Facciamo un gioco: se in casa avete biscotti, merendine, yogurt, cereali per la colazione, pasti pronti, bevande alcoliche o analcoliche, salse da condimento, o altri cibi processati; prendeteli e provate a leggere gli ingredienti. Probabilmente nella lista troverete spesso “amido di mais” o “sciroppo di glucosio”, entrambi ingredienti provenienti da un cereale in particolare: il mais.
Questo alimento ha una storia interessante, dalla sua coltivazione aumentata esponenzialmente nel corso degli anni, al suo utilizzo nell’industria. Infatti, il mais non è soltanto presente in prodotti alimentari, bensì in una vastissima gamma di prodotti non edibili, che spaziano dai dentifrici al mangime per animali, dalle candele ai medicamenti, dal combustibile per motori ai tessuti. Questa è solo una piccola parte di una lista lunghissima di prodotti che fa capire quanto il mais si sia evoluto da cereale a solo scopo alimentare a materiale industriale. Come si è arrivati a tutto questo?
Le origini
La storia di questo cereale inizia circa 9000 anni fa, in Messico, quando i nativi americani hanno domesticato la pianta di teosinte per ricavare quello che noi conosciamo oggi come mais (Zea mays), chiamato anche granoturco. La teosinte aveva molti inconvenienti nella coltivazione e non presentava abbastanza nutrimenti. Per questo motivo, la popolazione locale ha incrociato le piante per ottenerne di più efficienti con le caratteristiche desiderate. Nasce quindi il mais, che dal Messico si espande nel resto del Sud America prima, e in quella settentrionale dopo.
I Maya veneravano questo cereale: infatti, nei loro testi sacri, l’uomo è creato a partire dall’unione tra farina di mais e acqua. Ma oltre a questi aspetti simbolici, il mais presentava dei vantaggi non trascurabili: era un cereale dalla resa abbondante, si poteva facilmente immagazzinare per organizzare le riserve, e si adattava facilmente alle diverse condizioni climatiche.
Le potenzialità del mais sono intercettate
Le proprietà del mais le hanno intercettate anche i colonizzatori europei, quando, in seguito all’arrivo di Colombo nel Nuovo Continente, si sono fatti insegnare le tecniche di coltivazione del cereale dai nativi, per sfruttarlo nel nuovo territorio ma anche per diffonderlo in Europa. Il mais arriva dapprima in Spagna, a fine Quattrocento, per poi insediarsi anche nell’Europa del Nord, adattandosi alle temperature più miti. Tuttavia, non sostituì subito gli altri cereali, come per esempio in Ticino, in cui la comparsa del mais è abbastanza lenta, con la diffusione della polenta di mais soltanto agli inizi dell’Ottocento. Infatti, la polenta che si consumava prima era solitamente composta da miglio o da altri cereali, mentre quella di mais era riservata alle zone più ricche.
In America, invece, il mais ha permesso alle ondate di immigrazione di insediarsi nei nuovi territori: imparata la tecnica dai nativi, i coloni potevano coltivarlo da soli e sfruttare tutto il suo potenziale. I chicchi del mais essiccati presentavano il vantaggio di essere facilmente trasportabili e molto resistenti: i contadini potevano quindi vendere l’eccedenza della coltivazione al mercato, passando da un’agricoltura di sussistenza a un’agricoltura di mercato. Il mais era inoltre utilizzato come merce di scambio per pagare gli schiavi provenienti dall’Africa e come alimento per sfamarli durante la tratta.
L’esplosione della crescita di mais e la coltivazione intensiva
È nel XX secolo che si scopre come stimolare la crescita del granoturco, rendendo le coltivazioni più produttive e più resistenti alle malattie, facendo sì che il loro stelo risultasse più spesso e le radici più resistenti, così da avere una pianta dritta e coltivabile anche in condizioni di affollamento. Queste nuove varietà ibride (ovvero incroci tra piante diverse) compaiono verso gli anni Venti-Trenta, ma hanno davvero successo negli anni Sessanta, quando si accoppiano a un’alta applicazione di fertilizzanti e pesticidi, che aumentano vertiginosamente la produzione e fanno abbassare il prezzo del mais. Negli Stati-Uniti, stato in cui questo aumento è stato più netto, esiste una regione chiamata Corn-Belt (la famosa “cintura di mais”), che si estende su 12 stati medio-occidentali e in cui i pascoli sono stati sostituiti dalla monocoltura intensiva di mais e soia. In questa regione è stato infatti più conveniente chiudere il bestiame nelle stalle per dare spazio alle monocolture alimentate dai fertilizzanti, complici anche i sussidi statali volti alla coltivazione di mais. Le coltivazioni intensive e le nuove varietà ibride sono state vantaggiose per le grandi aziende biotecnologiche agrarie.
Il processo di trasformazione e i molteplici usi nell’industria (non solo alimentare)
Questa grande coltivazione di mais si traduce in un suo vastissimo impiego in diversi ambiti, che cambiano a dipendenza della parte del mais utilizzata e dal processo di trasformazione che subiscono. Infatti, la macinazione si può fare a secco, ottenendo per esempio la farina per la polenta o per le tortillas, o a umido, tritando il chicco insieme all’acqua ed eventuali additivi e dividendolo in buccia, germe ed endosperma. Il processo di trasformazione è lungo e gli impieghi del mais sono numerosi, non solo in ambito alimentare:
- L’utilizzo maggiore che si fa del mais è quello del mangime animale, la cui domanda è aumentata nel ventesimo secolo a causa dell’incremento del consumo di prodotti animali. Il basso costo del mais e il fatto che ingrassi facilmente il bestiame hanno reso questo cereale molto conveniente come mangime, che si può trovare sia sottoforma di grani interi, sia macinato e aggiunto ad altri nutrimenti. Questo vuol dire che noi ingeriamo il mais anche quando mangiamo la carne, se è stata nutrita con questo cereale.
