La sua è una convinzione che è diventato un progetto, un modo di vivere condiviso da molti. Carlo Petrini è conosciuto per essere il padre di “Slow Food”, l’associazione internazionale “impegnata a ridare valore al cibo” nata alla fine degli anni Ottanta. In tutti questi anni ha continuato a mettere l’accento sull’importanza di dare un valore e una cura a tutta la catena produttiva. Un’attenzione che sembra diventare sempre più importante anche a fronte delle diverse sfide con cui si trova confrontato l’uomo.
"Negli ultimi 20 anni l’attenzione sul fronte del cibo e dell’alimentazione è cresciuta in maniera consistente. Questo da un lato ha generato una maggiore attenzione al modo di produrre e anche alla dignità", ci spiega, "dall’altro, c’è poca coscienza che l’attuale situazione ambientale è una situazione di grande sofferenza. L’elemento più inquietante in questa fase è il cambiamento climatico". Una situazione che secondo Petrini trova la principale causa nel sistema alimentare globale, che produce il 37% delle emissioni di CO2, contro il 17% da imputare alla mobilità, auto, aerei, ecc.
A ciò si aggiunge un secondo aspetto: lo spreco alimentare. "Stiamo producendo cibo per 12 miliardi di persone sulla Terra, quando invece siamo otto miliardi. La conseguenza, quindi, è che il 33% della produzione viene buttato via. Su questo non si riflette abbastanza, ma le cifre sono impressionanti. Stiamo parlando di un milione e mezzo di tonnellate di cibo prodotto e non utilizzato, con problemi anche per quanto riguarda il suo smaltimento. E se vogliamo analizzarlo da un altro punto di vista, per produrre questa massa di cibo sono stati utilizzati almeno 200 miliardi di ettari di superficie fertile e miliardi e miliardi di litri d’acqua. Siamo davanti a una situazione particolare dove tutti siamo invitati a prendere coscienza che le risorse della Terra e del pianeta non sono infinite, ma c’è una finitezza".
Slowfood da decenni pone l’accento sulla valorizzazione dei prodotti locali, ma sembra che il cammino sia ancora lungo e tortuoso affinché questa filosofia abbia successo. "Questo atteggiamento virtuoso di privilegiare il locale e lo stagionale non è affatto maggioritario", puntualizza, "pensiamo anche come in questi 50 anni c’è stata una concentrazione distributiva dei grandi supermercati, con la perdita di quella realtà straordinaria dei negozi di vicinato o negozi alimentari nei piccoli borghi. Non c’è più. E non essendoci più, si perde anche la socialità".
Carlo Petrini, dal cappone di Morozzo all’ecologia integrale
Laser 23.08.2023, 09:00
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