Curiosità e trend

ACQUOLINA, il cibo dalla A alla Z: F come fiore

Il glossario di curiosità gastronomiche

  • 21 marzo 2023, 22:12
Fiori eduli
  • iStock
Di: Anna Marlena Buscemi 

ACQUOLINA è un piccolo compendio di curiosità gastronomiche - raccontate dalla A alla Z in ordine sparso - per scoprire l’origine di piatti, le parole e i modi di dire inerenti al cibo; con ACQUOLINA, Anna Marlena Buscemi, gastronoma ed educatrice, svelerà come funzionano i nostri sensi e nascono le nostre abitudini alimentari ogni volta che siamo coinvolti nell’atto del mangiare.
Continuano le lettere e con loro anche le parole gastronomiche; oggi procediamo con la lettera F, come Fiore (edule), in onore della primavera appena arrivata!

F come Fiore
/fió·re/
sostantivo maschile

  1. La parte della pianta contenente gli organi sessuali destinati alla sua riproduzione: assume le forme e i colori più appariscenti per attirare l’attenzione di potenziali impollinatori e di chi apprezza la bellezza.

  2. La parte migliore di cosa o di persona; in senso gastronomico può indicare il punto massimo di qualità o di grado di raffinazione [fior di sale, di farina, di panna], nell’ultimo caso potrebbe essere usato in accezione negativa.

  3. Il preambolo necessario nella maggior parte delle specie vegetali per sviluppare il frutto. Può costituire fonte di cibo per gli animali erbivori e onnivori, compreso l’uomo, sebbene quest’ultimo preferisca utilizzarlo per ornare e decorare luoghi, balconi, strade e piatti o regalarlo, singolarmente o in composizione, in segno di corteggiamento o di festeggiamento.

Ogni volta che mi capita di camminare vicino o in mezzo un campo fiorito, mi torna in mente la strofa di una canzonetta che cantavo spesso da bambina e sosteneva che “per fare tutto ci vuole un fiore”.
Oggi come allora, sono sorpresa da quanto in quelle semplici parole, risieda una singolare verità: di base, quasi tutto ciò che mangiamo o utilizziamo di vegetale, non solo in cucina, ha avuto origine da un fiore, sia sotto forma di frutto sia di seme, di foglia e, in qualche caso, anche di materiale.
Diventa difficile spiegarsi perché, da un certo punto della nostra storia in poi, abbiamo deciso di relegarli a una dimensione esclusivamente ornamentale, proporzionalmente alla bellezza delle loro fattezze e dei colori dei loro petali: dal momento che, ammettiamolo, quando i fiori assomigliano a ortaggi non incappiamo nella stessa reticenza.
Se cavolfiori, carciofi, asparagi, broccoli - e molti altri appartenenti alla famiglia delle crucifere o brassicacee e non solo - vengono da noi associati con molta più naturalezza al mondo dei vegetali, quando si presentano con petali delicati e variopinti, facciamo molta più fatica a considerarli cibo. Eppure, ce ne nutriamo da secoli. Anzi, probabilmente sono stati tra le prime fonti di energia e di sussistenza quando, prima che scoprissimo come coltivare la terra e allevare gli animali, eravamo soliti fare spesa nella natura invece che al supermercato.

I ricettari più antichi ce ne danno prova

In ogni parte del globo i fiori erano considerati ingredienti a tutti gli effetti, non solo per adornare tavole, strade e balconi come decorazioni e per preparare infusi dalle proprietà curative o magiche; abbiamo numerose testimonianze che attestano quanto frequentemente fossero utilizzati più per dare o aggiungere benefici gustativi e nutrizionali che per la loro avvenenza estetica.
Volendo possiamo andare ancora più indietro nel tempo, ovvero a quando, incapaci di esprimerci con le parole, ricorrevamo ai graffiti per comunicare quanto i fiori potessero essere non solo belli da ammirare, ma anche buoni da mangiare. Certo non si tratta di una conoscenza innata, bensì acquisita e costruita tramite l’esperienza diretta, annusando e assaggiando ogni infiorescenza che attirava la nostra attenzione e, con molta probabilità, a prezzo di qualche indimenticabile mal di pancia o, nel peggiore dei casi, di avvelenamenti fatali; tuttavia se siamo qui a poterne parlare, lo dobbiamo al fatto che, per fortuna, possiamo nutrirci della maggior parte delle piante in tutte le loro espressioni, fiori compresi, senza incappare in effetti collaterali così sgradevoli e irreversibili.
Da quando abbiamo lasciato tracce scritte dei molteplici usi culinari che se ne possono fare, è stato sicuramente più rapido, sicuro e frequente che li impiegassimo in ricette di cibi e bevande, incoraggiati dalla capacità acquisita nei millenni di riconoscerli, selezionarli, pulirli per prepararli sia da crudi che cotti.
Oggi li chiamiamo fiori eduli, cioè, commestibili.
Ora, prima di attingere dai vari ricettari della storia, è bene fare un breve ripasso su quali accorgimenti adottare prima di raccogliere e cibarsi di qualsiasi pianta munita di steli e corolle, tenendo conto che ci muoviamo in un modo e in un mondo meno spontaneo e puro di qualche secolo fa:

  • Appuriamoci che i fiori siano effettivamente commestibili: sebbene siano la maggior parte ad esserlo e pochi siano velenosi rispetto alla quantità esistente, è auspicabile non regalare esperienze sgradevoli alle pance e alle papille nostre e altrui.

  • Raccogliamo fiori in posti il più possibile incontaminati, senza depredare specie protette.

