, e a una società con meno disuguaglianze, tutti obiettivi che rientrano nell’Agenda 2030 dell’Onu e che stiamo mancando.

Di fatto, il 2024 è stato ancora un anno da record per l’aumento delle temperature, lo dicono i dati del servizio europeo Copernicus e dell’Organizzazione meteorologica mondiale. A contribuire a tutto ciò sono stati eventi naturali e ciclici come il fenomeno di El Niño, ma anche l’aumento delle emissioni di gas serra.

A fronte di questi dati, la recente elezione di Donald Trump ha riacceso il dibattito sul cambiamento climatico, e favorito una polarizzazione ancora maggiore tra chi crede nella necessità di agire subito e chi, invece, continua a negare l’emergenza climatica, o, come i neo-negazionisti di cui parla Roger Abravanel nel suo Le false ipocrisie sul clima (Solferino, 2024), pensano che sia possibile rimandare ogni azione a quando avremo, per esempio, le tecnologie che ci consentiranno di fare a meno di petrolio e carbone. Poi ci sono anche coloro che dicono di pensare al clima e alla sostenibilità, ma lo fanno promuovendo azioni di facciata per rispondere a obblighi burocratici o a una strategia di marketing. In questo contesto, il fenomeno del fake green, o del greenwashing  –  la falsa sostenibilità promossa da aziende e istituti bancari – diventa ancora più pericoloso. Mentre il mondo ha bisogno di soluzioni concrete, molte aziende si nascondono dietro etichette vuote per continuare a sfruttare risorse e consumatori, senza affrontare le vere sfide della sostenibilità.

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Cos'è il greenwashing?

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Il greenwashing è una pratica sempre più diffusa in cui aziende e brand si presentano come eco-friendly, pur continuando a operare in modo insostenibile. Questo inganno si basa su strategie di marketing che sfruttano la crescente sensibilità dei consumatori verso l’ambiente.

La Commissione europea riporta che il 53% delle dichiarazioni verdi sui diversi prodotti in commercio fornisce informazioni vaghe e fuorvianti, o addirittura infondate, se non false. Tutto questo ha portato l’UE a promuovere una nuova direttiva che stabilisce un sistema di verifica e approvazione delle dichiarazioni di marketing ambientale da parte di terzi, con l’obbligo per le aziende di portare prove concrete rispetto alle loro affermazioni. Gli Stati membri dovranno adeguarsi a questa direttiva entro marzo 2026. Non sarà più possibile, per esempio, inserire nei prodotti indicazioni ambientali generiche come “naturale”, “che salvaguarda l’ambiente”, oppure vendere un prodotto con la scritta “realizzato con materiale riciclato” se solo una parte, per esempio l’imballaggio, è realizzato in questo modo.

RepRisk, società zurighese leader che studia i comportamenti delle aziende in tema di ambiente e responsabilità sociale, ha recentemente mostrato come sempre più aziende mentono per sembrare più “verdi” e socialmente responsabili di quanto non siano in realtà. Secondo il report, un quarto dei problemi legati al clima segnalati a livello mondiale è dovuto ad aziende che mentono sulla loro sostenibilità, un dato in crescita, e le banche insieme alle società finanziarie sono quelle che mentono di più: i casi di greenwashing in questi settori sono aumentati del 70% nell’ultimo anno, e molti riguardano il sostegno al settore Oil&gas.

Se restiamo in settori che ci toccano più da vicino, la moda è uno dei più coinvolti dal fenomeno della falsa sostenibilità. Nonostante i brand promuovano collezioni eco-friendly, la realtà è ben diversa. Un’azienda come H&M è stata citata in giudizio più volte in vari paesi per aver ingannato i consumatori con etichette ambientali fuorvianti. A questo si aggiunge il tema della moda a basso costo, usa e getta, la cosiddetta fast fashion che non dura neppure il tempo di una stagione e che rende l’industria della moda responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di CO2.

Non c’è limite alle bugie che si possono raccontare nel nome della falsa sostenibilità: l’HSBC, una delle maggiori banche al mondo, è stata costretta a ritirare la sua campagna pubblicitaria nel Regno Unito perché l’autorità di controllo della pubblicità del Paese l’ha ritenuta ingannevole, perché promuoveva un programma di piantumazione di alberi e il suo piano net-zero senza menzionare il contemporaneo finanziamento a progetti legati ai combustibili fossili. Nonostante la banca sia impegnata a ridurre del 25% entro il 2025 il suo coinvolgimento nel finanziamento del carbone termico, resta uno dei principali sostenitori globali di progetti legati a petrolio e carbone.