- Gli altri principali utilizzi del mais sono volti alla produzione di etanolo e numerosi generi alimentari. L’etanolo è prodotto dalla fermentazione di una poltiglia ricavata dalla macinazione ed è utilizzato per le bevande alcoliche ma anche per il carburante. L’utilizzo di questo bioetanolo, il cui mercato ha conosciuto una crescita significativa, è in ogni caso controverso, perché, se alcuni sostengono che possa rappresentare un’alternativa ai carburanti fossili, altri invece sottolineano il grande impatto ambientale dell’agricoltura intensiva necessaria per la sua produzione.
- Per quanto riguarda invece gli utilizzi alimentari, l’amido di mais è la parte del cereale che troviamo maggiormente nella lista degli ingredienti. Nel processo di trasformazione, l’amido è ricavato verso la fine, quando, dopo aver macinato il chicco e rimosso le parti liquide, rimane una parte bianca che viene fatta essiccare, per ottenere così l’amido di mais. Nei prodotti industriali è utilizzato per esempio in dolci, salse e piatti pronti come addensante e additivo, ma anche nell’industria della carta e dei tessuti, perché, grazie alle sue proprietà leganti e addensanti, aiuta a rendere il prodotto finale più resistente.
- Un’altra lavorazione estremamente utilizzata nell’alimentazione è lo sciroppo di glucosio ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), che è un potente dolcificante sostituto del saccarosio. Si parte dall’amido di mais, che viene convertito in glucosio, per poi trasformarne una parte in fruttosio, con l’aiuto di alcuni enzimi. Si ricava quindi questo sciroppo composto al 42% da glucosio e dal 55% da fruttosio, un prodotto a buon mercato che si è iniziato a introdurre sempre di più negli alimenti. In Svizzera l’HFCS è presente, ma in minori quantità rispetto agli Stati-Uniti. Se si legge l’etichetta degli ingredienti, infatti, si troverà molto più spesso lo sciroppo di glucosio (sempre ricavato dal mais ma senza la conversione in fruttosio) che è utilizzato per addolcire e per rendere la consistenza del cibo più soffice. È conveniente economicamente anche perché aggiunge volume, dunque il margine di profitto aumenta. Negli Stati-Uniti lo sciroppo di glucosio ad alto contenuto di fruttosio è invece ampiamente aggiunto dei prodotti alimentari, ed è oggetto di dibattiti circa gli effetti negativi sulla salute, come obesità e diabete.
E la Svizzera? Il mais oggi tra esportazioni, importazioni e sfide climatiche
Data l’enorme produzione di granoturco negli Stati-Uniti, questi ultimi sono ora il più grande esportatore del cereale, mentre in Europa la prima esportatrice è l’Ucraina. Il Messico, invece, è passato da essere il luogo in cui il mais è nato, a primo importatore mondiale. Infatti, il mais americano è diventato talmente a buon mercato che i produttori messicani non sono più stati in grado di coltivarne a prezzi competitivi. La conseguenza è che il Messico è diventato dipendente dalle importazioni di mais dagli Stati Uniti e si è visto la sua industria di mais declinare.
Attualmente, il mais è il cereale più coltivato a livello globale e la sua produzione continua ad aumentare. La Svizzera è tra gli stati con la resa di mais - tonnellate per ettaro all’anno - maggiori al mondo, con 11 tonnellate per ettaro nel 2020 (nello stesso anno gli Stati-Uniti ne avevano coltivate 10,79). Le varietà coltivate in Svizzera cambiano a dipendenza dall’utilizzo che se ne fa: il mais da granella è raccolto da maturo ed è utilizzato per gli alimenti umani, mentre quello da silo è raccolto ancora fresco e verde ed è riservato al foraggio per il bestiame, dati gli elevati nutrienti di cui dispone. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la maggior parte del mais coltivato in Svizzera italiana è utilizzata per il foraggio e non per le varietà di farina da polenta, a cui sono destinati 10-15 ettari sui 1000 totali di coltivazione di mais. Per questo motivo viene sempre di più incentivata la produzione di varietà tradizionali adatte per la polenta, come quella da mais rosso ticinese, riconosciuta da Slow Food nel progetto Arca del Gusto.
L’Europa è stata colpita l’estate del 2022 da caldo e siccità, che hanno causato una diminuzione nella crescita delle piante da mais. Anche in Svizzera, nelle zone dove l’acqua ha scarseggiato, sono state registrate raccolte inferiori alla media. Malgrado lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, le importazioni di mais sono potute continuare, equilibrando così il rallentamento delle raccolte.
Dall’evoluzione della sua produzione si capisce come questo cereale dall’alto rendimento e dalla facile adattabilità sia diventato molto di più che un semplice cereale, ma prodotto industriale fonte di profitto, sfruttato per ricavare il massimo delle sue potenzialità, anche di terre e terreni.
Fonti:
Il dilemma dell’onnivoro, Michael Pollan, Adelphi Edizioni, 2006.
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agroscope.admin.ch
reuters.com
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