  • Acquistiamo fiori per uso alimentare – fiori eduli, appunto - e non ornamentale, se intendiamo mangiarli, quindi non dal fioraio ma dai contadini, dal verduriere e comunque sempre provenienti da filiere controllate.

  • Consumiamo fiori, volendo anche autoprodotti, purché cresciuti senza uso di pesticidi o altre sostanze chimiche tossiche e dannose per la salute.

  • Utilizziamo principalmente petali, evitando i pistilli e gli steli: non fanno, male, ma in molti casi possono conferire alle pietanze sapori amaricanti e sensazioni astringenti e altre poco divertenti per il palato.

  • Consultiamo un esperto: in caso di dubbi, meglio chiedere che assaggiare!
    Qui di seguito l’elenco dei fiori più conosciuti e comuni che vanno guardati e non mangiati: ortensie, clematis, calotropis, oleandri, azalee e rododendri (il miele di quest’ultimo si può assumere senza problemi), narcisi, lantana, digitale (anche detta “bocca di leone” o “ditale della Madonna”), mughetto, campanelle, calle, glicine (soprattutto i suoi semi).

Addentriamoci ora in argomenti più gastronomici, navigando nel tempo e nello spazio, partendo dal presupposto che avvolgere i fiori in una pastella dolce e salata e cuocerli, sia l’utilizzo più immediato e diffuso che se ne fa tuttora in ogni angolo del mondo: la preparazione più bizzarra a cui ho assistito è stata nei pressi dei boschi di Tolosa, in cui una comunità gitana li cuoce senza staccarli dalla pianta, avvicinando prima una ciotola in cui vengono passati in una sorta di tempura e poi in un tegame dai bordi alti pieno di olio rovente, in cui vengono fritti in pochi secondi, ottenendo così un alberello di fiori croccanti che, volendo, possono poi condirsi con sale, zucchero, miele o sciroppi ottenuti da altri fiori aromatici.
Senza arrivare a preparazioni così coreografiche, possiamo comunque trovare nuove declinazioni culinarie delle infiorescenze, dalle più semplici insalate alle più laboriose, come nel caso dei fiori confettati e digestivi ai banchetti di Enrico IV o degli steli caditi di angelica adorati dal Re Sole, viceversa ci si può limitare ad aromatizzare vini, infusi, aceti, farce di torte dolci e salate, impasti lievitati o minestre, al sambuco come ci narra Maestro Martino nel suo Libro de arte coquinaria del 1450 o con i fiori di cappuccina, come nel “potage aux herbes à la douphine” riportato da Dumas padre ne Le Grand Dictionnare dela Cuisine del 1872.

In Oriente è usuale per esempio trovare fiori di gelsomino e di loto per profumare il tè e il riso oppure accompagnare carni bianche di terra o di mare, così come impiegare petali di gigli gialli e della calendula al posto dello zafferano per colorare brodi, salse e marinature a caldo e a freddo, prima e dopo la cottura-delle carni, pratiche ereditate in alcuni casi dai precetti della cucina taoista, che riconosce negli alimenti e nella loro combinazione, un contributo fondamentale per raggiungere in benessere sia fisico sia mentale.

Mentre nel continente americano da nord a sud, è il fiore di zucca a farla da padrone con numerose variazioni sul tema, muovendosi verso la parte latina, non mancano le ricette con altri fiori, principalmente utilizzati nelle farciture delle empanadas, negli amati dolci al cucchiaio, come nel budin des flores, o per amplificare le note aromatiche del ceviche.

Come potete facilmente dedurre, è particolarmente complicato fare un elenco esaustivo di tutti i fiori e le infiorescenze in giro per la Terra, ma abbiamo sufficienti elementi per comprendere che essi si distinguono per forma e colore al pari del loro sapore: qualcuno avrà note più dolci, altri più aspre, altri ancora più sapide, nessuno di loro è in grado di stravolgere il carattere di un piatto, ma sicuramente possono migliorare e amplificare di molto loro spettro aromatico e, in altre situazioni, arrotondare spigoli gustativi particolarmente pungenti; per tradurla in un’immagine, potremmo pensare ad una melodia suonata da un’orchestra che passa ad essere da 5 a 50 elementi: il suono si fa più ricco, intenso e ricco di sfumature; questo non dipende esclusivamente dal numero di chi suona, ma anche dal carattere e dallo stile di ognuno di questi elementi e soprattutto tra l’armonizzazione e l’equilibrio tra essi.
Quindi sì, possiamo mettere dei fiori nei nostri cannoli, nelle nostre torte, nelle nostre marinature e ovunque il nostro gusto ci suggerisce, approfittando della primavera, in cui tutto è pronto per esplodere e trasformarsi in frutto o seme e fomentare la nostra voglia di scoperta, senza dimenticare che per fare tutto, o quasi, ci vuole un fiore.

Fonti:
M. Apicio, L’arte della cucina, Scipioni, 1990
A. Dumas, Dizionario di cucina, Sellerio Editore Palermo, 2004
V. Corrado, Del cibo Pitagorico ovvero erbaceo, seguito dal Trattato delle patate, Donzelli editore, 2001
V. Corrado, Il cuoco galante, Grimaldi & C, 2013
S. Mancuso, Botanica, viaggio nell’universo vegetale, Aboca edizioni, 2017
L. Mancusi Sorrentino, Sapore di Fiori, Edizioni Intra Moenia, 2008
Maestro Martino, Libro de arte coquinaria, Guido Tommasi Editore, 2001

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