Senza un controllo da parte di organi preposti e istituzioni è difficile per noi cittadini non cedere al mantra e alle lusinghe delle etichette verdi, rischiando di cadere vittime inconsapevoli di falsità. Parlarne e far emergere casi come quelli citati, da un lato mina la fiducia, ma ci porta anche una maggior attenzione e consapevolezza nelle scelte che facciamo.

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Tuttavia, al di là di scelte e azioni più consapevoli, la vera sostenibilità, come ribadisce l’agenda Onu 2023 non può esistere senza una riduzione delle disuguaglianze. Un concetto sottolineato anche dal recente saggio di Antonio Galdo Il Mito Infranto (Codice edizioni, 2025). La falsa sostenibilità allarga i divari sociali, rendendo i prodotti green un privilegio per pochi: l’auto elettrica, un esempio per tutti, simbolo della transizione ecologica, è ancora inaccessibile per la maggior parte delle persone, con costi proibitivi e infrastrutture insufficienti.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite riconosce questa connessione, ponendo tra i suoi obiettivi la riduzione delle disuguaglianze (Goal 10) e la promozione di modelli di consumo e produzione sostenibili (Goal 12). Purtroppo, molti di questi obiettivi rischiano di non essere raggiunti. Se pensiamo ancora al settore della moda, mentre i profitti si concentrano nei paesi ricchi, i danni ambientali e sociali ricadono sulle comunità e i paesi più poveri: gran parte dei vestiti buttati via quotidianamente in varie parti del mondo finiscono in una grande discarica illegale a cielo aperto che si trova in Cile, alla periferia della città di Alto Hospicio, 130mila abitanti a est del deserto dell’Atacama. Qui, ogni anno, finiscono decine di migliaia di tonnellate di indumenti nuovi o usati, con un impatto devastante sull’intero ecosistema.

La sostenibilità è la grande sfida che abbiamo davanti e che avrà ripercussioni su ogni aspetto della nostra vita e sull’ambiente, ma forse dobbiamo imparare anche a consumare meno… Riduci, riusa, ricicla… È il mantra per una vita sostenibile, partendo da questi comportamenti individuali e da politiche orientate dall’Agenda 2030 possiamo prendere davvero la via della sostenibilità, riducendo la nostra impronta ecologica. La Svizzera, per esempio, nonostante i suoi sforzi per promuovere l’energia rinnovabile e la mobilità elettrica, ha un’impronta ecologica pro capite tra le più alte al mondo, e l’impronta ecologica misura proprio l’impatto delle attività umane sull’ambiente. È la prova che anche in paesi avanzati, la sostenibilità è spesso più un’illusione che una realtà. Senza contare che, come ha mostrato un recente studio della Caritas Svizzera e dalla Scuola universitaria di scienze applicate di Zurigo (ZHAW), in generale, più alto è il reddito di un’economia domestica, più alte sono le emissioni di gas serra: in Svizzera, il dieci per cento più ricco della popolazione produce emissioni di CO2 quasi quattro volte maggiori rispetto al dieci per cento più povero.

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Fake green

Il giardino di Albert 15.02.2025, 18:00

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Possiamo dunque diventare sostenibili? Dobbiamo. La Terra è l’unico pianeta che abbiamo, e salvaguardare il nostro ecosistema è una responsabilità collettiva, ma il Fake Green rappresenta un ostacolo significativo a questo obiettivo. Per costruire un futuro davvero sostenibile, è necessario superare le illusioni del marketing verde e adottare soluzioni concrete e inclusive. Le aziende devono essere trasparenti e responsabili, i governi devono implementare politiche che promuovano la sostenibilità e riducano le disuguaglianze, e pure noi consumatori, noi cittadini dobbiamo fare la nostra parte, con le nostre scelte. Solo attraverso un impegno collettivo e autentico possiamo sperare di invertire la rotta e garantire un futuro sostenibile per le generazioni future. Non abbiamo un pianeta di riserva.

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